L’attuale modo di produrre, di consumare o di mercato, consolida e
determina forme di sfruttamento e di insostenibilitàambientale,
culturale e sociale ; in questa direzione il concetto di pago quello che
consumo o più consumo, più pago, più contribuisco al rilancio
dell’economia ed al benessere globale, non sono risposte apprezzabili in
prima battuta perchè stanno ancora di più affondando il nostro paese
nella morsa della crisi e in seconda battuta perchè non prefigurano una
qualità di vita diversa e proponibile, perchè non tengono in conto beni e
servizi (aria, acqua, biodiversità, energia) limitati che debbono
essere considerati patrimonio di tutti e non di una elitè benestante
minoritaria. In particolare nell’attuale modello di sviluppo di tipo
capitalistico riveste notevole importanza la capacità di accesso ai
finanziamenti in quanto permettono alle imprese di ottenere i capitali
necessari all’acquisizione di impianti per la produzione su larga scala
garantendo alle banche degli introiti elevati sui prestiti concessi.
In tale mercato, riproposto dopo i disastri dell'austerity e del rigore, vige la logica del maggior profitto (differenza tra costi e ricavi), pertanto l’impresa deciderà di acquistare le materie prime necessarie per la produzione al minor prezzo possibile sul mercato (ormai globale). A questo punto l’azienda ha bisogno di produrre il maggior numero di pezzi possibili per frazionare al massimo i costi iniziali degli impianti riducendo la manodopera per unità di prodotto. La grande quantità di oggetti deve essere venduta attraverso campagne pubblicitarie per stimolare il consumo. Per raggiungere il maggior numero di consumatori utilizza un sistema di distribuzione globale e capillare che sfrutta qualsiasi mezzo adeguato e conveniente. Questo sistema di produzione mira a massimizzare il profitto, attraverso il consumismo cioè il consumo di beni e risorse al di sopra delle necessità per una buona qualità della vita del singolo, ma sostanzialmente per alimentare il sistema economico stesso, producendo al minor prezzo possibile e vendendo al più alto. Dentro una crisi complessiva e perdurante si preferisce tagliare i servizi e privatizzare le risorse piuttosto che intervenire sul modo di produrre e consumare. Nel calcolo del profitto (utile) non si contabilizzano i costi ambientali e sociali che ricadono invece sulla collettività. Esiste una nuova questione agraria connessa allo sfruttamento delle terre e alla salubrità degli alimenti. L’agricoltura capitalistica non produce posti di lavoro, mentre può aumentare di gran lunga la produzione poggiando però questo aumento da una parte sulla razionalizzazione dei costi e sulla dimensione aziendale e dall'altra sui pesticidi, sui fertilizzanti, sulle sementi selezionate (anche OGM), sulla motorizzazione, producendo ferite profondissime sull’ambiente e sull’uomo. C’'e una presa di coscienza globale di questo fenomeno che porterebbe nel giro di pochi anni alla scomparsa di milioni di contadini non competitivi su scala planetaria diminuendo la superficie coltivabile ed aumentando il latifondo producendo poveri fra i poveri difficilmente assorbibili negli attuali processi produttivi. C’è un’opposizione crescente e sempre più coesa a questi processi che punta, fra l’altro, alla conservazione di un’agricoltura contadina per tutto il ventunesimo secolo e alla coltivazione della terra aumentando anche i servizi e le attività, anche di pubblica utilità che l'azienda agricola può produrre e che a cascata fa crescere il desiderio di modificare anche i modelli di produzione e consumo su scala locale. C'è una rinnovata voglia di tornare a coltivare la terra per vivere dignitosamente e per assolvere una funzione non esclusivamente legata al massimo profitto. La futura PAC ha dovuto fare i conti con queste pulsioni. C’è la necessità di praticare, sperimentare, valutare, forme alternative su scala locale anche se apparentemente di piccolo impatto su scala mondiale.
