Dopo dieci anni di lotte, eccoci al
punto di partenza. Il programma politico del governo Monti sul lavoro
appare identico a quello dei governi Berlusconi. Difficile trovare
differenze tra Maroni, Sacconi e Fornero. E Marchionne sta portando a
compimento quello che Confindustria chiede da un decennio. Solo che in
mezzo c’è una crisi economica, quella scoppiata in America nel 2008 e
drammaticamente amplificata in Europa in questi mesi. La quale ha
dimostrato che quei dogmi erano fallaci, errati, controproducenti. Il
governo – così come l’Europa, d’altronde – prova a curare la malattia
iniettando in corpo lo stesso virus che l’ha procurata.
L’ultima
offensiva contro i diritti del lavoro, quella di questi ultimi mesi, è
la più pericolosa. Per vari motivi. In primis la crisi economica rende
più complessa una reazione: è difficile scioperare quando si è in cassa
integrazione. E forte, per molti lavoratori duramente colpiti dalla
recessione, è la spinta a conformarsi, ad abbandonare la lotta.
L’abbiamo visto a Melfi e a Taranto, dove gruppi di iscritti alla Fiom
hanno deciso di lasciare l’organizzazione, per rifugiarsi nella Cisl.
Poi c’è la debolezza della sinistra politica, finora incapace di alzare
una voce chiara e forte contro l’attacco in corso ai diritti del lavoro.
Eppure, proprio ora che la battaglia è più dura, non possiamo alzare
bandiera bianca.
La manifestazione dell’11 febbraio,
indetta dalla Fiom Cgil, è fondamentale proprio per questo. Serve a
mettere in campo una controffensiva. Come sappiamo la Fiom è sotto
attacco proprio nelle più importanti fabbriche del Paese, nella Fiat. Ad
essa è negato anche il diritto di indire assemblee, di scioperare, di
ricevere i contributi sindacali. I suoi iscritti sono vittime della
stretta padronale, sono tenuti fuori dalle fabbriche, vengono vessati
dai capi. I contratti capestro firmati da Cisl, Uil e Ugl vengono
applicati senza che ai lavoratori sia stato permesso di esprimersi con
un voto. Come sempre, la battaglia per i diritti del lavoro è anche una
battaglia per la democrazia. E se manca la democrazia nelle fabbriche,
manca nell’intero Paese. Anche per questo non possiamo far altro che
stare a fianco della Fiom. Pronti a non cedere neppure di un passo.
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