martedì 2 aprile 2013

Lettera aperta alle compagne e ai compagni di Rifondazione comunista. Frank Ferlisi

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze: Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può più mentire.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è ora falso di qiuel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto?
Su chi
contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprender più nessuno e da nessuno compresi?

O dobbiamo sperare soltanto
in un colpo di fortuna?
Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.
Bertolt Brecht



Carissime e carissimi, viviamo momenti di grande delusione e sconforto: l’ennesima sconfitta elettorale ci fa sentire inutili e irrilevanti. Molti, tra di voi, pensano, con un cuore pesantissimo, di tornare a casa, tanto tutto è inutile; altri ritengono che Rifondazione debba sciogliersi per dare vita, insieme ad altri, a una nuova forza di sinistra, altri ancora si dividono sui tempi lunghi o brevi del congresso.
Provo a dire la mia. Intanto, sarà per l’età e per averne viste tante, sarà perché conosco un pochino di Storia, a me questa ennesima sconfitta elettorale non mi ha prostrato, deluso certamente sì, un po’avvilito pure, ma non mi sento sull’orlo dell’abisso. Dobbiamo convincerci che in questa fase gli avvenimenti corrono e che non dobbiamo, in alcun modo, eternizzare il presente. Nelle elezioni comunali di Palermo, nel maggio 2012, per fare un esempio, il M5S prese una percentuale di voti appena superiore al 4%, meno della lista di coalizione formata da Rifondazione comunista e Verdi più soggetti di associazioni, movimenti, etc che totalizzò il 4,75% dei voti. A distanza di pochi mesi, 28 settembre 2012, alle elezioni regionali, i grillini divennero il primo partito della città. Quattro mesi appena e succede un terremoto. Oggi gli avvenimenti incalzano e non possiamo, anzi nessuno può crogiolarsi di risultati positivi ottenuti; basta poco e tutto si sovverte. Chi ci assicura che gli elettori di destra che hanno dirottato i loro suffragi su Grillo a febbraio, non tornino a dare la loro preferenza a Berlusconi? Oggi fare previsioni che abbiano un minimo di certezze è oltremodo difficile. La crisi economica, devastante, ha messo completamente a nudo la crisi politica in quanto i partiti –tutti!- non sanno che pesci pigliare per fermare e aggredire l’impoverimento progressivo e continuo delle masse popolari e di pezzi consistenti della piccola borghesia, un pericoloso processo di desertificazione industriale che minano alla base la coesione sociale, certezze, speranze sostituite da paure e sconforto. Una crisi politica che mette a nudo l’imputridimento delle istituzioni sottoposte ad attacchi e delegittimazione da una destra che rappresenta interessi fortissimi nel paese che vanno dalla borghesia mafiosa meridionale agli imprenditori, grandi piccoli e medi, che hanno vissuto di evasione fiscale, intrallazzi negli appalti, abusi più o meno condonati e il cui rappresentante più genuino è stato, ed è, Berlusconi. A cui centrosinistra e sinistra non hanno saputo opporre una politica chiaramente alternativa restando spesso sulla difensiva. Un attacco martellante alla magistratura, a una Costituzione che non consente al primo ministro di governare, alla legislazione sul lavoro e ai diritti ivi contenuti senza che –giova ripeterlo- centrosinistra e sinistra abbiano opposto una politica chiaramente alternativa, il più delle volte, anzi, hanno balbettato se non, addirittura, si sono resi complici.
Oggi i risultati sono davanti gli occhi di tutti e il movimento del comico genovese e i suoi eclatanti risultati elettorali sono la denuncia e la manifestazione di una crisi profonda, di fiducia, di consenso che ha logorato persino i più forti legami di appartenenza.
Persino parte del nostro popolo ha tagliato i legami che ci univano. Una parte non indifferente.
La nostra debacle viene da lontano. Per oltre dodici anni abbiamo navigato a vista con il timone saldamente in mano a un bravissimo timoniere. Per quanto bravo fosse, sempre a vista si navigava. Niente, o poco, si fece per rifondare un pensiero teorico e una pratica comunista all’altezza delle contraddizioni laceranti che la globalizzazione ci squadernava davanti. Una teoria che, a partire dalle contraddizioni e delle sofferenze sociali, dalla crisi della politica, dalle classi sociali presenti nel nostro paese, provasse a elaborare un Progetto politico che ponesse, in modo non catechistico, la necessità di un processo di transizione dal capitalismo a una società-Altra, al socialismo. Un processo di transizione che, partendo dai problemi, reali e concreti, dei lavoratori, dei pensionati, dei malati cronici, degli studenti, dell’ambiente, etc. etc. di oggi, puntasse al loro superamento con nuove istituzioni, un modo Altro di fare politica, di produrre di consumare, di interagire con l’ambiente. Non l’abbiamo fatto; abbiamo navigato a vista, con più o meno fortuna e più o meno abilità privilegiando la tattica su una strategia del tutto assente. Ecco l’origine di molti nostri errori che via via ci hanno fatto perdere pezzi di partito (otto scissioni), singoli iscritti, consenso, fiducia, credibilità.