In tale mercato, riproposto dopo i disastri dell'austerity e del rigore, vige la logica del maggior profitto (differenza tra costi e ricavi), pertanto l’impresa deciderà di acquistare le materie prime necessarie per la produzione al minor prezzo possibile sul mercato (ormai globale). A questo punto l’azienda ha bisogno di produrre il maggior numero di pezzi possibili per frazionare al massimo i costi iniziali degli impianti riducendo la manodopera per unità di prodotto. La grande quantità di oggetti deve essere venduta attraverso campagne pubblicitarie per stimolare il consumo. Per raggiungere il maggior numero di consumatori utilizza un sistema di distribuzione globale e capillare che sfrutta qualsiasi mezzo adeguato e conveniente. Questo sistema di produzione mira a massimizzare il profitto, attraverso il consumismo cioè il consumo di beni e risorse al di sopra delle necessità per una buona qualità della vita del singolo, ma sostanzialmente per alimentare il sistema economico stesso, producendo al minor prezzo possibile e vendendo al più alto. Dentro una crisi complessiva e perdurante si preferisce tagliare i servizi e privatizzare le risorse piuttosto che intervenire sul modo di produrre e consumare. Nel calcolo del profitto (utile) non si contabilizzano i costi ambientali e sociali che ricadono invece sulla collettività. Esiste una nuova questione agraria connessa allo sfruttamento delle terre e alla salubrità degli alimenti. L’agricoltura capitalistica non produce posti di lavoro, mentre può aumentare di gran lunga la produzione poggiando però questo aumento da una parte sulla razionalizzazione dei costi e sulla dimensione aziendale e dall'altra sui pesticidi, sui fertilizzanti, sulle sementi selezionate (anche OGM), sulla motorizzazione, producendo ferite profondissime sull’ambiente e sull’uomo. C’'e una presa di coscienza globale di questo fenomeno che porterebbe nel giro di pochi anni alla scomparsa di milioni di contadini non competitivi su scala planetaria diminuendo la superficie coltivabile ed aumentando il latifondo producendo poveri fra i poveri difficilmente assorbibili negli attuali processi produttivi. C’è un’opposizione crescente e sempre più coesa a questi processi che punta, fra l’altro, alla conservazione di un’agricoltura contadina per tutto il ventunesimo secolo e alla coltivazione della terra aumentando anche i servizi e le attività, anche di pubblica utilità che l'azienda agricola può produrre e che a cascata fa crescere il desiderio di modificare anche i modelli di produzione e consumo su scala locale. C'è una rinnovata voglia di tornare a coltivare la terra per vivere dignitosamente e per assolvere una funzione non esclusivamente legata al massimo profitto. La futura PAC ha dovuto fare i conti con queste pulsioni. C’è la necessità di praticare, sperimentare, valutare, forme alternative su scala locale anche se apparentemente di piccolo impatto su scala mondiale.
Censimento Umbria
Ancora prima dell'aggravarsi della crisi, il censimento del 2010 ci
descriveva una diminuzione in Umbria di aziende agricole del 30% in
dieci anni con conseguente riduzione della sAU (superficie agricola
utilizzata) e della SAT (superficie agricola totale) rispettivamente del
10 e dl 14 per cento. Si riducono le aziende, la terra coltivata, ma
aumenta la dimensione aziendale con una contrazione del 30% dei posti di
lavoro. Va pensato un altro modo di produrre sganciato dalle logiche di
mercato che oggi punirebbero ulteriormente una Regione con le
caratteristiche dell'Umbria.
Progetto locale
Un progetto possiede obiettivi concreti, verificabili, comuni e
condivisi. Esso è incisivo quando ha la capacità di tradursi in un
percorso riconosciuto e in prassi di comportamento possibile, non deve
essere ammirato, ma considerato. Un progetto diviene locale quando
facilita e implica scambi tra i partecipanti, fa emergere il contenuto
della relazione basato sul valore di reciprocità e non solo sul
comportamento burocratico di diritti e doveri. Il progetto diventa
contenitore di racconti, di esperienze che s’incontrano, si rispettano,
s’intrecciano e sanno dialogare su posizioni paritarie.
Locale come risposta agli sprechi, ingiustizie e inquinamento che il globale genera a livello planetario, demolendo ogni identità sia territoriale che sociale. Locale per ridurre le distanze, per limitare la follia di un mercato che prevede migliaia di chilometri di trasporti prima che qualsiasi prodotto arrivi nelle nostre case. Locale per far emergere il contenuto di relazione alla base di ogni prodotto, relazione che il mercato affonda proclamando la merce come senso ultimo del vivere e unico collante del convivere. Il progetto locale 'e un cantiere in costruzione dove il metodo d’ascolto, di progettazione partecipata e di relazione sono elementi prioritari e mezzi per accogliere imprevisti, variabilità d’eventi, casualità e conflitti, gestendoli come opportunità e possibili risorse in sintonia con i bisogni delle persone e dell’ambiente. Nel progetto locale si desidera far convergere l’interesse individuale con l’interesse collettivo, per il benessere comune, al fine di proporre un qualcosa che si considera positivo. Il progetto locale 'e uno spazio relazionale complesso e ampio, privo di confini rigidamente delineati e di rapporti meramente mercificati, dove non è tanto necessario costituirsi in un' entità giuridica per essere maggiormente visibili e rappresentativi, quanto divenire promotori di connessioni, di scambi, di reti, facendo tessuto e scommettendo sulla società e sul sodalizio, sodalizio che potrebbe portare produttori e consumatori di beni e servizi dalla stessa parte e non in conflitto permanente per spartirsi la povertà.
