di Luciano Muhlbauer - Il Manifesto
«Assassini neri» sparato in prima pagina, la richiesta di
pattugliare le strade con l’esercito e le ronde, l’accusa di istigazione
a delinquere per chi propone lo ius soli, lettere di minacce al
sindaco, presidi, insulti e persino banchetti in tempo reale sul luogo
del delitto.
Una settimana dopo la furia omicida di Mada Kabobo, che ha rubato la vita a Alessandro Carolè, Daniele Carella e Ermanno Masini, le cui esequie si sono svolte ieri, è questo il bilancio provvisorio dell’escalation politica innescata a Milano dalle destre di ogni risma.
Nulla di nuovo, direte. E peraltro non sono troppo nuovi nemmeno i protagonisti di queste strumentalizzazioni, che si chiamano Lega, Pdl, Fratelli d’Italia, Forza Nuova, Casa Pound, De Corato, Salvini, Borghezio eccetera. Ha voluto dire la sua persino l’avvocato di Berlusconi e neanche un Beppe Grillo in piena campagna elettorale ha resistito alla tentazione di strizzare l’occhio alla xenofobia, scrivendo lo squallido post sui «Kabobo d’Italia». Insomma, sono tornati gli sciacalli, quelli che se ne fregano altamente del dolore altrui e che sono disposti a cavalcare qualsiasi tragedia o crimine pur di ricavarne qualche profitto politico.
Ma appunto, nulla di nuovo, cose già viste e vissute, un milione di volte. In fondo, sono passati soltanto tre anni da quando Moratti, De Corato e Salvini, allora al governo della città, si erano inventati il coprifuoco in via Padova, in nome della sicurezza e del «pericolo» immigrati. Ma quel coprifuoco fu anche l’inizio della loro fine: il vento stava per cambiare e nella primavera successiva le loro campagne d’odio si arenarono nella grottesca «zingaropoli islamica» e Pisapia fu eletto Sindaco di Milano.
La primavera milanese, con la sua grande partecipazione popolare, e la drammaticità della crisi economica avevano cambiato la percezione delle cose. I discorsi securitari, xenofobi e razzisti non tiravano più come prima e le destre milanesi erano ammutolite. E molti di noi si erano illusi che quei discorsi fossero sconfitti una volta per tutte. Abbiamo voluto dimenticare, abbiamo rimosso. Comprensibilmente, beninteso, perché era come respirare all’improvviso aria più pulita.
Fu però un’illusione, perché nulla è mai acquisito per sempre e le crisi tendono a riprodurre quotidianamente le condizioni per certi discorsi. E poi, anche l’entusiasmo e la partecipazione del 2011 non ci sono più. Certo, sbaglia chi oggi teorizza l’esaurimento dell’esperienza arancione milanese, perché il sindaco gode tuttora di un consenso maggioritario in città, ma sbaglia altrettanto chi fa finta di niente e si rifiuta di vedere i segnali di pericolo, gli scricchiolii e le troppe delusioni accumulate.
Le odierne urla e iniziative delle destre non sono un semplice riflesso condizionato, bensì la consapevole riproposizione delle campagne securitarie e xenofobe come strumenti tipici di ri-conquista del consenso politico. Infatti, gli attacchi leghisti contro la ministra Cécile Kyenge erano iniziati ben prima degli omicidi di Milano e persino prima delle dichiarazioni sullo ius soli. E poi, il primo ad accusare il ministro di essere moralmente responsabile degli omicidi di Kabobo non è stato mica il quel fascista di Borghezio, bensì Matteo Salvini, capo della Lega in Lombardia e delfino di Roberto Maroni.
Peraltro, a Milano altri vecchi meccanismi erano ricomparsi già settimane fa, come l’assedio del campo rom di via Dione Cassio, capeggiato dai neofascisti della Fiamma Tricolore, e l’aggressiva campagna contro il piano rom del Comune da parte delle destre istituzionali.
Quello che sta accadendo in questi giorni a Milano dovrebbe dunque aprire una riflessione molto seria. La Lega e le altre destre vedono delle crepe dopo due anni di governo arancione, sono galvanizzate dalla vittoria di Roberto Maroni alle regionali e, in ultima analisi, sono anche favorite dall’esistenza del governo Pd-Pdl. Loro sono già in campagna elettorale e la condurranno senza sosta e con ogni mezzo.
È importante che ci siano state reazioni di ripudio delle campagne xenofobe nel quartiere Niguarda e sono state molto importanti le parole scritte dagli amici di Daniele Carella, perché dimostrano che a Milano ci sono ancora tanti e tante che non intendono tornare indietro.
