Alberto Burgio immagine dal sito: www.emsf.rai.it |
Dalle colonne del “Manifesto” di Mercoledì 22 Maggio,
Alberto Burgio analizza la situazione politica italiana all’insegna del “La
politica si illude, in attesa dell’incendio” valutando essenzialmente come sia
la crisi del PD che non “matura” (“congelamento” definisce l’autore lo stato
delle cose in atto all’interno del Partito Democratico) il fattore che blocca
qualsiasi altra iniziativa a sinistra.
Ciò avviene pur in presenza, come è riconosciuto nello
stesso articolo, di uno spazio a sinistra dello stesso PD non meno
vasto, e forse ancora più ampio, di quanto non fosse dieci anni or sono.
L’argomentazione è utile per sottolineare alcuni punti del
tutto dirimenti, rispetto al dibattito che è necessario aprire nella sinistra
d’alternativa intorno all’esigenza ineludibile di nuova soggettività: qualcosa,
in verità, come nell’ipotesi di costruzione di Ross@ si sta muovendo, ma è bene
ribadire alcuni punti di analisi cercando anche, per quanto si possa esserne
capaci, di svilupparli in positivo.
La situazione attuale, di blocco e frantumazione di quella
che è stata e dovrebbe essere l’area della sinistra d’alternativa, è dovuta
essenzialmente non tanto a un deficit di analisi sociologica rispetto ai
mutamenti in atto, quanto ad un eccesso di politicismo esercitato da parte dei
gruppi dirigenti (o presunti tali) e a un’assenza di autonomia, in particolare
da parte dei settori intellettuali di riferimento della nostra area politica.
Enunciando questi due punti si intende forse riproporre una
riedizione della teoria delle élite? Senza alcun infingimento di maniera e
senza cedere alcunché alle mode movimentiste, va detto subito che non ci sono
difficoltà a correre il rischio: senza un nucleo centrale di dirigenti politici
e di intellettuali di riferimento difficilmente potrà svilupparsi un progetto
politico che, invece, è necessario cercare di mettere in campo in tempi rapidi,
per quanto possibile.
Una soggettività politica della sinistra d’alternativa
adeguata alla qualità dello scontro in atto in Italia e in Europa non può però
nascere seguendo appunto le linee politiciste dello “spirito di scissione”.
C’è poco e nulla da aspettarsi dall’eventuale (e
improbabile) “implosione” del PD: partito che, va fatto notare ancora una
volta, vive (se l’affermazione “vive” non potrà apparire un poco esagerata) di “flussi
elettorali”, quindi indisponibile comunque, anche nell’eventualità di una
rottura, a rappresentare soggetto per la costruzione di un blocco sociale
anticapitalistico, come invece appare essere assolutamente necessario.
Come dimostra, del resto, la parabola di SeL non potrà più
verificarsi che, per scissioni successive, un soggetto politico raggiunga una
propria autonomia e una propria identità, sia sul piano della proposizione
culturale, sia su quello del riferimento sociale (questo delle scissioni
effettivamente rappresentative di un corpo politico collegato a realtà sociali
vive e operanti è davvero un retaggio antico non riproponibile adesso. Le esperienze
del PSLI, dello PSIUP, del Manifesto restano confinate all’interno dell’analisi
storica.)
Così come non potrà nascere in questo modo un ipotetico
Partito del Lavoro (a parte le difficoltà specifiche che questa ipotesi ha
sempre incontrato nella complessa realtà del nostro paese, e l’assenza di
riferimenti europei adeguati): non sarà attraverso pezzettini del PD, SeL,
qualche po’ di Rifondazione e dei Comunisti Italiani con l’avallo della FIOM e
di qualche movimento collaterale (fortemente collaterale, ai limiti dell’usata
“cinghia di trasmissione”) che potrà formarsi il nuovo soggetto: sempre in
attesa che la “casa madre” bruci.
Serve, prima di tutto, eliminare il politicismo di cui è
stata intrisa la storia dei gruppi dirigenti dell’ex e ormai defunta sinistra
italiana: un politicismo stretto tra personalizzazione e movimentismo che
avevano trovato in un’inedita “vocazione di governo” (la disgraziata “Unione”
del 2006, prodromica ai disastri dell’Arcobaleno e della Rivoluzione Civile) il
punto di sintesi e di alimento per un vorace ceto politico.
In secondo luogo occorre presentare alla sinistra
d’alternativa italiana, ai suoi militanti e, prima di tutto, al complesso della società, nei suoi diversi
settori colpiti così ferocemente dalla gestione capitalistica della crisi, un
progetto di trasformazione dello stato di cose presenti in completa autonomia,
sul piano teorico, programmatico, organizzativo.
Un progetto da realizzare per aggregazioni successive in
forma democratica ( abbiamo pensato a recuperare, ovviamente, aggiornandolo, il
concetto di “democrazia consiliare”), costruendo un’identità forte in modo da
poter esercitare, di conseguenza, reale egemonia.
In questo senso si presenta, se saremo capaci di ragionarci
collettivamente da subito, un’occasione storica perché, va affermato con
convinzione, non siamo sul terreno delle intuizioni illuministiche ma su
quello, immediato, delle esigenze sociali e politiche.
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