E’ opportuno non sperperare risorse in un proliferare di nicchie alternative, ma avere capacita di lettura dei fenomeni, saperli interpretare e connetterli in modo creativo. Si tratta di creare condizioni d’apprendimento che permettono a tutti di essere presenti ed avere un ruolo nella situazione. Si tratta di determinare una crescita complessiva delle competenze e conoscenze di una Regione. Il progetto locale 'e un laboratorio di politica attiva che opera su ipotesi di piani di lavoro concordati, non retorici e banali, ma ideativi e generanti: crea risorse, non le consuma. Struttura flessibile e di servizio che si muove nel territorio d’appartenenza con una dimensione di riflessione globale, mettendo in rilievo esigenze condivise, forze e percorsi creativi, ma possibili, nel rispetto dell’ambiente e della dignità dei singoli, un laboratorio di sperimentazione di esperienze sostenibili.
La costruzione di un progetto locale richiede, tra l’altro, di non considerare il territorio come semplice pavimento, come qualcosa che deve sorreggere delle azioni umane che trovano la loro logica altrove, ma, al contrario, come soggetto vivente di lunga durata, fatto di stratificazioni storiche, di cultura, di memoria, di ricchezza e di saperi che possono produrre futuro, se reinterpretati continuamente ed opportunamente.
L’attuale modello di sviluppo ha utilizzato e sta ancora utilizzando i luoghi ed il territorio come un pavimento, come qualcosa di indifferenziato da utilizzare sportivamente senza guardarlo, ma anche da distruggere, sia in agricoltura che negli altri campi della produzione.
Così facendo si 'e venuta creando una separazione netta tra natura e cultura tra sociale e produttivo e tale divorzio con ha avuto come effetto immediato la distruzione del territorio e delle relazioni che su quel territorio insistevano. Il progetto locale può diventare alternativa strategica alle forme di globalizzazione che sfruttano i territori come strumento economico. In quest'ottica il progetto locale diventa un progetto sociale e politico per la riconquista di un mondo plurale, fatto di relazione tra uomo, ambiente e storia, nella quale riconosce se stesso e acquista forza di contrapposizione contro le forze distruttive delle culture.
Il progetto locale è, quindi, un progetto di un mondo plurale. Dal momento in cui si guarda al territorio come un luogo denso di storia, di cultura, di saperi, di strumenti per uno sviluppo autogovernato, da quel momento si sta lottando efficacemente contro le grandi multinazionali e contro chi tratta il territorio come puro strumento per la produzione di profitto e di mercato. É uno scontro, tra autogoverno ed eterodirezione.
Nel progetto locale gli abitanti reinventano una molteplicità di diversi stili di sviluppo a partire dalle ricchezze e dai giacimenti culturali e materiali che ogni territorio ha prodotto e continua a produrre. Nell’affrontare la costruzione di un progetto locale occorre partire dalla coscienza di sé rispetto al mondo, per la costruzione di relazioni non gerarchiche ma solidali che escludano ogni tipo di dominio e per la riduzione della nostra impronta ecologica. Bisogna riscoprire il proprio territorio come giacimento potenziale da cui ricavare ricchezza durevole, occorre utilizzare correttamente tutto il proprio patrimonio, sia culturale che storico ed ambientale, per produrre ricchezza senza sfruttare altri paesi. Diventa fondamentale la riscoperta delle potenzialità e delle risorse dai giacimenti del proprio territorio per chiudere i cicli principali: delle acque, della alimentazione, dei rifiuti e di tutto ciò che abbiamo rotto o interrotto. L’interruzione di questi cicli produce ovunque sconquassi fin troppo evidenti.
Per prima cosa allora dobbiamo imparare a vedere i nostri patrimoni e a riconoscerli.
Occorre che si strutturi una rete diffusa di produzione sul territorio in grado di riappropriarsi dei fini della produzione e si rifiuti di essere comandata, decidendo cosa produrre, cosa e come dove quanto consumare, quali servizi è utile e necessario riuscire a mantenere e garantire. Il progetto locale allora consiste nel far sì che si mettano insieme tanti spezzoni autonomi per produrre, ciascuno per la propria parte, un modello di sviluppo alternativo in un luogo. Tale sviluppo alternativo non può essere astratto o preconfezionato al di fuori del luogo a cui si riferisce, ma deve essere intimamente legato alla qualità specifica del luogo per cui 'e progettato.
