Il debito pubblico non c'entra niente con la crisi.
Certo, è una variabile che ha il suo peso, ma è tutt'altro che una
“causa”.
Piuttosto, è una conseguenza necessaria di un modello di sviluppo che ha fatto della finanza allegra l'unico modo di proseguire con l'accumulazione dopo l'emergere della sovrapproduzione.
Un esempio, per farci capire, viene dalla Danimarca. Come ricorda un ottimo pezzo del Sole24Ore, “una delle pochissime triple A dell'Unione europea. E paga per finanziare il debito a 10 anni l'1,49%, poco più della Germania con il suo Bund (1,28%). Ha un tasso di disoccupazione pressoché fisiologico (4,6%) e un rapporto debito/Pil del 45,6 per cento. L'inflazione a marzo si è attestata all'1,2 per cento. La Danimarca, numeri alla mano, è un'economia modello.”
Uno di quei paesi, insomma, che spiegano ai Piigs che devono sputare sangue per mettere ordine nei propri conti mentre, nello stesso momento, guadagnano dalla loro crisi (potersi finanziare a costo quasi zero è un bel “vantaggio competitivo”, non c'è che dire).
Eppure anche qui il cancro della crisi sta per esplodere. E nel solito modo: bolla immobiliare, mutui inesigibili, banche che vanno in rosso, Stato chiamato a risolvere i problemi creati dagli imprenditori privati più speculativi.
In Danimarca, infatti, si è risposto alla crisi immobiliare nel modo più idiota che si potesse immaginare (dal punto di vista del sistema, non certo da quello individuale degli speculatori e neppure dei “consumatori”): incentivando i mutui “interest only”. Cosa sono? Citiamo ancora l'ottimo Vito Lops: “Prestiti che prevedono per i primi anni il pagamento dei soli interessi, rinviando il momento in cui iniziare ad ammortare il capitale. Per questo motivo vanno bene in tutte le fasi, comprese quelle recessive, in quanto consentono anche a categorie meno abbienti di sobbarcarsi il peso di un mutuo (perlomeno nei primi anni). Non a caso la diffusione di questo prodotto - il cui boom è iniziato nel 2003 - ha contribuito all'impennata del debito privato in Danimarca che oggi è pari al 322% del reddito delle famiglie”.
E qui, come si intuisce, le cose diventano molto complicate. Si può infatti avere un debito pubblico bassissimo, ma se quello privato – e soprattutto quello delle “famiglie” - arriva a queste cifre, un paese diventa comunque “a rischio”. Non esiste infatti, in natura, quella separazione ideologica tra pubblico (sempre “inefficiente e burocratico”) e privato (sempre “intelligente e dinamico”) che i liberisti e i loro servi stupidi hanno propagandato per oltre venti anni: il debito è debito, chiunque lo abbia contratto. E se i privati cittadini “falliscono” (ossia si impoveriscono, perdono la casa, non pagano più i mutui, ecc), anche lo Stato va a rotoli (deve intervenire per salvare le banche, ma anche i cittadini privati per impedire che esplodano crisi sociali devastanti, ecc).
Il meccanismo dei mutui “interest only” è quanto più di simile ad una bomba ad orologeria si potesse inventare, in campo finanziario. Le rate da pagare finché il conto riguarda i “soli interessi” sono molto basse. Quindi invogliano soprattutto i giovani e i ceti meno abbienti, perché in fondo - specie nel “grande Nord” europeo – ci si era abituati a pensare che “ora ho poco, ma tra qualche anno andrà meglio”. Poi, a scadenza prefissata, entra in ballo anche la restituzione di una quota di capitale. E larata diventa imemdiatamente molto più alta. Se nel frattempo il mutuatario non ha incrementato il suo reddito corrente (un lavoro migliore, una qualifica più alta) ecco che si ritrova improvvisamente “povero”, quindi incapace di far fronte al pagamento delle rate.
La crisi ha i suoi tempi, esplode quando le pare e se ne frega delle scadenze contrattuali. Le quali riaguardano invece “famiglie” e banche. Il meccanismo che si mette in moto automaticamente in questi casi è molto conosciuto e studiato: non si paga più il mutuo, si perde la proprietà della casa, la banca se la prende e la mette all'asta per recuperare il prestito. Ma se il fenomeno riguarda decine di migliaia di famiglie ecco che le case non vengono vendute per mancanza di acquirenti, i prezzi crollano, le banche si titrovano delle voragini di crediti inesigibili là dove pensavano di avere un patrimonio solido come un mattone.
È quello che sta avvenendo in Danimarca. Dove si stima che 100.000 famiglie (in un paese di 5,5 milioni di abitanti...) avranno presto bisogno di aiuti per non dinire per strada.
Ora il Fondo monetario internazionale lancia l'allarme, molti paesi hanno dichiarato illegali questo tipo di mutui, ecc. Si corre a chiudere le stalle, la i buoi – sotto forma di crediti inesigibili – sono già scappati e non torneranno indietro. Altro carburante per il fuoco della crisi, altri paesi che entrano nel cerchio infernale, altro contagio bancario che incrina le “certezze” e mina la “fiducia”.
