Sempre più complicato tenere insieme interessi
divergenti e reciprocamente dannosi, dentro la moneta unica. E la
Germania lavora al "piano B", a spesa di tutti gli altri.
Non vorremmo apparire né sognatori, né catastrofisti. Ma è difficile, in una fase come questa.
Proponiamo qui sotto un articolo dal Sole 24 Ore di oggi che illumina i sottobanco delle relazioni continentali, mentre dai giornali del centrosinistra e dal governo arriva solo melassa indigeribile sul "destino europeo", l'integrazione, ecc.
In pratica, la Germania sta dimostrando con i fatti di comportarsi come una potenza a sé, a dispetto di qualsiasi "spirito unitario", e soprattutto a danno dei partner europei. Può farlo perché la sua potenza - industriale, tecnologica, di conoscenza - è stata incrementata dall'euro; mentre la stessa moneta, e gli obblighi derivanti da una costruzione istituzionale pensate per "i mercati" contro le popolazioni, impoveriva progressivamente quasi tutti gli altri (ad esclusione di Finlandia, Olanda e i contoterzisti pro-tedeschi dell'Est europeo).
A questo punto, tra difficoltà crescenti (lo scontro con la Francia sta crescendo di gradazione, man mano che Hollande si ritrova a fare i conti con la recessione), la Germania mette mano al "piano B". Sono solo indicative le fughe in avanti tipo Alternative fur Deutschland, nuovo partito che propone il ritorno al marco. Indicative di una via d'uscita per la Germania prima che la recessione indotta negli altri paesi ritorni come un boomerang su Berlino (è diretto nella Ue il 60% delle sue esportazioni; ma se i clienti vanno in crisi, e ci sono già andati, gli ordini inevitabilmente crollano). Una via come sempre molto "mercantilista", giocata sui differenziali di ricchezza oltre che di produttività e che permette di "fare shopping" di qualsiasi risorsa continentale a beneficio della Germania.
Il tema della rottura è dunque all'ordine del giorno. Riusciamo a farci i conti senza buttarla in ideologia?
Non vorremmo apparire né sognatori, né catastrofisti. Ma è difficile, in una fase come questa.
Proponiamo qui sotto un articolo dal Sole 24 Ore di oggi che illumina i sottobanco delle relazioni continentali, mentre dai giornali del centrosinistra e dal governo arriva solo melassa indigeribile sul "destino europeo", l'integrazione, ecc.
In pratica, la Germania sta dimostrando con i fatti di comportarsi come una potenza a sé, a dispetto di qualsiasi "spirito unitario", e soprattutto a danno dei partner europei. Può farlo perché la sua potenza - industriale, tecnologica, di conoscenza - è stata incrementata dall'euro; mentre la stessa moneta, e gli obblighi derivanti da una costruzione istituzionale pensate per "i mercati" contro le popolazioni, impoveriva progressivamente quasi tutti gli altri (ad esclusione di Finlandia, Olanda e i contoterzisti pro-tedeschi dell'Est europeo).
A questo punto, tra difficoltà crescenti (lo scontro con la Francia sta crescendo di gradazione, man mano che Hollande si ritrova a fare i conti con la recessione), la Germania mette mano al "piano B". Sono solo indicative le fughe in avanti tipo Alternative fur Deutschland, nuovo partito che propone il ritorno al marco. Indicative di una via d'uscita per la Germania prima che la recessione indotta negli altri paesi ritorni come un boomerang su Berlino (è diretto nella Ue il 60% delle sue esportazioni; ma se i clienti vanno in crisi, e ci sono già andati, gli ordini inevitabilmente crollano). Una via come sempre molto "mercantilista", giocata sui differenziali di ricchezza oltre che di produttività e che permette di "fare shopping" di qualsiasi risorsa continentale a beneficio della Germania.
Il tema della rottura è dunque all'ordine del giorno. Riusciamo a farci i conti senza buttarla in ideologia?
Se la Germania fa shopping di Stati e cervelli
di Adriana Cerretelli
Un altro vertice franco-tedesco ieri a Parigi, un altro faccia a faccia Hollande-Merkel, l'ennesimo tentativo di salvare la faccia di un'intesa bilaterale dal passato glorioso ma oggi in fase di dissolvenza acuta.
Come se non fossero stati sufficienti i conclamati dilemmi ideologici tra stabilità e crescita, i diverbi sul "malo-rigore" che sforna, prove alla mano, recessione, disoccupati e più debiti invece di ridurli, i ripetuti scontri sull'unione bancaria europea che non decolla, alla vigilia dell'incontro con il cancelliere il presidente francese ha attaccato, forte e chiaro, il super-patto di stabilità in vigore da pochi mesi, il coordinamento delle politiche macroeconomiche.
«Bruxelles non può dirci che cosa dobbiamo fare se non sul riequilibrio dei conti pubblici. Sulle riforme strutturali, in particolare sulle pensioni, spetta solo a noi decidere» ha affermato François Hollande. Con un esplicito atto di insubordinazione di fronte a specifiche raccomandazioni Ue scaturite dalle nuove regole di governance dell'eurozona. Immediato l'allarme a Berlino: «È preoccupante che un grande Paese come la Francia sostenga di poter fare quel che vuole senza rispettare gli impegni presi». Di mezzo, ovviamente, la futura tenuta dell'euro, la diffidenza che sale. Non a caso ieri, fatto del tutto inusuale, la Merkel ha pubblicamente richiamato Hollande all'ordine delle riforme.