Noi siamo parte integrante della crisi del sistema politico generale.
Possiamo uscirne? Dobbiamo uscirne.
Per prima cosa dobbiamo capire le ragioni della nostra sconfitta, intendo le ragioni strutturali e non quelle episodiche. Roberto Gramiccia afferma che se al posto di Ingroia ci fosse stato Maurizio Landini a capeggiare la lista, molto probabilmente Rivoluzione civile avrebbe superato il quorum. Potrei essere d’accordo, ma questo è un accidente; meno accidentale è, sempre per Gramiccia, l’epocale cambiamento della comunicazione nella nostra società dove si è imposta, diventando egemone nel senso gramsciano, una cultura che ci monadizza, ci isola, ci scompone. E la classe operaia, anche per il venir meno dei grandi partiti operai di massa, è venuta meno anch’essa. Ognuno è solo con i suoi problemi, con i suoi drammi e non riesce a contestualizzarli nel processo di esproprio e alienazione della società capitalista. L’affievolirsi della coscienza di classe è stata conseguenza di più fattori concomitanti con la conseguenza che, secondo recenti studi, gran parte del voto operaio è andato al M5S e a Berlusconi. Quindi: a) dobbiamo tornare a parlare con i lavoratori, operai e altre figure lavoratrici, vecchie e nuove; b) dobbiamo modificare le forme della comunicazione. Landini al posto di Ingroia? Anche, ma non solo. Forse si potrebbero riprendere forme oggi desuete di comunicazione. Ma è una cosa su cui aprire una riflessione. Senza salti pindarici, perché non abbiamo televisioni, ma i computer sì.
Un’altra cosa: siamo andati anni dietro ai tombini rotti, perché ci avevano spiegato che organizzare le masse per imporre alle amministrazioni comunali la pronta riparazione del tombino le avrebbe spinto verso il comunismo. Benissimo. A oltre vent’anni dalla nostra nascita possiamo provare a fare un bilancio? Siamo strutturati territorialmente, ma raramente siamo radicati nei territori, in particolare nelle città dove i quartieri sono entità amministrative, ma non più comunità fornite di una identità particolare. E il tombino rotto non ha portato al comunismo nessuno. Non solo, ma raramente si sono costruiti nuovi quadri. Avremmo dovuto cercare, invece, di radicarci nel conflitto sociale intervenendo con continuità presso una fabbrica, un call-center, un ospedale, insomma dove decine, centinaia, migliaia di lavoratrici e lavoratori sono costretti a stare insieme per sei- otto ore e soffrono delle prepotenze del capitale. Invece no! Noi cercavamo il tombino e, magari, a trecento metri dal circolo c’era una fabbrica occupata di cui allegramente ci disinteressavamo. 
Come i circoli di tanti paesi che facevano coincidere la politica esclusivamente col consiglio comunale e magari trascuravano una campagna contro la guerra o una raccolta di firme per un referendum abrogativo. La verità è che la scomposizione della classe lavoratrice è avvenuta senza che noi comunisti provassimo seriamente a opporre elementi di controtendenza, perché, appunto, impegnati a cercare il tombino. Invece di cercare di radicarci nella lotta di classe, ci siamo radicati nel … booo?!? Lo so bene che rischio di apparire ingeneroso, ma siamo ridotti in condizioni pietose e, a questo punto, dobbiamo essere spietati con noi stessi al fine di individuare i nostri errori e i nostri limiti.
Qualche compagno, dicevo all’inizio, afferma che Rifondazione comunista è talmente screditata che conviene rapidamente sciogliere l’organizzazione e costruire un nuovo soggetto politico con altre e altri. E’ un’opinione. Credo, però, di difficile realizzazione. Sciogliamo pure la nostra organizzazione, ma perché gli altri, le tante e i tanti militanti di sinistra esterni a noi, abbiano o non abbiano in passato transitato per le nostre file, dovrebbero assieme a noi costituire un nuovo soggetto politico? Se siamo screditati, lo siamo come gruppi dirigenti e militanti e gli altri avrebbero, giustamente, qualche problema a mettersi con noi. Poi, così facendo, ricadremmo, una ennesima volta, nello stesso errore: pensiamo al contenitore e non al progetto politico. E’ il progetto che unifica e/o divide. Se ti riconosci in esso, ti aggreghi, altrimenti saluti e baci, amici lo stesso. Se non c’è un progetto –io direi il Progetto- ogni sforzo è inutile e vano. Quindi i prossimi mesi per noi sono cruciali. O si pone il tema giusto –il Progetto di Rifondazione comunista- o sarà un’ennesima occasione persa e, allora, e solo allora, restare o meno diventa un tema serio.