Ma trovateci un “opinionista” di vaglia che abbia mai fustigato in anticipo il “debito privato” facile...
Piuttosto, è una conseguenza necessaria di un modello di sviluppo che ha fatto della finanza allegra l'unico modo di proseguire con l'accumulazione dopo l'emergere della sovrapproduzione.
Un esempio, per farci capire, viene dalla Danimarca. Come ricorda un ottimo pezzo del Sole24Ore, “una delle pochissime triple A dell'Unione europea. E paga per finanziare il debito a 10 anni l'1,49%, poco più della Germania con il suo Bund (1,28%). Ha un tasso di disoccupazione pressoché fisiologico (4,6%) e un rapporto debito/Pil del 45,6 per cento. L'inflazione a marzo si è attestata all'1,2 per cento. La Danimarca, numeri alla mano, è un'economia modello.”
Uno di quei paesi, insomma, che spiegano ai Piigs che devono sputare sangue per mettere ordine nei propri conti mentre, nello stesso momento, guadagnano dalla loro crisi (potersi finanziare a costo quasi zero è un bel “vantaggio competitivo”, non c'è che dire).
Eppure anche qui il cancro della crisi sta per esplodere. E nel solito modo: bolla immobiliare, mutui inesigibili, banche che vanno in rosso, Stato chiamato a risolvere i problemi creati dagli imprenditori privati più speculativi.
In Danimarca, infatti, si è risposto alla crisi immobiliare nel modo più idiota che si potesse immaginare (dal punto di vista del sistema, non certo da quello individuale degli speculatori e neppure dei “consumatori”): incentivando i mutui “interest only”. Cosa sono? Citiamo ancora l'ottimo Vito Lops: “Prestiti che prevedono per i primi anni il pagamento dei soli interessi, rinviando il momento in cui iniziare ad ammortare il capitale. Per questo motivo vanno bene in tutte le fasi, comprese quelle recessive, in quanto consentono anche a categorie meno abbienti di sobbarcarsi il peso di un mutuo (perlomeno nei primi anni). Non a caso la diffusione di questo prodotto - il cui boom è iniziato nel 2003 - ha contribuito all'impennata del debito privato in Danimarca che oggi è pari al 322% del reddito delle famiglie”.
E qui, come si intuisce, le cose diventano molto complicate. Si può infatti avere un debito pubblico bassissimo, ma se quello privato – e soprattutto quello delle “famiglie” - arriva a queste cifre, un paese diventa comunque “a rischio”. Non esiste infatti, in natura, quella separazione ideologica tra pubblico (sempre “inefficiente e burocratico”) e privato (sempre “intelligente e dinamico”) che i liberisti e i loro servi stupidi hanno propagandato per oltre venti anni: il debito è debito, chiunque lo abbia contratto. E se i privati cittadini “falliscono” (ossia si impoveriscono, perdono la casa, non pagano più i mutui, ecc), anche lo Stato va a rotoli (deve intervenire per salvare le banche, ma anche i cittadini privati per impedire che esplodano crisi sociali devastanti, ecc).
Il meccanismo dei mutui “interest only” è quanto più di simile ad una bomba ad orologeria si potesse inventare, in campo finanziario. Le rate da pagare finché il conto riguarda i “soli interessi” sono molto basse. Quindi invogliano soprattutto i giovani e i ceti meno abbienti, perché in fondo - specie nel “grande Nord” europeo – ci si era abituati a pensare che “ora ho poco, ma tra qualche anno andrà meglio”. Poi, a scadenza prefissata, entra in ballo anche la restituzione di una quota di capitale. E larata diventa imemdiatamente molto più alta. Se nel frattempo il mutuatario non ha incrementato il suo reddito corrente (un lavoro migliore, una qualifica più alta) ecco che si ritrova improvvisamente “povero”, quindi incapace di far fronte al pagamento delle rate.
La crisi ha i suoi tempi, esplode quando le pare e se ne frega delle scadenze contrattuali. Le quali riaguardano invece “famiglie” e banche. Il meccanismo che si mette in moto automaticamente in questi casi è molto conosciuto e studiato: non si paga più il mutuo, si perde la proprietà della casa, la banca se la prende e la mette all'asta per recuperare il prestito. Ma se il fenomeno riguarda decine di migliaia di famiglie ecco che le case non vengono vendute per mancanza di acquirenti, i prezzi crollano, le banche si titrovano delle voragini di crediti inesigibili là dove pensavano di avere un patrimonio solido come un mattone.
È quello che sta avvenendo in Danimarca. Dove si stima che 100.000 famiglie (in un paese di 5,5 milioni di abitanti...) avranno presto bisogno di aiuti per non dinire per strada.
Ora il Fondo monetario internazionale lancia l'allarme, molti paesi hanno dichiarato illegali questo tipo di mutui, ecc. Si corre a chiudere le stalle, la i buoi – sotto forma di crediti inesigibili – sono già scappati e non torneranno indietro. Altro carburante per il fuoco della crisi, altri paesi che entrano nel cerchio infernale, altro contagio bancario che incrina le “certezze” e mina la “fiducia”.
Ma trovateci un “opinionista” di vaglia che abbia mai fustigato in anticipo il “debito privato” facile...
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