Nemmeno il cancelliere tedesco però brilla per spirito di famiglia. Non più tardi di domenica scorsa ha ritenuto normale, nell'incontro con il premier Li Kequiang, anteporre gli interessi tedeschi e cinesi a quelli del grosso dei partner europei, dicendo no a dazi Ue antidumping sui pannelli solari, uno dei 18 contenziosi commerciali aperti con Pechino, nonostante la proposta avanzata da Bruxelles.
Fossero solo normali scaramucce in un ménage affaticato, poco male. Dietro la pesante incomunicabilità e l'insofferenza diffusa verso regole e spirito Ue, c'è invece la crescente divaricazione di interessi non solo tra Parigi e Berlino ma anche tra Nord e Sud Europa. C'è, forse soprattutto, una Germania che è ormai l'unico Paese del club ad avere progetti chiari e una strategia compiuta per fare i conti con Europa e globalizzazione dello sviluppo.
Di fronte Berlino però trova interlocutori gracili di visione e di idee prima ancora che fragili in economia. Oggi un'alleanza tra Francia e Italia avrebbe una valenza forte solo se fosse davvero portatrice di convincenti modelli alternativi. Altrimenti esprimerebbe solo l'unione di due debolezza. Probabilmente senza la Spagna, il cui sogno segreto è diventare «la Germania del Mediterraneo», come confessa un suo diplomatico.
Forse anche per questo, in barba a logica e coesione del mercato unico e mentre taglia il bilancio Ue, la Germania si prepara a concedere a Madrid un prestito bilaterale da un miliardo di euro, da tradurre in crediti agevolati allo sviluppo delle piccole e medie imprese taglieggiate dagli alti tassi. Lo schema potrebbe ripetersi anche per Portogallo e Grecia.
Dietro lo "shopping" di Paesi Ue più funzionali agli interessi nazionali, ci sono una consapevolezza e un disegno precisi. C'è la convinzione, forte soprattutto nell'industria tedesca, che almeno per il prossimo quinquennio l'Europa, che assorbe tuttora il 60% del suo export, non crescerà abbastanza per poterlo sostenere. Per la riluttanza francese alle riforme e quindi a ritrovare buoni ritmi di sviluppo, per l'incertezza politica italiana e perché il Benelux è un mercato ricco ma ormai saturo.
Di qui una doppia scommessa: investire con una mano nelle economie Ue che offrono le migliori sinergie potenziali per farne anche delle piattaforme di ricerca e innovazione, da cui drenare cervelli e risorse umane qualificate. Puntare con l'altra alla massima diversificazione del commercio estero guardando al mondo intero. Come?
Scegliendo partner regionali in grado di fare da apripista nei diversi mercati regionali: la Cina per Sud Est asiatico e Africa (dove la Germania intende conquistare in 10 anni il 20% di un mercato da 600 miliardi di import annuo). La Russia per Caucaso e Asia centrale, la Turchia per Iraq, Iran, Pakistan, Afghanistan e parte del Medio Oriente. La Spagna per l'America Latina. L'Italia per l'Africa orientale. Creando in parallelo anche una forte base produttiva negli Stati Uniti come ponte verso altri mercati terzi. Il tutto in concorrenza serrata, se del caso, con Francia e Gran Bretagna.
Indiscussa superpotenza economica europea, la Germania insomma non solo progetta di mondializzare il suo sviluppo mettendosi al passo con i nuovi tempi ma di costruirsi un'alternativa forte all'Europa con la graduale delocalizzazione dei suoi interessi economico-strategici, qualora il declino del continente si rivelasse inarrestabile. Elabora dunque in sordina una politica industriale tedesca di larghissimo respiro, che inglobi anche quella commerciale, proprio mentre a Bruxelles si tenta di lanciarne una europea.
Tradimento? No, lungimiranza e Realpolitik globale alla ricerca della crescita economica dove c'è e promette bene, sapendo che è l'unico modo per salvaguardare la prosperità durevole dei propri cittadini. Il mondo è cambiato e cambierà ancora. La Germania è pronta a cavalcarlo. L'Europa non si decide: più aspetta e più rischia di essere lasciata indietro. Anche Francia e Italia sono avvertite.
da IlSole24Ore
Un altro vertice franco-tedesco ieri a Parigi, un altro faccia a faccia Hollande-Merkel, l'ennesimo tentativo di salvare la faccia di un'intesa bilaterale dal passato glorioso ma oggi in fase di dissolvenza acuta.
Come se non fossero stati sufficienti i conclamati dilemmi ideologici tra stabilità e crescita, i diverbi sul "malo-rigore" che sforna, prove alla mano, recessione, disoccupati e più debiti invece di ridurli, i ripetuti scontri sull'unione bancaria europea che non decolla, alla vigilia dell'incontro con il cancelliere il presidente francese ha attaccato, forte e chiaro, il super-patto di stabilità in vigore da pochi mesi, il coordinamento delle politiche macroeconomiche.