Un altro problema non indifferente: costruire una nuova cosa con chi? A parte Sinistra ecologia e libertà, quello che è fuori da Rifondazione è molto mal messo, forse in condizioni peggiori della nostra. A parte la galassia di gruppetti e gruppettini che, nella maggior parte dei casi, mostra preoccupanti elementi di minoritarismo ed estremismo mentre noi, con tutti i nostri limiti, ci sforziamo di fare ragionamenti politici. Aggiungo un’altra cosa, che potrebbe sembrare sentimentale, ma che, a parer mio, non è irrilevante; in fondo siamo persone, con idee e sentimenti. Siamo una comunità politica, ma anche umana, litigiosa, conflittuale, tutto quello che volete. Siamo anche una struttura organizzativa pur con tutti i limiti alcuni dei quali sopra descritti. Costruire tutto questo è costato sudore e sangue, distruggerlo, come stiamo nostro malgrado facendo dal 2006, è penoso. Scioglierlo potrebbe essere criminale. Magari qualcuno pensa sia salutare, ma io mi permetto di dubitare.
Per costruire altro, una cosa nuova, forse necessaria, è imprescindibile passare dalla salvezza di Rifondazione comunista, dal restituirle, o addirittura darle un senso. Se ce la faremo, solo allora potremo passare ad altro.
Ecco che il congresso a tempi lunghi, costellati da seminari e iniziative, deve essere affrontato con la voglia di combattere una battaglia decisiva, una battaglia per la vita e per la morte non solo per Rifondazione comunista, ma, scusate la presunzione, per il comunismo italiano. Allora dobbiamo fare lo sforzo per rendere questo congresso un momento alto di analisi e di riflessione e solo chi avrà dato i contributi più ricchi e avrà risposto in modo convincente alla eterna domanda leniniana , entrerà nei gruppi dirigenti. A prescindere dalle correnti e altro.
Le correnti. Altra questione. Ci sono sempre state, in tutta la storia del movimento operaio rintracciamo correnti e aree, nei vecchi partiti socialisti e socialdemocratici e nei partiti comunisti. Prima erano ipocritamente proibite, ed era peggio, perché agivano nell’ombra. Ora sono libere e aperte e si riuniscono sempre, o quasi, alla luce del sole. Non si può negare, però, che da Chianciano in poi abbiano “frenato lo sviluppo delle forze produttive”, cioè fuor di metafora, abbiano bloccato il partito. Rimedi? Non svolgere più congressi su documenti contrapposti, ma su tesi, alcune divaricanti su cui si chiede un voto, in ogni caso emendabili. Altro rimedio potrebbe essere un ritorno alle origini: parte dei gruppi dirigenti vengono eletti su base territoriale, cioè parte di membri dei comitati federali eletti nei congressi di circolo e parte dei membri del comitato nazionale eletti nei congressi di federazione. Più in basso si va, più facile sfuggire alle regole ferree del correntismo. Una compagna o un compagno di grande prestigio in una federazione raccoglierebbe più facilmente voti unanimi per essere inserita/o nel comitato nazionale. Ma il rimedio vero sarebbe l’elaborazione del Progetto, cioè della scelta strategica del partito. Se si arrivasse a questo, le attuali correnti potrebbero scomporsi e ricomporsi sulle scelte tattiche. Se questo avvenisse, saremmo nella normale e sopportabile dialettica interna anche quando fosse aspra. Fino a oggi –occorre ammetterlo con sincerità- spesso lo scontro era finalizzato a inserire Caio piuttosto che Tizio all’interno dei gruppi dirigenti a prescindere del contributo che poteva dare che, in ossequio alla logica della fedeltà, poteva essere prossimo allo zero.
Non avviliamoci troppo. Le situazioni sono incommensurabili, però pensate ai nostri compagni e alle nostre compagne del Partito comunista d’Italia all’indomani della marcia su Roma o dopo il terribile discorso di Mussolini alla Camera (3 gennaio 1925) quando si assunse la responsabilità del delitto Matteotti: . Come credete che si siano sentiti molti compagni e compagne? Avviliti, frustrati, scoraggiati. Eppure hanno lottato. Molti sono stati mandati al confino, altri in carcere, altri ancora condannati a morte, molti sono andati in esilio. Ma ce la fecero nonostante i sacrifici pesantissimi. Il 25 aprile 1945 Mussolini venne fucilato. Hanno cambiato il mondo.
Ecco, questa missiva, con toni critici e autocritici, la consegno ai miei Compagni e alle mie Compagne, perché abbiano più coraggio e più fiducia, prima di tutto in se stessi. Siamo in grado di fare le cose giuste, e anche più. Dobbiamo attrezzarci a farlo. Facciamo di tutto perché questa occasione non ci scivoli via.
Frank Ferlisi
Palermo, 1 aprile 2013.

Guerre rovinano il mondo, uno spettro va in giro fra i ruderi.
Non nato dalla guerra: l’hanno visto anche in pace, da tempo.
Per chi comanda è tremendo; ma è amico ai ragazzi di strada.
Sbircia nelle cucine dei poveri, scuote la testa
su dispense semivuote, numera
chi sta sfinito lungo le staccionate
di sterri e di cantieri, visita amici
nelle carceri, dove anche senza permesso sa entrare.
L’hanno visto persino negli uffici; lo hanno ascoltato
negli atenei, qualche volta è salito persino
su carri armati giganti, ha volato su aerei mortali.
In molte lingue parla: in tutte. E in molte anche tace.
Ospite nei quartieri dei poveri, spavento ai palazzi,
venuto a restare per sempre: è Comunismo il suo nome.
Bertolt Brecht

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