Locale come risposta agli sprechi, ingiustizie e inquinamento che il globale genera a livello planetario, demolendo ogni identità sia territoriale che sociale. Locale per ridurre le distanze, per limitare la follia di un mercato che prevede migliaia di chilometri di trasporti prima che qualsiasi prodotto arrivi nelle nostre case. Locale per far emergere il contenuto di relazione alla base di ogni prodotto, relazione che il mercato affonda proclamando la merce come senso ultimo del vivere e unico collante del convivere. Il progetto locale 'e un cantiere in costruzione dove il metodo d’ascolto, di progettazione partecipata e di relazione sono elementi prioritari e mezzi per accogliere imprevisti, variabilità d’eventi, casualità e conflitti, gestendoli come opportunità e possibili risorse in sintonia con i bisogni delle persone e dell’ambiente. Nel progetto locale si desidera far convergere l’interesse individuale con l’interesse collettivo, per il benessere comune, al fine di proporre un qualcosa che si considera positivo. Il progetto locale 'e uno spazio relazionale complesso e ampio, privo di confini rigidamente delineati e di rapporti meramente mercificati, dove non è tanto necessario costituirsi in un' entità giuridica per essere maggiormente visibili e rappresentativi, quanto divenire promotori di connessioni, di scambi, di reti, facendo tessuto e scommettendo sulla società e sul sodalizio, sodalizio che potrebbe portare produttori e consumatori di beni e servizi dalla stessa parte e non in conflitto permanente per spartirsi la povertà.
E’ opportuno non sperperare risorse in un proliferare di nicchie alternative, ma avere capacita di lettura dei fenomeni, saperli interpretare e connetterli in modo creativo. Si tratta di creare condizioni d’apprendimento che permettono a tutti di essere presenti ed avere un ruolo nella situazione. Si tratta di determinare una crescita complessiva delle competenze e conoscenze di una Regione. Il progetto locale 'e un laboratorio di politica attiva che opera su ipotesi di piani di lavoro concordati, non retorici e banali, ma ideativi e generanti: crea risorse, non le consuma. Struttura flessibile e di servizio che si muove nel territorio d’appartenenza con una dimensione di riflessione globale, mettendo in rilievo esigenze condivise, forze e percorsi creativi, ma possibili, nel rispetto dell’ambiente e della dignità dei singoli, un laboratorio di sperimentazione di esperienze sostenibili.
La costruzione di un progetto locale richiede, tra l’altro, di non considerare il territorio come semplice pavimento, come qualcosa che deve sorreggere delle azioni umane che trovano la loro logica altrove, ma, al contrario, come soggetto vivente di lunga durata, fatto di stratificazioni storiche, di cultura, di memoria, di ricchezza e di saperi che possono produrre futuro, se reinterpretati continuamente ed opportunamente.
L’attuale modello di sviluppo ha utilizzato e sta ancora utilizzando i luoghi ed il territorio come un pavimento, come qualcosa di indifferenziato da utilizzare sportivamente senza guardarlo, ma anche da distruggere, sia in agricoltura che negli altri campi della produzione.
Così facendo si 'e venuta creando una separazione netta tra natura e cultura tra sociale e produttivo e tale divorzio con ha avuto come effetto immediato la distruzione del territorio e delle relazioni che su quel territorio insistevano. Il progetto locale può diventare alternativa strategica alle forme di globalizzazione che sfruttano i territori come strumento economico. In quest'ottica il progetto locale diventa un progetto sociale e politico per la riconquista di un mondo plurale, fatto di relazione tra uomo, ambiente e storia, nella quale riconosce se stesso e acquista forza di contrapposizione contro le forze distruttive delle culture.
Il progetto locale è, quindi, un progetto di un mondo plurale. Dal momento in cui si guarda al territorio come un luogo denso di storia, di cultura, di saperi, di strumenti per uno sviluppo autogovernato, da quel momento si sta lottando efficacemente contro le grandi multinazionali e contro chi tratta il territorio come puro strumento per la produzione di profitto e di mercato. É uno scontro, tra autogoverno ed eterodirezione.
Nel progetto locale gli abitanti reinventano una molteplicità di diversi stili di sviluppo a partire dalle ricchezze e dai giacimenti culturali e materiali che ogni territorio ha prodotto e continua a produrre. Nell’affrontare la costruzione di un progetto locale occorre partire dalla coscienza di sé rispetto al mondo, per la costruzione di relazioni non gerarchiche ma solidali che escludano ogni tipo di dominio e per la riduzione della nostra impronta ecologica. Bisogna riscoprire il proprio territorio come giacimento potenziale da cui ricavare ricchezza durevole, occorre utilizzare correttamente tutto il proprio patrimonio, sia culturale che storico ed ambientale, per produrre ricchezza senza sfruttare altri paesi. Diventa fondamentale la riscoperta delle potenzialità e delle risorse dai giacimenti del proprio territorio per chiudere i cicli principali: delle acque, della alimentazione, dei rifiuti e di tutto ciò che abbiamo rotto o interrotto. L’interruzione di questi cicli produce ovunque sconquassi fin troppo evidenti.
