Da questa crisi non si esce senza far fuori il
capitale in eccesso (imprese, macchinari, persone). Quando la parola
passa agli "operatori di mercato" la cosa diventa chiarissima.
La discussione su "come uscire dalla crisi" - dopo sei anni di crisi - è diventata abbastanza stucchevole, polarizzata in due posizioni principale che appaiono - in mancanza di analisi seria - due prese di posizione ideologiche.
Da un lato ci sono i sacerdoti dell'austerità (taglio della spesa pubblica, disciplina di bilancio, ecc), riconducibili all'ortodossia economica liberista; campioni d'Europa sono naturalmente i dirigenti tedeschi guidati da Bundesbank.
Dall'altro i "keynesiani" fautori della spesa pubblica - in punto di teoria o nei fatti - per dare stimolo alle economie nazionali; si va da Krugman ai conservatori giapponesi che stanno stampando yen a rotta di collo.
Il terreno della mediazione politica è quello, ridicolo, di chi auspica la disciplina di bilancio ma anche lo "stimolo per la crescita". Traspare, tra le righe, il tentativo di mediare tra "imprese competitive" (fondamentalmente i grandi gruppi multinazionali o gli specialisti di nicchia) e "imprese arretrate", decotte, fuori mercato se non assistite da vantaggi fiscali, aiuti pubblici diretti, commesse pubbliche, "riforme del mercato del lavoro" ecc.
Quando, dunque, le imprese italiane e Confindustria sembrano parlare un linguaggio "keynesiano", chiedendo "politiche di sviluppo", in realtà stanno chiedendo protezione per un livello di imprenditoria che giustamente è stato chiamato "sanfedista". Perché ragiona in modo nemmeno capitalistico, non effettua investimenti, usa la contabilità aziendale per scaricare costi derivanti da un tenore di vita sopra le righe (la macchina è sempre "aziendale", e magari anche la cameriera in villa, ecc), e invoca regolarmente la riduzione delle tasse e del costo del lavoro. Ovvero le due uniche voci politicamente comprimibili in un sistema di costi altrimenti regolato in modo ferreo dalle leggi del mercato.
Questo articolo dal Wall Street Journal mette in chiaro che, in fondo, se le banche trattengono nelle proprie casseforti la "liquidità aggiuntiva" creata dalle banche centrali (anche da quella europea, sebbene in misuta infinitamente minore rispetto a Federal Reserve e Boj), va bene così. Inutile tenere in vita "imprese zombie", che non riusciranno mai più a camminare con le proprie gambe in un mercato dove "non importa che tu sia leone o gazzella, corri".
*****
"L'Europa è vicina alla zombificazione"
Wall Street Journal, Pubblicato il 16 maggio 2013
La discussione su "come uscire dalla crisi" - dopo sei anni di crisi - è diventata abbastanza stucchevole, polarizzata in due posizioni principale che appaiono - in mancanza di analisi seria - due prese di posizione ideologiche.
Da un lato ci sono i sacerdoti dell'austerità (taglio della spesa pubblica, disciplina di bilancio, ecc), riconducibili all'ortodossia economica liberista; campioni d'Europa sono naturalmente i dirigenti tedeschi guidati da Bundesbank.
Dall'altro i "keynesiani" fautori della spesa pubblica - in punto di teoria o nei fatti - per dare stimolo alle economie nazionali; si va da Krugman ai conservatori giapponesi che stanno stampando yen a rotta di collo.
Il terreno della mediazione politica è quello, ridicolo, di chi auspica la disciplina di bilancio ma anche lo "stimolo per la crescita". Traspare, tra le righe, il tentativo di mediare tra "imprese competitive" (fondamentalmente i grandi gruppi multinazionali o gli specialisti di nicchia) e "imprese arretrate", decotte, fuori mercato se non assistite da vantaggi fiscali, aiuti pubblici diretti, commesse pubbliche, "riforme del mercato del lavoro" ecc.
Quando, dunque, le imprese italiane e Confindustria sembrano parlare un linguaggio "keynesiano", chiedendo "politiche di sviluppo", in realtà stanno chiedendo protezione per un livello di imprenditoria che giustamente è stato chiamato "sanfedista". Perché ragiona in modo nemmeno capitalistico, non effettua investimenti, usa la contabilità aziendale per scaricare costi derivanti da un tenore di vita sopra le righe (la macchina è sempre "aziendale", e magari anche la cameriera in villa, ecc), e invoca regolarmente la riduzione delle tasse e del costo del lavoro. Ovvero le due uniche voci politicamente comprimibili in un sistema di costi altrimenti regolato in modo ferreo dalle leggi del mercato.