Ma anche qui, non illudiamoci e non pensiamo che le cose si sistemino da sole. Occorre una reazione, forte e consapevole. E occorre che chi governa la città esca dalla trappola della gestione dell’esistente.
Una settimana dopo la furia omicida di Mada Kabobo, che ha rubato la vita a Alessandro Carolè, Daniele Carella e Ermanno Masini, le cui esequie si sono svolte ieri, è questo il bilancio provvisorio dell’escalation politica innescata a Milano dalle destre di ogni risma.
Nulla di nuovo, direte. E peraltro non sono troppo nuovi nemmeno i protagonisti di queste strumentalizzazioni, che si chiamano Lega, Pdl, Fratelli d’Italia, Forza Nuova, Casa Pound, De Corato, Salvini, Borghezio eccetera. Ha voluto dire la sua persino l’avvocato di Berlusconi e neanche un Beppe Grillo in piena campagna elettorale ha resistito alla tentazione di strizzare l’occhio alla xenofobia, scrivendo lo squallido post sui «Kabobo d’Italia». Insomma, sono tornati gli sciacalli, quelli che se ne fregano altamente del dolore altrui e che sono disposti a cavalcare qualsiasi tragedia o crimine pur di ricavarne qualche profitto politico.
Ma appunto, nulla di nuovo, cose già viste e vissute, un milione di volte. In fondo, sono passati soltanto tre anni da quando Moratti, De Corato e Salvini, allora al governo della città, si erano inventati il coprifuoco in via Padova, in nome della sicurezza e del «pericolo» immigrati. Ma quel coprifuoco fu anche l’inizio della loro fine: il vento stava per cambiare e nella primavera successiva le loro campagne d’odio si arenarono nella grottesca «zingaropoli islamica» e Pisapia fu eletto Sindaco di Milano.
La primavera milanese, con la sua grande partecipazione popolare, e la drammaticità della crisi economica avevano cambiato la percezione delle cose. I discorsi securitari, xenofobi e razzisti non tiravano più come prima e le destre milanesi erano ammutolite. E molti di noi si erano illusi che quei discorsi fossero sconfitti una volta per tutte. Abbiamo voluto dimenticare, abbiamo rimosso. Comprensibilmente, beninteso, perché era come respirare all’improvviso aria più pulita.
Fu però un’illusione, perché nulla è mai acquisito per sempre e le crisi tendono a riprodurre quotidianamente le condizioni per certi discorsi. E poi, anche l’entusiasmo e la partecipazione del 2011 non ci sono più. Certo, sbaglia chi oggi teorizza l’esaurimento dell’esperienza arancione milanese, perché il sindaco gode tuttora di un consenso maggioritario in città, ma sbaglia altrettanto chi fa finta di niente e si rifiuta di vedere i segnali di pericolo, gli scricchiolii e le troppe delusioni accumulate.
Le odierne urla e iniziative delle destre non sono un semplice riflesso condizionato, bensì la consapevole riproposizione delle campagne securitarie e xenofobe come strumenti tipici di ri-conquista del consenso politico. Infatti, gli attacchi leghisti contro la ministra Cécile Kyenge erano iniziati ben prima degli omicidi di Milano e persino prima delle dichiarazioni sullo ius soli. E poi, il primo ad accusare il ministro di essere moralmente responsabile degli omicidi di Kabobo non è stato mica il quel fascista di Borghezio, bensì Matteo Salvini, capo della Lega in Lombardia e delfino di Roberto Maroni.
Peraltro, a Milano altri vecchi meccanismi erano ricomparsi già settimane fa, come l’assedio del campo rom di via Dione Cassio, capeggiato dai neofascisti della Fiamma Tricolore, e l’aggressiva campagna contro il piano rom del Comune da parte delle destre istituzionali.
Quello che sta accadendo in questi giorni a Milano dovrebbe dunque aprire una riflessione molto seria. La Lega e le altre destre vedono delle crepe dopo due anni di governo arancione, sono galvanizzate dalla vittoria di Roberto Maroni alle regionali e, in ultima analisi, sono anche favorite dall’esistenza del governo Pd-Pdl. Loro sono già in campagna elettorale e la condurranno senza sosta e con ogni mezzo.
È importante che ci siano state reazioni di ripudio delle campagne xenofobe nel quartiere Niguarda e sono state molto importanti le parole scritte dagli amici di Daniele Carella, perché dimostrano che a Milano ci sono ancora tanti e tante che non intendono tornare indietro.
Ma anche qui, non illudiamoci e non pensiamo che le cose si sistemino da sole. Occorre una reazione, forte e consapevole. E occorre che chi governa la città esca dalla trappola della gestione dell’esistente.
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