Per prima cosa allora dobbiamo imparare a vedere i nostri patrimoni e a riconoscerli.
Occorre che si strutturi una rete diffusa di produzione sul territorio in grado di riappropriarsi dei fini della produzione e si rifiuti di essere comandata, decidendo cosa produrre, cosa e come dove quanto consumare, quali servizi è utile e necessario riuscire a mantenere e garantire. Il progetto locale allora consiste nel far sì che si mettano insieme tanti spezzoni autonomi per produrre, ciascuno per la propria parte, un modello di sviluppo alternativo in un luogo. Tale sviluppo alternativo non può essere astratto o preconfezionato al di fuori del luogo a cui si riferisce, ma deve essere intimamente legato alla qualità specifica del luogo per cui 'e progettato.
Focus Umbria
Nel giro di pochissimo tempo, per effetto della crisi economica la
nostra regione ha subito una vera e propria ecatombe di posti di lavoro.
Al tempo stesso, per i tagli imposti dalle politiche di austerity
stiamo assistendo ad un veloce decadimento dei servizi sociali e
sanitari. Quello che una volta era il modello di "sviluppo" dell'Umbria
si è fermato, e non ci pare che in questo momento ci siano i presupposti
per una sua ripartenza. Non ci sono perchè è nostra convinzione che
questa crisi sia di fatto una crisi strutturale prodotta da un sistema
economico che ragiona solo sui prodotti intesi come valore di scambio
(produco per le esigenze del mercato ) e non come valore d'uso ( produco
per soddisfare i bisogni sociali ). La crisi quindi non è altro che un
meccanismo di ristrutturazione del sistema economico che lascerà sul
campo disoccupazione di massa, restringimento del welfare, e nuove forme
di povertà crescenti. La risposta da mettere in campo di fronte alla
crisi prodotta dal sistema economico liberista non può essere interna a
questo meccanismo che affida alla concorrenza del libero mercato la
panacea dei mali che esso stesso produce. Non può essere di questo tipo
perchè tutte le risorse pubbliche che vengono inserite in un processo
che tende ad aumentare i profitti privati non avranno ricadute positive
per quanto riguarda i bisogni sociali. Occorre dal nostro punto di vista
una risposta alternativa che si ponga in discontinuità rispetto a
quanto fatto fino ad ora, una risposta praticabile ed in grado di
misurarsi sul terreno dell'efficacia. Occorre pensare oltre alla
produzione e al consumo di beni e servizi, anche culturali, formativi,
educativi e sociali ad una forma di Mercato Sostenibile, cioè che si
basi sul capitale naturale presente nel territorio e sulle risorse umane
(conoscenze, cultura, forza lavoro, comunità) per attivare una
produzione di beni che soddisfi le necessità di benessere del singolo e
del gruppo in maniera sostenibile cioè senza intaccare il capitale
naturale
stesso, ma anzi conservandolo, recuperandolo in alcuni casi e migliorandolo in termini di durata e di fruizione pubblica. Il benessere sociale 'e lo sviluppo della comunità in termini di cultura, di salute, di tempo libero e di risorse.
La terra a chi non lavora
La terra a chi la lavora era uno degli slogan con il quale ha mosso nel nostro paese i primi passi il movimento contadino. Oggi si tratta di attualizzare il concetto tenendo conto delle mutazioni sociali avvenute. Il concetto però è sempre lo stesso. A differenza del passato però oggi ci troviamo di fronte alla condizione in cui moltissime terre sono di fatto di enti pubblici e del demanio, terre ora inutilizzate che rischiano invece di finire vendute in un nuovo processo che non fa altro che aumentare la privatizzazione delle nostre campagne per fare cassa. Dal nostro punto di vista la terra pubblica deve essere concessa per finalità pubbliche, non venduta ma data in comodato d'uso, per progetti locali che abbiano le caratteristiche sopra descritte che prevedano principalmente il reimpiego degli espulsi dai processi produttivi. L'idea è quella di legare infatti la produzione agricola locale a catene distributive collettive a km zero in grado di abbassare i costi e tagliare la filiera di distribuzione generando al tempo stesso servizi sociali. Un meccanismo questo che oltre a ridurre l'impatto ambientale riduce anche i costi dei prodotti aumentandone il controllo della loro qualità ed accresce il capitale sociale territoriale. La vicinanza e la trasparenza tra acquirente e produttore è uno dei meccanismi di certificazione dei prodotti più efficaci e genuini, prodotti che si producono senza sfruttamento del lavoro come invece avviene nella maggior parte delle grandi produzioni agricole dove di fatto si assiste a vere e proprie forme di lavoro schiavizzato.
