Il
degrado globale è impressionante. A sinistra potete vedere la “prova”
che gli Usa pretenderebbero di fornire per sostenere che sono stati i
filorussi ad abbattere l’areo malese: si tratta di una cartina su cui è
segnato il luogo dell’impatto del velivolo e più in basso le località in
cui, stando a immagini raccolte su you tube, sarebbe stato avvistato
l’unico lanciatore di missili buk in mano ai ribelli. Per la verità in
una delle segnalazioni, raccolte peraltro da un sedicente blogger in
forza ai servizi segreti inglesi, quella di Snizhne, si vede un
cingolato senza missili. Ma tant’è, a questo si è ridotta la maggiore
potenza mondiale che ha come hatout unicamente l’incredibile
subalternità del maistream informativo occidentale.
Al punto che la portavoce del Dipartimento di stato Usa, ben
guardandosi dall’entrare nel merito delle rivelazioni russe sul Sukoi di
Kiev apparso in coda all’aereo di linea malese sui tracciato radar,
sostiene che l’accusa nei confronti dei ribelli filorussi deriva da “una
preponderanza di prove“ sui social media e “dal senso comune”. Per la
verità un minimo di saggezza ci dice che l’abbattimento dell’aereo porta
acqua solo al mulino di Kiev, ma ormai ogni logica o plausibilità è
del tutto estranea alle guerre americane.
Però ammettiamo per un attimo che la “prova”, fabbricabile da
chiunque in dieci minuti, abbia una qualche consistenza. Che senso
avrebbe in questo contesto la richiesta di nuove sanzioni nei confronti
della Russia nel momento in cui gli Usa stessi riconoscono che Mosca non
interviene direttamente nel conflitto e che i missili sono quelli
strappati dai ribelli a un reparto del governo fantoccio di Kiev? La
pretestuosità della posizione americana è talmente evidente, che fa
agevolmente risalire alla fame di pretesti che Washington dimostra e
dunque alla lampante tentazione di crearli. Tanto più che l’Europa è
divisa e non ha nessuna voglia di perdere importanti mercati per dare ad
Obama il suo pezzo di carne, posizione riassunta da Juncker nel suo
discorso di insediamento, con la dichiarazione che non ci saranno nei
prossimi anni estensioni dell’Unione. Questo dopo aver appoggiato un
golpe la cui giustificazione era il ripensamento del presidente eletto
su un ingresso dell’Ucraina della Ue.
Siamo di fronte a qualcosa di simile alla scoperta dell’uso dei gas
in Siria, segnalato per la cronaca dallo stesso “blogger” oggi
rabdomante di missili Buk, cosa che mi riempie di speranza, visto che
dopotutto non è così semplice procurarsi complicità e bisogna ricorrere
sempre agli stessi personaggi. Ma evidentemente Putin non è Assad, già
isolato nel contesto internazionale e a capo di un piccolo Paese,
ancorché ricco di idrocarburi sulle proprie coste: sta mantenendo i
nervi saldi e sta mettendo in crisi la strategia americana, tanto da
indurla a sperare e forse suggerire l’incidente per togliersi di
impaccio ora che il colpo ucraino è andato in acido con l’esercito di
Kiev impantanato nella guerra, la perdita della Crimea e tutto il
governo fantoccio che si regge unicamente sui finanziamenti dell’ Fmi.
Il tentativo Usa di opporsi, almeno dal punto di vista militare, alla
perdita della posizione unipolare, sta assumendo aspetti pericolosi e
grotteschi: ogni concessione a queste pretese avvicina il mondo allo
scontro diretto.
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