Tra l’anno passato e quello in corso sono ben cinque le manovre[1],
dei governi Berlusconi e Monti, che hanno aumentato le entrate e
tagliato la spesa pubblica, con un impatto complessivo sul triennio
2012-2014 pari addirittura a 120 miliardi di euro (Banca d’Italia). A
queste manovre si aggiunge la nuova Legge di Stabilità che rimodula una
parte degli interventi pregressi per un valore pari a quasi 13 mld di
euro, con un ulteriore contributo al saldo finanziario di 5 mld.
L’effetto di queste manovre è stato e sarà fortemente recessivo, ed è a dir poco sottostimato da Monti. Infatti, ormai certificato che queste manovre hanno contribuito ad abbattere il Pil nel 2012 almeno di due punti e mezzo, il governo prevede ottimisticamente che già il prossimo anno la caduta dovrebbe arrestarsi
(-0,2%). E questo essenzialmente perché – dopo i pesanti cali dei
consumi e degli investimenti di quest’anno (stimati, rispettivamente,
del 3,6% e del 10,6%) – secondo Monti nel 2013 i consumi si ridurranno
appena dello 0,5% mentre gli investimenti dovrebbero già cambiare segno,
marcando una prima significativa ripresa (più 0,9%)[2].
Ma le previsioni dei professori al governo non convincono affatto.
In realtà, utilizzando stime realistiche circa il moltiplicatore
della politica fiscale (che qui opera ovviamente in negativo), nelle
condizioni attuali e con le manovre effettuate dal governo è corretto
assumere che il valore della produzione nazionale dovrebbe contrarsi nel 2013 di circa due punti percentuali[3].
Ed
è importante notare che, nonostante il sacrificio recessivo imposto da
queste politiche, l’agognato “risanamento” continua ad essere un
miraggio e il peso del debito pubblico non cessa di crescere.
D’altra parte, se il PIL prosegue la sua diminuzione è ben facile che
il rapporto debito/PIL cresca: sia perché il denominatore diminuisce,
sia perché una contrazione del PIL frena la crescita delle entrate
fiscali, contribuendo anche per questa via a peggiorare le condizioni
della finanza pubblica. Certo, la pressione fiscale è prevista in aumento,
passando dal 44,7% del 2012 al 45,3% del 2013. Ma non tutte le entrate
hanno lo stesso segno. Le entrate tributarie dirette registrano,
infatti, un calo coerente con la dinamica dei redditi (si passa dai 243
mld del 2012 ai 241 del 2013), mentre le imposte indirette crescono
(dai 236 mld del 2012 ai 253 del 2013)[4].
E
ben poco conta che il governo - almeno parzialmente consapevole
dell’effetto depressivo delle manovre sulla domanda aggregata - abbia
provato ad accrescere la domanda di consumi, rimodulando leggermente
l’Irpef: il piccolo taglio delle aliquote vale poco più di 4 mld nel
2013 e circa 6 e mezzo nel 2014. Ma queste minori tasse sono purtroppo
compensate dal resto della manovra. In primo luogo, dalla riduzione
delle agevolazioni e delle detrazioni fiscali (maggiori entrate per
oltre 2 mld di euro). Poi dalla spending review, che va a
recuperare non meno di 20 mld di euro, e dall’aumento dell’Iva di un
punto percentuale. E, in conclusione, dagli ulteriori tagli dei
trasferimenti agli enti locali (pari a 2,2 mld di euro, a cui si
aggiunge il taglio di quasi due miliardi ai ministeri) che prefigurano
uno Stato residuale rispetto all’insieme dell’economia del paese. Non
bisogna, infatti, dimenticare che la spesa primaria dell’Italia è tra le
più contenute dei paesi di area euro, e alle tasse pagate già
corrisponde una quantità e qualità di servizi assolutamente
insoddisfacente.
Insomma, il governo è ingessato dalla sua politica di austerità che pone drastici saldi obiettivo di finanza pubblica e in particolare il pareggio di bilancio (strutturale)[5]. Nulla di nuovo, dunque, sotto il cielo del governo Monti. La Legge di Stabilità conferma l’impronta conservatrice di una politica che genera decrescita, disoccupazione e smantella quel po’ che rimane dello stato sociale. Aspettando che le misure legate all’applicazione del fiscal compact – che dovrebbero accelerare l’abbattimento del debito pubblico – facciano il resto.
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