Il
teorema di Stiglitz dal fronte keynesiano getta una bomba oltre le
trincee liberiste. Si fonda sul meccanismo di quella che gli economisti
chiamano «propensione al consumo»: i ricchi ce l'hanno più bassa del
ceto medio, dunque se la distribuzione del reddito li favorisce lo
shopping, contrariamente a quanto si potrebbe pensare intuitivamente,
si deprime. E' invece il ceto medio a consumare quasi tutto quello che
ha in tasca e a spingere Pil ed economia, quando la distribuzione del
reddito lo favorisce. La prova? Il grafico di Stiglitz è inattaccabile:
quando i ricchi (ovvero l' 1 per cento più ricco della popolazione) si è
appropriano del 25 per cento del reddito scoppia la «bomba atomica
economica». E' successo con la Grande Crisi degli Anni Trenta e con la
Grande Recessione di questo secolo. Altro che teorie liberiste che hanno
segnato gli ultimi trent' anni: «Gli apologeti della diseguaglianza
sostengono che dare più soldi ai più ricchi - scrive Stiglitz nella sua
relazione - sarà un vantaggio per tutti, perché porterebbe ad una
maggiore crescita. Si tratta di una idea chiamata "trickle-down
economics" (economia dell' effetto a cascata). Essa ha un lungo pedigree
e da tempo è stata screditata».
Con il teorema di Stiglitz viene inferto
un altro duro colpo all'ortodossia liberista dominante ai tempi della
grande crisi: se l' indice di Gini (ovvero l'indicatore che misura la
diseguaglianza) aumenta il «moltiplicatore» degli investimenti
diminuisce e dunque il Pil frena. Ecco perché.
È la diseguaglianza il vero killer del Pil. Nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri il Prodotto interno lordo segna il passo e, a volte precipita. Nelle nazioni dove si estende una grande middle class si affaccia invece la prosperità. Il premio Nobel Joseph Stiglitz rompe gli indugi e formalizza in un vero e proprio teorema, come egli stesso lo definisce, la sintesi degli studi che conduce da anni.
L' occasione per presentare gli straordinari risultati delle ricerche di Stiglitz in una sorta di anteprima mondiale, è il convegno organizzato a Roma dalla Sieds (la Società italiana di economia, demografia e statistica), cominciato ieri, dove il premio Nobel invierà le considerazioni conclusive, scritte a quattro mani, con il suo più stretto collaboratore italiano dell' Università Politecnica delle Marche, Mauro Gallegati.
Così il mainstream va nell' angolo. Il teorema è chiaro e lucido come una formula chimica o una relazione fisica: se l' indice di Gini (ovvero l' indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, appunto Corrado Gini) aumenta, dunque aumenta la diseguaglianza, il «moltiplicatore» degli investimenti diminuisce e dunque il Pil frena.
L'equazione di Stiglitz rischia di essere il terzo colpo agli assunti della teoria economica dominante ormai vacillanti. Il primo è stato nei mesi scorsi quello che ha messo in crisi il «dogma» dell' austerità: l' Fmi ha infatti calcolato che il taglio del deficit di 1 può ridurre il Pil di 2 e non solo – come si credeva fino ad oggi – di mezzo punto. L' altro colpo mancino è stato quello che ha smontato, smascherando un errore «Excel», la teoria del debito di Rogoff e Reinhard secondo la quale oltre il 90 per cento nel rapporto con il Pil porta inevitabilmente alla recessione.
Ma il nuovo assalto di Stiglitz rischia di essere ancora più pericoloso rispetto alle tesi dello status quo economico. La diseguaglianza infatti per il premio Nobel, fiacca fino ad uccidere il Pil, non solo per via della caduta dei consumi ma anche perché il sistema è «inefficiente» se prevalgono rendite e monopoli. «Spesso la caccia alla rendita – concludono Stiglitz e Gallegati – comporta un vero spreco di risorse che riduce la produttività e il benessere del paese».
È la diseguaglianza il vero killer del Pil. Nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri il Prodotto interno lordo segna il passo e, a volte precipita. Nelle nazioni dove si estende una grande middle class si affaccia invece la prosperità. Il premio Nobel Joseph Stiglitz rompe gli indugi e formalizza in un vero e proprio teorema, come egli stesso lo definisce, la sintesi degli studi che conduce da anni.
L' occasione per presentare gli straordinari risultati delle ricerche di Stiglitz in una sorta di anteprima mondiale, è il convegno organizzato a Roma dalla Sieds (la Società italiana di economia, demografia e statistica), cominciato ieri, dove il premio Nobel invierà le considerazioni conclusive, scritte a quattro mani, con il suo più stretto collaboratore italiano dell' Università Politecnica delle Marche, Mauro Gallegati.
Così il mainstream va nell' angolo. Il teorema è chiaro e lucido come una formula chimica o una relazione fisica: se l' indice di Gini (ovvero l' indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, appunto Corrado Gini) aumenta, dunque aumenta la diseguaglianza, il «moltiplicatore» degli investimenti diminuisce e dunque il Pil frena.
L'equazione di Stiglitz rischia di essere il terzo colpo agli assunti della teoria economica dominante ormai vacillanti. Il primo è stato nei mesi scorsi quello che ha messo in crisi il «dogma» dell' austerità: l' Fmi ha infatti calcolato che il taglio del deficit di 1 può ridurre il Pil di 2 e non solo – come si credeva fino ad oggi – di mezzo punto. L' altro colpo mancino è stato quello che ha smontato, smascherando un errore «Excel», la teoria del debito di Rogoff e Reinhard secondo la quale oltre il 90 per cento nel rapporto con il Pil porta inevitabilmente alla recessione.
Ma il nuovo assalto di Stiglitz rischia di essere ancora più pericoloso rispetto alle tesi dello status quo economico. La diseguaglianza infatti per il premio Nobel, fiacca fino ad uccidere il Pil, non solo per via della caduta dei consumi ma anche perché il sistema è «inefficiente» se prevalgono rendite e monopoli. «Spesso la caccia alla rendita – concludono Stiglitz e Gallegati – comporta un vero spreco di risorse che riduce la produttività e il benessere del paese».
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