venerdì 2 maggio 2014

Che cos’è la crisi? La questione è semplice di Domenico De Simone

Crisi-economica1Il nuovo Chief Economist della Banca d’Inghilterra, Andrew Haldane ha recentemente dichiarato che l’intero sistema economico deve essere ripensato dalle fondamenta. Qui trovate il saggio dal quale sono tratte le sue affermazioni. La sua dichiarazione segue il report della Banca d’Inghilterra nel quale si afferma (finalmente!) che la gran parte del denaro in circolazione viene creato dalle Banche commerciali mediante i prestiti e che pertanto la creazione del denaro dipende dall’incremento del debito. Insomma, gli Inglesi che hanno fatto dell’innovazione dei sistemi bancari la loro arma vincente, si sono accorti che qualcosa non funziona e che il sistema sta sul punto del collasso e cercano soluzioni diverse. ovviamente in un’ottica di potere come hanno sempre fatto.  Mentre per noi la soluzione va nella opposta direzione dello smantellamento del potere.  E allora ripropongo questo articolo di un anno fa che spiega, in questa chiave interpretativa di cui ora si è accorta la Banca d’Inghilterra, che cos’è la crisi e come funziona. L’alternativa, come già avvertivo quindici anni fa è tra un cambiamento del sistema in una chiave di potere e un cambiamento in una direzione opposta di riduzione e di svuotamento del potere. Il resto segue necessariamente.