Questo articolo dal Wall Street Journal mette in chiaro che, in fondo, se le banche trattengono nelle proprie casseforti la "liquidità aggiuntiva" creata dalle banche centrali (anche da quella europea, sebbene in misuta infinitamente minore rispetto a Federal Reserve e Boj), va bene così. Inutile tenere in vita "imprese zombie", che non riusciranno mai più a camminare con le proprie gambe in un mercato dove "non importa che tu sia leone o gazzella, corri".
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"L'Europa è vicina alla zombificazione"
Wall Street Journal, Pubblicato il 16 maggio 2013
Le
banche dei paesi periferici discriminano le piccole e medie imprese. Ma
un articolo dell'Economist pone la domanda provocatoria: e se facessero
bene?
ROMA (WSI) - Europe faces a risk of "zombification". E' il titolo dell'articolo firmato dalla penna di Gilles Moec, responsabile della divisione di ricerca sull'economia europea presso Deutsche Bank, e pubblicato sull'Economist. Moec parla dell'annosa questione che riguarda la Banca centrale europea e il suo presidente Mario Draghi: quella delle banche, soprattutto dei paesi periferici, che non erogano prestiti. Eppure tali banche sono le stesse che, attraverso l'operazione LTRO, hanno ricevuto ingenti fondi dall'Eurotower: nonostante questo, sembra che i soldi si siano fermati all'interno dei loro ambiti angusti. Lo scopo era invece quello di convogliare i finanziamenti, sotto forma di prestiti, alle famiglie, alle imprese. Niente: i rubinetti rimangono ben chiusi, a parte qualche rara eccezione: e quando vengono aperti, "i tassi sono eccessivamente alti". "Ci sono ora prove statistiche sul fatto che le banche dei paesi periferici stanno discriminando le piccole e medie imprese, imponendo tassi di interesse più elevati o, semplicemente, rifiutando le richieste di prestiti, in una proporzione maggiore se si fa il paragone con le imprese più grandi. Questo è un chiaro segnale di una trasmissione deteriorata di politica monetaria", spiega l'esperto, che aggiunge poi come il rifiuto di erogare prestiti sia un indicatore che segnala come responsabile del credit crunch non sia la domanda, ma l'offerta. Come dire, i problemi non vengono dal basso, ma dall'alto, esattamente dagli alti piani delle lobby. Il risultato è una "frammentazione" nell'Eurozona. Tale fattore "amplifica infatti la polarizzazione tra i paesi core - dove la politica monetariastraordinariamente accomodante riesce a filtrare, forse anche troppo, viste le condizioni economiche ancora decenti - e una periferia, in cui le condizioni effettive, sia monetarie che finanziarie, rimangono più difficili di quelle che il livello della politica dei tassi o la velocità della contrazione della domanda possano avallare". A essere citati sono i casi di Italia e Spagna, nel momento in cui Moec afferma che "la banca centrale dovrebbe fare di più per incentivare le banche a estendere maggiori crediti a quei settori dell'economia che impiegano un lavoratore su due". Il punto, però, è che la principale ragione per cui gli istituti di credito non stanno facendo a pieno il loro lavoro, aiutando il settore privato, è perchè "sono riluttanti ad assumersi un rischio addizionale sul credito, che andrebbe a finire sul loro bilancio, deteriorando il rapporto rischio/capitale". Moec afferma: "La chiave risiede dunque nel rimuovere il rischio sul credito dalle banche, per esempio attraverso il riavvio del mercato della cartolarizzazione. Forti sono le pressioni sulla Bce affinché fornisca una spinta esogena acquistando subito gli asset che sono stati cartolarizzati". Tuttavia, ci sono a tal proposito due questioni spinose che devono essere considerate. La prima, è che le piccole e medie imprese non sono giudicate con rating da agenzie indipendenti; di conseguenza la Bce non avrebbe modo di valutare esattamente il loro rischio. Seconda cosa, il lavoro di Mario Draghi e colleghi non è quello di permettere agli zombie di sopravvivere a tutti i costi. Il punto è che noi stessi, rivela Moec, "crediamo che ci siano ragioni economicamente solide secondo cui le banche - a prescindere dalle preoccupazioni concernenti il loro livello di capitale - non dovrebbero prestare a molte piccole medie imprese dei paesi periferici". Basti pensare che "in media la produttività delle piccole e medie imprese italiane è al 70% delle aziende rispettive tedesche, e pari solo al 58% nel caso delle imprese più piccole". In definitiva, l'assenza di credito verso alcuni segmenti dei paesi periferici potrebbe essere un aspetto "naturale" degli aggiustamenti macroeconomici che si stanno verificando". Svelato dunque alla fine il vero messaggio di Moec: il credit crunch c'è, le banche non prestano, ma è vero anche - a suo avviso - che non sono obbligate a prestare a tutti i costi. Perchè, in quel caso, l'Europa si riempirebbe di zombie.