«Bruxelles non può dirci che cosa dobbiamo fare se non sul riequilibrio dei conti pubblici. Sulle riforme strutturali, in particolare sulle pensioni, spetta solo a noi decidere» ha affermato François Hollande. Con un esplicito atto di insubordinazione di fronte a specifiche raccomandazioni Ue scaturite dalle nuove regole di governance dell'eurozona. Immediato l'allarme a Berlino: «È preoccupante che un grande Paese come la Francia sostenga di poter fare quel che vuole senza rispettare gli impegni presi». Di mezzo, ovviamente, la futura tenuta dell'euro, la diffidenza che sale. Non a caso ieri, fatto del tutto inusuale, la Merkel ha pubblicamente richiamato Hollande all'ordine delle riforme.
Nemmeno il cancelliere tedesco però brilla per spirito di famiglia. Non più tardi di domenica scorsa ha ritenuto normale, nell'incontro con il premier Li Kequiang, anteporre gli interessi tedeschi e cinesi a quelli del grosso dei partner europei, dicendo no a dazi Ue antidumping sui pannelli solari, uno dei 18 contenziosi commerciali aperti con Pechino, nonostante la proposta avanzata da Bruxelles.
Fossero solo normali scaramucce in un ménage affaticato, poco male. Dietro la pesante incomunicabilità e l'insofferenza diffusa verso regole e spirito Ue, c'è invece la crescente divaricazione di interessi non solo tra Parigi e Berlino ma anche tra Nord e Sud Europa. C'è, forse soprattutto, una Germania che è ormai l'unico Paese del club ad avere progetti chiari e una strategia compiuta per fare i conti con Europa e globalizzazione dello sviluppo.
Di fronte Berlino però trova interlocutori gracili di visione e di idee prima ancora che fragili in economia. Oggi un'alleanza tra Francia e Italia avrebbe una valenza forte solo se fosse davvero portatrice di convincenti modelli alternativi. Altrimenti esprimerebbe solo l'unione di due debolezza. Probabilmente senza la Spagna, il cui sogno segreto è diventare «la Germania del Mediterraneo», come confessa un suo diplomatico.
Forse anche per questo, in barba a logica e coesione del mercato unico e mentre taglia il bilancio Ue, la Germania si prepara a concedere a Madrid un prestito bilaterale da un miliardo di euro, da tradurre in crediti agevolati allo sviluppo delle piccole e medie imprese taglieggiate dagli alti tassi. Lo schema potrebbe ripetersi anche per Portogallo e Grecia.
Dietro lo "shopping" di Paesi Ue più funzionali agli interessi nazionali, ci sono una consapevolezza e un disegno precisi. C'è la convinzione, forte soprattutto nell'industria tedesca, che almeno per il prossimo quinquennio l'Europa, che assorbe tuttora il 60% del suo export, non crescerà abbastanza per poterlo sostenere. Per la riluttanza francese alle riforme e quindi a ritrovare buoni ritmi di sviluppo, per l'incertezza politica italiana e perché il Benelux è un mercato ricco ma ormai saturo.
Di qui una doppia scommessa: investire con una mano nelle economie Ue che offrono le migliori sinergie potenziali per farne anche delle piattaforme di ricerca e innovazione, da cui drenare cervelli e risorse umane qualificate. Puntare con l'altra alla massima diversificazione del commercio estero guardando al mondo intero. Come?
Scegliendo partner regionali in grado di fare da apripista nei diversi mercati regionali: la Cina per Sud Est asiatico e Africa (dove la Germania intende conquistare in 10 anni il 20% di un mercato da 600 miliardi di import annuo). La Russia per Caucaso e Asia centrale, la Turchia per Iraq, Iran, Pakistan, Afghanistan e parte del Medio Oriente. La Spagna per l'America Latina. L'Italia per l'Africa orientale. Creando in parallelo anche una forte base produttiva negli Stati Uniti come ponte verso altri mercati terzi. Il tutto in concorrenza serrata, se del caso, con Francia e Gran Bretagna.
Indiscussa superpotenza economica europea, la Germania insomma non solo progetta di mondializzare il suo sviluppo mettendosi al passo con i nuovi tempi ma di costruirsi un'alternativa forte all'Europa con la graduale delocalizzazione dei suoi interessi economico-strategici, qualora il declino del continente si rivelasse inarrestabile. Elabora dunque in sordina una politica industriale tedesca di larghissimo respiro, che inglobi anche quella commerciale, proprio mentre a Bruxelles si tenta di lanciarne una europea.
Tradimento? No, lungimiranza e Realpolitik globale alla ricerca della crescita economica dove c'è e promette bene, sapendo che è l'unico modo per salvaguardare la prosperità durevole dei propri cittadini. Il mondo è cambiato e cambierà ancora. La Germania è pronta a cavalcarlo. L'Europa non si decide: più aspetta e più rischia di essere lasciata indietro. Anche Francia e Italia sono avvertite.
da IlSole24Ore
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