 Grande è la confusione che regna sotto il cielo: la situazione è eccellente. Questa frase che Mao Dse Dong pronunziò durante la rivoluzione culturale, rende perfettamente l’idea del momento che stiamo vivendo.
Tuttavia, proprio quando le cose sembrano più complicate, emerge l’estrema semplicità della natura dello scontro in atto. La questione è semplice: da una parte c’è una massa di ricchi sempre più ricchi e sempre più ristretta che vuole tutto, e dall’altra c’è una massa crescente di diseredati che vengono mano a mano esclusi da tutto.
Facciamo due conti. In Italia il debito aggregato è pari al 314% del PIL. Ricordo che il debito aggregato consiste nella somma dei debiti dello Stato, degli Enti pubblici, delle imprese e delle famiglie, insomma di tutti i debiti contratti in una nazione. Nel 2011, secondo il rapporto McKinsey, questo debito in Italia era arrivato a 3,14 volte il PIL.
Non stiamo messi troppo male, c’è chi sta peggio nel mondo ed è più indebitato di noi: Questo è il quadretto del debito aggregato dipinto dall’Istituto McKinsey:
debito-aggregato
Poiché nel 2011 il PIL era di 1.897,2 miliardi di euro ne deduciamo che il debito complessivo era di circa 4.966,5 miliardi di euro. Nel 2012 la situazione è molto peggiorata dal lato del debito, soprattutto quello delle famiglie e delle imprese che sono state costrette  dalla mancanza di liquidità a dare fondo alle riserve e ad indebitarsi per sopravvivere. Quindi se consideriamo il debito aggregato alla fine del 2012 ammontare a 5.000 miliardi di euro nessuno si scandalizzerà.
Ora questo debito, come tutti i debiti nel capitalismo, produce interessi. Quanti interessi? Anche qui possiamo fare un conto con una buona approssimazione, poiché i dati effettivi non sono disponibili per nessuno. A proposito, nemmeno i dati sul debito effettivo delle amministrazioni pubbliche sono disponibili, non perché i responsabili non li vogliano rendere noti, ma perché non si conoscono, come ha candidamente confessato il Ministro Grilli giusto ieri sera. Ma questa è un’altra questione. Dicevamo che possiamo dedurli con buona approssimazione per difetto, mantenendoci molto cauti sul punto. I 5.000 miliardi sono composto da circa 2.000 miliardi di debito pubblico, che attualmente costano 106 miliardi di interessi, quindi ad un tasso di poco superiore al 5% annuo. In realtà i rendimenti di questo debito tendono a rialzare per via del fatto che ancora adesso paghiamo interessi su titoli collocati quando lo spread era molto basso e quindi a tassi intorno al 3,5/4%, ma ora la situazione del debito dello Stato è questa. I debiti delle imprese e delle famiglie sono gravati da interessi decisamente più elevati, basta fare un poco di conti per vedere quanto in media si paga di interessi reali sul debito per comprare una lavatrice o su un mutuo per la casa. Se consideriamo un differenziale rispetto ai titoli di Stato di 4 punti percentuali restiamo in un ambito molto ragionevole. Quindi, sui 3.000 miliardi di debiti delle imprese e delle famiglie possiamo considerare un tasso medio del 9%, il che comporta un onere annuo per interessi di circa 270 miliardi. Sommando i 106 dello Stato, quest’anno gli italiani tutti pagheranno circa 370 miliardi di interessi sui loro debiti, ovvero poco più del 20% del PIL.
Ebbene, a chi vengono pagati questi interessi? Ma ovviamente a chi detiene gli strumenti finanziari che sono portatori di questi interessi, e quindi ai detentori dei titoli del debito pubblico e privato (obbligazioni quotate in borsa) ed alle banche che hanno prestato i soldi alle imprese ed ai privati. Una parte di questi titolari di ricchezza finanziaria sono famiglie. Tuttavia la distribuzione della ricchezza è caratterizzata da forti diseguaglianze. L’indice di Gini in Italia, ovvero l’indice che misura la distribuzione della ricchezza era nel 2011 a 0,624 (su una scala che va da 0 (massima distribuzione a 1 minima distribuzione). Questo è il rapporto di Bankitalia che contiene questi dati. La metà della popolazione italiana possiede il 9,4% della ricchezza, mentre il 10% della popolazione possiede il 45,9% della ricchezza complessiva. In questa scala è compresa la ricchezza derivante dalle attività e dagli immobili, mentre non è chiara la distribuzione della ricchezza finanziaria che ammonta complessivamente a 3.541 miliardi di euro. Se stimiamo che la ricchezza finanziaria sia posseduto in buona parte dal 10% della popolazione più ricca non credo che nessuno possa obiettare alcunché. Molta gente ha la casa (oltre l’80% della popolazione), ed è questa la ragione per cui il 50% della popolazione più povera possiede il 9,4% della ricchezza, ma è altamente probabile che la ricchezza finanziaria sia distribuita su una scala che contempla una maggiore sperequazione tra i più ricchi e i più poveri. D’altra parte la quota dei titoli del debito pubblico detenuta dalle famiglie è solo del 5,2%, in forte diminuzione rispetto al 14% che era detenuto dalle famiglie negli anni 90.
In ogni caso, gli interessi sul debito vanno a remunerare la rendita finanziaria. Di fatto si tratta di 370 miliardi di euro che vengono sottratti al lavoro e remunerano la rendita. E, dato che la distribuzione è ineguale, anche se gli strumenti finanziari fossero distribuiti come totale della ricchezza del paese, è evidente che c’è una fascia di popolazione che diventa sempre più ricca ed una che diventa sempre più povera e indebitata.
La cosa interessante è che i 370 miliardi di euro sono la somma che sarebbe sufficiente per distribuire un reddito di cittadinanza a tutti i cittadini adulti nella misura di 675 euro al mese e a tutti i cittadini (compresi poppanti, immigrati e chiunque sia iscritto all’anagrafe) la somma di € 506 al mese. Se poi prendiamo le somme che vengono spese per la previdenza e l’assistenza sociale, nonché gli ammortizzatori pubblici e li accorpiamo in un’unica erogazione eliminando tutti i controlli e relativi costi diretti ed indiretti, questa somma può benissimo arrivare a 1.000 euro al mese a testa per tutti. Se poi invece consideriamo i nuclei familiari (la distribuzione è di 2,5 persone a famiglia) il RdC ammonterebbe a 1.266 euro mensili per famiglia solo considerando i soldi che vengono dagli interessi sul debito.
Consideriamo, infine, che sugli interessi (e in genere sulla ricchezza finanziaria) il livello di tassazione è il 12,5% mentre sul lavoro gli ultimi dati riportano un livello record di peso fiscale del 52% che in molto casi arriva fino al 70/80%.
In altri termini, questo sistema premia la rendita e punisce il lavoro, esattamente il contrario di quello che dice la Carta Costituzionale per la quale l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. In realtà l’Italia è (forse)una Repubblica fondata sulla rendita finanziaria!
Molti storceranno il naso e diranno che non si può pensare di punire il risparmio degli italiani togliendo loro gli interessi su quello che hanno investito e che senza la funzione del credito svolta dalle banche, la società si fermerebbe il giorno dopo. E che comunque si tratta di diritti legittimi di chi ha risparmiato ed ha guadagnato dei soldi ed ha ottenuto una rendita dal proprio capitale.
Sono perfettamente d’accordo. Anche alla fine del settecento, un pugno di persone ricche, erano sempre di meno ma sempre più ricche, fondava sul diritto divino la proprietà delle terre da cui ricavavano la rendita fondiaria. L’Imperatore era stato investito dal Papa del diritto di proprietà su tutte le terre della nazione ed aveva distribuito questi diritti tra i nobili. Quale maggior diritto di quello che deriva addirittura dal Signore e dal suo rappresentante in terra, il Papa? Chi osava mettere in dubbio la legittimità di questo diritto veniva incarcerato, torturato e sovente messo a morte. Il sistema andò avanti per circa mille anni (diciamo dall’incoronazione di Carlo Magno fino alla Rivoluzione francese) ma poi i problemi e le diseguaglianze erano divenute tali che persino il Signore ed il Papa furono messi in discussione. Si trattò di una discussione animata che andò per le spicce, subito al sodo. Non durò molto tempo. Nel giro di qualche mese, rotolarono un po’ di teste e l’origine divina dei diritti dei nobili finì nell’archivio della storia. Fu scritto un nuovo patto sociale che si fondava sulle esigenze della produzione e dei commerci, in altri termini della borghesia produttiva che era la vera vincitrice del confronto.
Orbene, se pensiamo all’origine del denaro, al modo in cui viene creato ed all’assurdità che esso renda un interesse, ci rendiamo conto che la situazione di oggi non è molto diversa da quella di allora. I diritti si fondano su una legge che privilegia qualcuno in danno di molti. Sarà legale, ma è profondamente ingiusto. Un numero sempre più ristretto di persone gode di una ricchezza crescente contro una maggioranza di persone che ne hanno sempre di meno e che fanno fatica a sopravvivere,. Mentre la società gronda ricchezza ed abbondanza da ogni lato. Il sistema è diventato un problema, invece di sviluppare la società e le forze produttive le penalizza in favore di una classe di rentiers. Non è arrivato il momento di ripensarlo dalle fondamenta, di scrivere un nuovo patto sociale, prima che ricomincino a rotolare le teste anche questa volta?

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