I progetti debbono essere reddituali per chi li mette in campo ed avere finalità pubbliche in quanto utilizzeranno per la produzione beni di proprietà pubblica.
Dovranno accorciare la filiera produzione-consumo cercando garanzie di un maggiore e migliore flusso possibile dei prodotti accorciando i tempi della normale catena di distribuzione; puntare inoltre alla riduzione dei costi e dell’impatto ambientale attraverso la scelta di prodotti biologici ed ecologici che valorizzino la cultura tradizionale locale; altro punto fondamentale è la tracciabilità dei prodotti;
ne si deve dimenticare la pratica di forme di consumo rispettose della salute, dell’ambiente e delle condizioni di lavoro; non da ultimo si devono privilegiare le piccole imprese piuttosto che le grandi industrie o multinazionali. Si tratta dunque di un modo diverso di produrre e di “fare la spesa” (di beni e servizi) ridefinendo un’economia alternativa, più attenta all’aspetto etico e solidale piuttosto che al solo risparmio. La creazione di un mercato che consuma ciò che viene prodotto al suo interno crea un circolo virtuoso in quanto ridistribuisce la ricchezza nello stesso luogo in cui 'e stata prodotta. Nel mercato solidale al concetto di consumismo si contrappone la sobrietà, cioè il consumo nel rispetto della sostenibilità, al concetto di competizione si sostituisce quello di solidarietà.
stesso, ma anzi conservandolo, recuperandolo in alcuni casi e migliorandolo in termini di durata e di fruizione pubblica. Il benessere sociale 'e lo sviluppo della comunità in termini di cultura, di salute, di tempo libero e di risorse.
La terra a chi non lavora
La terra a chi la lavora era uno degli slogan con il quale ha mosso nel nostro paese i primi passi il movimento contadino. Oggi si tratta di attualizzare il concetto tenendo conto delle mutazioni sociali avvenute. Il concetto però è sempre lo stesso. A differenza del passato però oggi ci troviamo di fronte alla condizione in cui moltissime terre sono di fatto di enti pubblici e del demanio, terre ora inutilizzate che rischiano invece di finire vendute in un nuovo processo che non fa altro che aumentare la privatizzazione delle nostre campagne per fare cassa. Dal nostro punto di vista la terra pubblica deve essere concessa per finalità pubbliche, non venduta ma data in comodato d'uso, per progetti locali che abbiano le caratteristiche sopra descritte che prevedano principalmente il reimpiego degli espulsi dai processi produttivi. L'idea è quella di legare infatti la produzione agricola locale a catene distributive collettive a km zero in grado di abbassare i costi e tagliare la filiera di distribuzione generando al tempo stesso servizi sociali. Un meccanismo questo che oltre a ridurre l'impatto ambientale riduce anche i costi dei prodotti aumentandone il controllo della loro qualità ed accresce il capitale sociale territoriale. La vicinanza e la trasparenza tra acquirente e produttore è uno dei meccanismi di certificazione dei prodotti più efficaci e genuini, prodotti che si producono senza sfruttamento del lavoro come invece avviene nella maggior parte delle grandi produzioni agricole dove di fatto si assiste a vere e proprie forme di lavoro schiavizzato.
I progetti debbono essere reddituali per chi li mette in campo ed avere finalità pubbliche in quanto utilizzeranno per la produzione beni di proprietà pubblica.
Dovranno accorciare la filiera produzione-consumo cercando garanzie di un maggiore e migliore flusso possibile dei prodotti accorciando i tempi della normale catena di distribuzione; puntare inoltre alla riduzione dei costi e dell’impatto ambientale attraverso la scelta di prodotti biologici ed ecologici che valorizzino la cultura tradizionale locale; altro punto fondamentale è la tracciabilità dei prodotti;
ne si deve dimenticare la pratica di forme di consumo rispettose della salute, dell’ambiente e delle condizioni di lavoro; non da ultimo si devono privilegiare le piccole imprese piuttosto che le grandi industrie o multinazionali. Si tratta dunque di un modo diverso di produrre e di “fare la spesa” (di beni e servizi) ridefinendo un’economia alternativa, più attenta all’aspetto etico e solidale piuttosto che al solo risparmio. La creazione di un mercato che consuma ciò che viene prodotto al suo interno crea un circolo virtuoso in quanto ridistribuisce la ricchezza nello stesso luogo in cui 'e stata prodotta. Nel mercato solidale al concetto di consumismo si contrappone la sobrietà, cioè il consumo nel rispetto della sostenibilità, al concetto di competizione si sostituisce quello di solidarietà.
