La Fiat di Marchionne si è fermata a Pomigliano. Trasformato in uno stabilimento modello, tant’è che il prossimo 7 novembre sarà premiato a Lipsia da una giuria internazionale, il migliore fra oltre 700 nella produzione snella, il sito è l’altra faccia della crisi del primo gruppo industriale italiano. A Pomigliano è finita in cassa integrazione gente che ha detto sì a più dure condizioni di lavoro e a meno diritti, pur di lavorare. Che ha creduto nel progetto di Marchionne, ex Fabbrica Italia, e ora si ritrova di colpo a casa perché i mercati non tirano come pianificato dal management. Ma non può essere solo colpa della finanza o della recessione.
L’amministratore delegato ha detto di tutto in questi mesi. Tranne che una Fiat senza Chrysler perde soldi, ma una Fiat con Chrysler perde centralità nello sviluppo, nella ricerca e negli investimenti. Ha annunciato che due fabbriche su quattro in Italia sono a rischio chiusura, poi a crisi peggiorata ha detto che una sola è a rischio; ha evocato imprecisate «nuove condizioni» per lasciare la Fiat in Italia, poi ha avuto un incontro con Monti definito «perfetto».
Il presidente del consiglio e Passera vedono vicina la fine della crisi, Fornero chiede alle imprese di investire. Marchionne annuncerà cosa fare, compresa la chiusura di «un» impianto dopo i conti del terzo trimestre, il prossimo 31 ottobre. E prima, il 9, ci sarà l’appello contro la sentenza che obbliga la Fiat ad assumere a Pomigliano anche operai iscritti alla Fiom. Se sarà un’altra sconfitta per l’azienda, il sospetto che il manager mescoli a suo uso conti in rosso e decisione della magistratura è forte.
Anche altri produttori di automobili europei stanno male, tra cui le tedesco-americane Ford e Opel. In Francia, c’è una coincidenza che sembra una maledizione: negli ultimi trent’anni, ogni volta che un costruttore locale annuncia la chiusura di una fabbrica – oggi Peugeot ad Aulnay, nel 1997 la Renault a Vilvoorde in Belgio, nel 1983 la chiusura della Talbot – al governo ci sono sempre i socialisti. Ma se Monti dice che Marchionne è libero di fare quel che vuole, Hollande almeno si è messo di traverso per Aulnay. L’ottimismo sul futuro prossimo del nostro governo tecnico non è neanche della volontà.
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