martedì 4 giugno 2013

Rappresentanza sindacale, l’accordo in sei mosse di Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano

L’accordo sulla rappresentanza assomiglia alle “larghe intese” visto il numero di sostenitori disposti a garantirne bontà e validità. Ma cosa succede esattamente nei luoghi di lavoro? L’impatto si avrà esclusivamente sulle regole con cui vengono rinnovati i contratti e che le recenti vicende della Fiat hanno reso particolarmente delicate.    
1. Per la prima volta si viene misurati.  
Con le nuove regole, l’effettiva rappresentanza viene misurata conteggiando gli iscritti ai sindacati e i voti ottenuti alle Rsu, cioè le rappresentanze sui luoghi di lavoro. Il conteggio si farà sulla base delle deleghe relative ai contributi sindacali. Su questo punto si sconta il dissenso di quei piccoli sindacati, come ad esempio l’Usb o i Cobas, che, non essendo firmatari di contratti nazionali, non beneficiano delle trattenute sindacali e quindi non potranno essere conteggiati. Un altro punto di dissenso, più grave, riguarda il passaggio in cui l’accordo indica che ai fini della misurazione del voto espresso nelle Rsu “varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni organizzazione sindacale aderente alle confederazioni firmatarie della presente intesa”. I voti ad altri sindacati, per lo più minori, non saranno quindi validi
2. Si vota con il proporzionale (quasi)    
Le deleghe sindacali avranno un peso del 50% sui criteri di rappresentanza mentre l’altro 50% sarà calcolato sui voti ottenuti per le Rsu che, per la prima volta dal 1993, avverranno con metodo proporzionale integrale. Finora, infatti, Cgil, Cisl e Uil si garantivano il 33% dei seggi a prescindere dall’esito del voto. Questa norma è stata soppressa ma sconta i limiti visti al punto precedente.   
3. Soglia di sbarramento al 5%   
Quei limiti si ripercuotono nell’importazione della regola del pubblico impiego per cui per poter sedere al tavolo dei rinnovi contrattuali occorrerà avere una rappresentanza di almeno il 5% tra iscritti e votanti Rsu. Un modo per bloccare la proliferazione dei piccoli sindacati ma, senza la possibilità di godere delle trattenute sindacali, diventa una discriminazione nei loro confronti.    
4. Chi decide? 
Dopo la strategia di Marchionne, il problema della validità dei contratti firmati solo da una parte dei sindacati e non da tutti quelli più rappresentativi è diventata più insidiosa. L’accordo stabilisce che, da ora in poi, i contratti di lavoro saranno validi se sono formalmente sottoscritti da organizzazioni sindacali che rappresentino almeno “il 50% più 1” della rappresentanza definita sopra. Non solo, servirà anche la consultazione “certificata” dei lavoratori a maggioranza semplice. Se si fa un accordo, insomma, deve firmarlo la maggioranza dei sindacati o della Rsu e poi si procede al voto tra i lavoratori.    
5. Referendum o alzata di mano?      
Ma come decideranno i lavoratori? La modalità di consultazione è demandata alle categorie. Quindi non è stata risolta. In Fiom, ad esempio, c’è la pratica del referendum. La Cisl, storicamente, preferisce far votare i lavoratori in assemblea, con alzata di mano riservando, spesso, il voto solo agli iscritti al sindacato. Su questo è prevedibile assistere a un dibattito molto vivace. Il metodo di votazione influisce anche sulla scelta finale ed è prevedibile assistere a modalità diverse a seconda delle fabbriche o delle categorie.   
6. Si potrà ancora scioperare?   
E’ il punto più controverso. Secondo l’accordo i contratti siglati con le nuove regole “saranno efficaci ed esigibili” e l’accordo costituisce un “atto vincolante per entrambe le Parti”. Conseguentemente le Parti firmatarie “si impegnano a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti”. È un vincolo molto rigido preso dalle parti firmatarie a nome di tutti i lavoratori. E presumibilmente va interpretato come un impegno a non scioperare. La Confindustria, certamente, lo legge così. Anche i sindacati di base rimproverano alla Fiom di Landini, che ha avallato l’intesa, questo limite. Lo sciopero, però, è garantito dalla Costituzione e la sua limitazione è problematica senza una legge specifica. Non c’è dubbio che su questo punto ci saranno ancora interpretazioni e, probabilmente, numerosi contenziosi.

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