I progetti devono caratterizzarsi per:
rispetto dell’uomo: i prodotti che si acquistano non
devono essere coinvolti nelle logiche di puro mercato che, salvo rare
eccezioni, portano ad un aumento dell’incidenza del capitale finanziario
su quello umano. Al contrario devono “attivare” le risorse umane
consentendo a tutti i lavoratori, ma particolarmente a disabili,
artigiani, contadini disoccupati ed ad altre categorie svantaggiate, che
sono escluse dai circuiti economici di un mercato del lavoro
iper-competitivo e capitalizzato, di lavorare e partecipare ad uno
sviluppo sociale sostenibile;
sostenibilità: non impoverire le risorse presenti,
ma anzi valorizzarle oggi per poterne godere anche domani. Per quanto
riguarda i prodotti alimentari, ad esempio, si tratta di scegliere
prodotti biologici e/o biodinamici, ottenuti nel profondo rispetto della
natura e delle sue leggi. Significa anche scegliere prodotti locali per
ridurre l’inquinamento, il consumo di energia ed il traffico per il
trasporto della merce. Nell’economia globale i beni viaggiano da una
parte all’altra del pianeta in seguito a considerazioni economiche sul
costo della manodopera e delle materie prime nei diversi luoghi. Questo
calcolo economico svolto dalle aziende non tiene però conto dei costi
indiretti ed impliciti dei trasporti e della produzione i quali vengono
scaricati sulla collettività. Tali costi impliciti comprendono, ad
esempio, l’inquinamento (sia per la produzione che per il trasporto),
l’impiego di energia fossile non rinnovabile, il consumo inutile di
tempo dovuto alla congestione del traffico ecc.. Se tali costi venissero
attribuiti direttamente su chi li genera, scopriremmo quanto incide il
costo del trasporto su di un prodotto e saremmo naturalmente portati a
scegliere prodotti locali e stagionali.
Ciò significa che scegliere tali prodotti 'e un modo per diminuire il nostro carico sull’ambiente, la nostra impronta ecologica. Inoltre, dovendo viaggiare di meno, gli alimenti possono arrivare più freschi sulle nostre tavole e quindi richiedono meno conservanti. Inoltre l’arrivo di grosse quantità di prodotto, smistate e ripartite tra le famiglie in modo casereccio (qui si potrebbe aggiungere attraverso gli spacci comunali), come si faceva un tempo, ridurrebbe anche gli imballaggi;
Ciò significa che scegliere tali prodotti 'e un modo per diminuire il nostro carico sull’ambiente, la nostra impronta ecologica. Inoltre, dovendo viaggiare di meno, gli alimenti possono arrivare più freschi sulle nostre tavole e quindi richiedono meno conservanti. Inoltre l’arrivo di grosse quantità di prodotto, smistate e ripartite tra le famiglie in modo casereccio (qui si potrebbe aggiungere attraverso gli spacci comunali), come si faceva un tempo, ridurrebbe anche gli imballaggi;
salute in armonia con i ritmi naturali: nel rispetto
della disponibilità stagionale, scegliamo di utilizzare, consumare e
mangiare prodotti di buona qualità, a patto che nella loro fase
produttiva, distributiva e nel loro utilizzo non rilascino residui e
sostanze tossiche per l’uomo e per l’ambiente e non abusino delle
risorse: questo 'e sano per l’organismo umano e per tutto l’ecosistema;
solidarietà: favorire la creazione di un sistema
produttivo capillare che potrebbe affrontare il confronto anche con la
GDO che può sfruttare economie di scala, facile accesso ai capitali e
manodopera a basso costo. Preoccuparsi dell’equa distribuzione e
fruizione delle risorse naturali
e delle capacità lavorative, partecipando ’in solido’ alla loro gestione ed alla ridistribuzione della ricchezza prodotta;
gusto: recuperare la possibilità di gustare la bontà dei sapori dei cibi non adulterati da processi di trasformazione artificiali, salvaguardandone la proprietà nutritive, le tipicità, conoscendo e tutelando le colture e le culture, il saper fare, che spesso stanno all’origine di molti prodotti alimentari. Informarsi e formarsi vicendevolmente, le riunioni e gli incontri fra consumatori e produttori debbon diventare un vero e proprio momento di scambio e formazione reciproca.
Avere uno strumento in più per partecipare con responsabilità al mercato economico; la cultura capitalistica nella quale viviamo, con il suo modo esclusivo e totalitario di accumulare e reinvestire capitali crea una realtà fatta di relazioni sociali inique, alle quali questo modello di produzione si propone come una possibile proposta alternativa. Cominciare a cambiare le relazioni economiche a livello interpersonale e locale 'e un primo passo importante.