ROMA (WSI) - Europe faces a risk of "zombification". E' il titolo dell'articolo firmato dalla penna di Gilles Moec, responsabile della divisione di ricerca sull'economia europea presso Deutsche Bank, e pubblicato sull'Economist. Moec parla dell'annosa questione che riguarda la Banca centrale europea e il suo presidente Mario Draghi: quella delle banche, soprattutto dei paesi periferici, che non erogano prestiti. Eppure tali banche sono le stesse che, attraverso l'operazione LTRO, hanno ricevuto ingenti fondi dall'Eurotower: nonostante questo, sembra che i soldi si siano fermati all'interno dei loro ambiti angusti. Lo scopo era invece quello di convogliare i finanziamenti, sotto forma di prestiti, alle famiglie, alle imprese. Niente: i rubinetti rimangono ben chiusi, a parte qualche rara eccezione: e quando vengono aperti, "i tassi sono eccessivamente alti". "Ci sono ora prove statistiche sul fatto che le banche dei paesi periferici stanno discriminando le piccole e medie imprese, imponendo tassi di interesse più elevati o, semplicemente, rifiutando le richieste di prestiti, in una proporzione maggiore se si fa il paragone con le imprese più grandi. Questo è un chiaro segnale di una trasmissione deteriorata di politica monetaria", spiega l'esperto, che aggiunge poi come il rifiuto di erogare prestiti sia un indicatore che segnala come responsabile del credit crunch non sia la domanda, ma l'offerta. Come dire, i problemi non vengono dal basso, ma dall'alto, esattamente dagli alti piani delle lobby. Il risultato è una "frammentazione" nell'Eurozona. Tale fattore "amplifica infatti la polarizzazione tra i paesi core - dove la politica monetariastraordinariamente accomodante riesce a filtrare, forse anche troppo, viste le condizioni economiche ancora decenti - e una periferia, in cui le condizioni effettive, sia monetarie che finanziarie, rimangono più difficili di quelle che il livello della politica dei tassi o la velocità della contrazione della domanda possano avallare". A essere citati sono i casi di Italia e Spagna, nel momento in cui Moec afferma che "la banca centrale dovrebbe fare di più per incentivare le banche a estendere maggiori crediti a quei settori dell'economia che impiegano un lavoratore su due". Il punto, però, è che la principale ragione per cui gli istituti di credito non stanno facendo a pieno il loro lavoro, aiutando il settore privato, è perchè "sono riluttanti ad assumersi un rischio addizionale sul credito, che andrebbe a finire sul loro bilancio, deteriorando il rapporto rischio/capitale". Moec afferma: "La chiave risiede dunque nel rimuovere il rischio sul credito dalle banche, per esempio attraverso il riavvio del mercato della cartolarizzazione. Forti sono le pressioni sulla Bce affinché fornisca una spinta esogena acquistando subito gli asset che sono stati cartolarizzati". Tuttavia, ci sono a tal proposito due questioni spinose che devono essere considerate. La prima, è che le piccole e medie imprese non sono giudicate con rating da agenzie indipendenti; di conseguenza la Bce non avrebbe modo di valutare esattamente il loro rischio. Seconda cosa, il lavoro di Mario Draghi e colleghi non è quello di permettere agli zombie di sopravvivere a tutti i costi. Il punto è che noi stessi, rivela Moec, "crediamo che ci siano ragioni economicamente solide secondo cui le banche - a prescindere dalle preoccupazioni concernenti il loro livello di capitale - non dovrebbero prestare a molte piccole medie imprese dei paesi periferici". Basti pensare che "in media la produttività delle piccole e medie imprese italiane è al 70% delle aziende rispettive tedesche, e pari solo al 58% nel caso delle imprese più piccole". In definitiva, l'assenza di credito verso alcuni segmenti dei paesi periferici potrebbe essere un aspetto "naturale" degli aggiustamenti macroeconomici che si stanno verificando". Svelato dunque alla fine il vero messaggio di Moec: il credit crunch c'è, le banche non prestano, ma è vero anche - a suo avviso - che non sono obbligate a prestare a tutti i costi. Perchè, in quel caso, l'Europa si riempirebbe di zombie.
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