È
perfettamente vero che nel nostro paese esiste una quota di “pensioni
d’oro” e “stipendi d’oro” che assorbono una quantità ingente e
ingiustificata di risorse: oltre ad essere un problema di finanza
pubblica sono un inaccettabile insulto all’equità. È perfettamente vero
che il posto di lavoro pubblico è diventato, soprattutto in alcune
regioni, un sostituto di strumenti che in altri paesi sono in carico al
welfare, mentre il nostro è uno stato sociale male organizzato
e incapace di allocare efficacemente ed equamente le risorse. Ancora, è
perfettamente vero che nel nostro paese le tasse, sul lavoro come sulle
imprese (sebbene in diminuzione per queste ultime), sono troppo alte e
che i servizi corrispondenti sono spesso (ma non sempre) tutt’altro che
all’altezza.
Ma quanto ieri affermato da Beppe Grillo sul suo blog,
a commento delle elezioni amministrative e come giustificazione del
crollo del M5S, è un’aperta (e potenzialmente pericolosa) distorsione
della realtà.
Secondo Grillo:
“Esistono due
Italie, la prima, che chiameremo Italia A, è composta da chi vive di
politica, 500.000 persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio
pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone
(da cui vanno dedotte le pensioni minime che sono una vergogna). La
seconda, Italia B, di lavoratori autonomi, cassintegrati, precari,
piccole e media imprese, studenti. La prima è interessata giustamente
allo status quo. Si vota per sé stessi e poi per il Paese. Nella nostra
bandiera c’è scritto “Teniamo famiglia”. In questi mesi non ho sentito
casi di funzionari pubblici, pluripensionati o dirigenti di partecipate
che si siano suicidati. Invece, giornalmente, sfrattati, imprenditori
falliti, disoccupati si danno fuoco, si buttano dalla finestra o si
impiccano. Queste due Italie sono legate tra loro come gemelli siamesi,
come la sabbia di una clessidra. L’Italia A non può vivere senza il
contributo fiscale dell’Italia B, ma quest’ultima sta morendo, ogni
minuto un’impresa ci lascia per sempre. Vi capisco comunque, la
pensione, in particolare se doppia o superiore ai 5.000 euro, è davvero
importante. Lo stipendio vi fa sopravvivere, che sia pubblico o politico
non ha importanza.”
La retorica è quella che ben conosciamo e
che il comico genovese ha espresso anche in altre occasioni e in altre
forme, quando ad esempio ha Ichinianamente parlato di giovani contro anziani e
di “sommersi contro salvati”. Non è una retorica inventata da Grillo. È
l’idea – tipicamente liberista – che esistano due categorie di persone:
da una parte chi produce e paga le tasse (tax payer) e dall’altra tutti coloro i quali vivono delle tasse pagate dai primi (tax consumer).
Margaret Thatcher spiegò che il socialismo (termine con il quale
indicava ogni intervento dello Stato) funziona finché non finiscono i
soldi, quelli degli altri. Grillo si sintonizza sulla stessa lunghezza
d’onda.
Perché questo ragionamento è errato? In
primo luogo guardiamo le specificità del nostro paese. L’Italia ha il
record europeo dell’economia sommersa, stimabile, secondo Bankitalia (indagine 2005-2008), al 31% del PIL, con effetti distorsivi difficilmente quantificabili ma sicuramente rilevanti.
I tax payer sono davvero pochi e
quindi inevitabilmente il carico fiscale ricade sugli altri. Questa
situazione è chiaramente un “fallimento dello Stato”, del nostro Stato,
ma è anche il frutto dell’idea – a volte dichiarata esplicitamente da
alcuni Ministri delle Finanze – secondo la quale, lasciando agli evasori
più reddito disponibile, si sarebbe favorita la piccola impresa e il
commercio.
Che ci sia qualcosa che non va, lo dicono
del resto le dichiarazioni dei redditi. Gli imprenditori, secondo i dati
diffusi dal fisco, guadagnano meno dei lavoratori dipendenti (qui i dati 2011). (1)
Chi sono in Italia i tax payer?
I dati del Ministero delle Finanze dicono che sono i lavoratori
dipendenti, privati e pubblici, e i pensionati, i quali godono (che
fortuna!) della ritenuta alla fonte, che insieme contribuiscono per
quasi l’80% alle entrate IRPEF. Seguono alcune categorie del lavoro
autonomo ma pesantemente regolamentato (notai, farmacisti, avvocati). Il
resto degli italiani o è povero o dice al fisco di esserlo.
Così, mentre alcuni hanno accumulato ingenti ricchezze (magari depositate in via precauzionale all’estero), i veri tax payer hanno dovuto pagare per loro. Stranamente Grillo dimentica di dividere in due l’Italia secondo questa direttrice.
La seconda specificità dell’Italia è che
spesso lavorare per lo Stato non significa affatto essere garantiti. Ne
sanno qualcosa i precari della scuola, quelli delle aziende di stato, e
in generale molti giovani che hanno contratti non stabili con le
pubbliche amministrazioni o loro emanazioni, un esercito di 115mila
persone.
Grillo non sembra fare alcuna
distinzione tra costoro e “la casta”. Anzi, nella “casta”, accanto ai
Fiorito, ci sono ora tutti gli appartenenti a categorie professionali
che “prendono” qualcosa dallo Stato (in quanto pensionati o dipendenti
pubblici), contrapposti a coloro che “danno”. Peccato che come abbiamo
visto i margini sono ben più sfumati.
Ma la fallacia dell’argomento grillesco
va ben al di là delle specificità italiane. Come in tutti i paesi, anche
nel nostro la quota maggiore di dipendenti pubblici è costituita dai
lavoratori della scuola e della sanità.
Insegnanti e infermieri (ma anche
poliziotti e carabinieri) sono anche essi “casta”? Tanto più che sono
stati i primi ad essere stati colpiti dall’austerità montiana, insieme
ai pensionati, grazie al blocco delle retribuzioni e delle pensioni. E’
facile del resto per lo Stato colpire coloro che si trovano alle sue
dipendenze. Né si può dire che il numero dei lavoratori pubblici in
Italia sia spropositato rispetto al resto d’Europa, senza contare che è
costantemente in diminuzione, sia in numeri assoluti (come evidenzia la
tabella precedente) sia in percentuale sulla forza lavoro.
La domanda più importante, tuttavia, è
la seguente: tagliare il settore pubblico aiuterebbe il nostro paese?
Licenziare migliaia di dipendenti e tagliare (ancora!) le pensioni,
sarebbe una misura per la ripresa? Difficile sostenerlo, a meno che non
si voglia credere che tra i clienti dei “poveri” meccanici, ristoratori e
parrucchieri non vi sia nessun impiegato dello Stato, nessun tax consumer, nessun appartenente all’enorme “casta” che ha avuto l’ardire, domenica scorsa, di non votare per il M5S.
1)-Dall’analisi per tipologia di reddito, emerge che i lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, pari a 42.280 euro, mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è pari a 18.844 euro . Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 20.020 euro, quello dei pensionati pari a 15.520 euro e, infine, il reddito medio da partecipazione è pari a 16.670 euro.
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