La terra sociale
Non si parla però solo di produzione di beni, di produzione di alimenti e conservazione del territorio, l'Umbria non ha però solamente terra del demanio da coltivare, in questi terreni ci sono case e casolari in gran parte inutilizzati e spesso in disfacimento. Questi luoghi ora vuoti, potrebbero essere utilizzati come strutture pubbliche per i servizi alla persona ( pronto soccorso abitativo, comunità di recupero, case accoglienza per vittime di tratta, ecc) facendo diventare il nostro territorio agricolo anche come produttore di servizi sociali, un terreno nel quale fondere l'agricoltura con processi virtuosi di autorecupero a fini sociali. Processi nei quali integrare formazione/cultura/ e turismo etico con nuove forme d'intervento del pubblico nel quale le amministrazioni comunali sarebbero parte attiva nel processo e non semplici spettatori. I comuni ad esempio dovrebbero favorire la costruzione e lo sviluppo di tali "distretti di economia sociale pubblica " favorendo ed agevolando l'accesso al credito. Partire dalla risposte ai bisogni sociali che vive il nostro territorio per provare a costruire nuove alleanze sociali per soddisfarli può essere il valore aggiunto con il quale rigenerare un modello di welfare che andrebbe in controtendenza rispetto alla situazione in atto. I profitti di questo modello economico infatti ( una volta pagati i salari) non dovranno essere privatizzati ma reinvestiti principalmente per generare nuovo welfare locale. Cosa, come e dove produrre, come redistribuire i profitti di questo modello economico dovrà quindi essere il frutto di un processo collettivo e democratico da esercitarsi in rapporto con le amministrazioni locali dove questi processi si affermano. Il ruolo dei comuni infatti è centrale in questo modello di sviluppo che non mette al centro il profitto di pochi ma il progresso sociale di molti.
e delle capacità lavorative, partecipando ’in solido’ alla loro gestione ed alla ridistribuzione della ricchezza prodotta;
gusto: recuperare la possibilità di gustare la bontà dei sapori dei cibi non adulterati da processi di trasformazione artificiali, salvaguardandone la proprietà nutritive, le tipicità, conoscendo e tutelando le colture e le culture, il saper fare, che spesso stanno all’origine di molti prodotti alimentari. Informarsi e formarsi vicendevolmente, le riunioni e gli incontri fra consumatori e produttori debbon diventare un vero e proprio momento di scambio e formazione reciproca.
Avere uno strumento in più per partecipare con responsabilità al mercato economico; la cultura capitalistica nella quale viviamo, con il suo modo esclusivo e totalitario di accumulare e reinvestire capitali crea una realtà fatta di relazioni sociali inique, alle quali questo modello di produzione si propone come una possibile proposta alternativa. Cominciare a cambiare le relazioni economiche a livello interpersonale e locale 'e un primo passo importante.
La terra sociale
Non si parla però solo di produzione di beni, di produzione di alimenti e conservazione del territorio, l'Umbria non ha però solamente terra del demanio da coltivare, in questi terreni ci sono case e casolari in gran parte inutilizzati e spesso in disfacimento. Questi luoghi ora vuoti, potrebbero essere utilizzati come strutture pubbliche per i servizi alla persona ( pronto soccorso abitativo, comunità di recupero, case accoglienza per vittime di tratta, ecc) facendo diventare il nostro territorio agricolo anche come produttore di servizi sociali, un terreno nel quale fondere l'agricoltura con processi virtuosi di autorecupero a fini sociali. Processi nei quali integrare formazione/cultura/ e turismo etico con nuove forme d'intervento del pubblico nel quale le amministrazioni comunali sarebbero parte attiva nel processo e non semplici spettatori. I comuni ad esempio dovrebbero favorire la costruzione e lo sviluppo di tali "distretti di economia sociale pubblica " favorendo ed agevolando l'accesso al credito. Partire dalla risposte ai bisogni sociali che vive il nostro territorio per provare a costruire nuove alleanze sociali per soddisfarli può essere il valore aggiunto con il quale rigenerare un modello di welfare che andrebbe in controtendenza rispetto alla situazione in atto. I profitti di questo modello economico infatti ( una volta pagati i salari) non dovranno essere privatizzati ma reinvestiti principalmente per generare nuovo welfare locale. Cosa, come e dove produrre, come redistribuire i profitti di questo modello economico dovrà quindi essere il frutto di un processo collettivo e democratico da esercitarsi in rapporto con le amministrazioni locali dove questi processi si affermano. Il ruolo dei comuni infatti è centrale in questo modello di sviluppo che non mette al centro il profitto di pochi ma il progresso sociale di molti.
Entro la fine dell'anno intendiamo presentare alla Regione
Umbria una proposta di legge regionale che lavori su questa prima pista
di lavoro aperta alla partecipazione. Primo appuntamento
SABATO 15 GIUGNO - ore 15.30
PantaRei - Le Pierle 19A,
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