Così Joseph Stiglitz, assieme al collega italiano Mauro Gallegati, ha presentato un nuovo teorema di cui già si è parlato a lungo e che trafigge al cuore il pensiero unico: quando i ricchi (ovvero l’ 1% più ricco della popolazione) si appropriano del 25 per cento del reddito scoppia la «bomba atomica economica». E’ una cosa abbastanza ovvia: per quanto essi possano consumare non consumeranno mai come il restante 99% della popolazione. non possono mangiare 99 volte di più, non possono guidare 99 automobili, prendere 99 aerei contemporaneamente, fare 99 viaggi nello stesso tempo, portare 99 giacche griffate lo stesso giorno o 99 mutandine di pizzo. E più sottraggono risorse all’altro 99 % , più spezzano le gambe alla middle class, più si affossano l’economia. E questo - ma mi riprometto di parlarne – perché oltre alle limitazioni fisiche e temporali ovvie, il denaro è una merce non deperibile e più si accumula, più vale. I super ricchi, anche nel contesto dell’economia capitalistica, sono in sostanza una palla al piede e un fattore di instabilità. Mi verrebbe quasi da dire che sono un reperto dell’era preindustriale.
Ecco perché ho fatto l’esempio della termodinamica che ai più sarà sembrato bizzarro, ma non a chi sa quale fascino abbia esercitato la fisica, da Newton fino a Poincaré, sugli economisti che come supremo obiettivo avevano quello di fondare una vera e propria scienza sul modello newtoniano. Peccato che poi sia arrivata la relatività e la quantistica, ma insomma il teorema di Stiglitz non fa che ribadire il pensiero di Keynes riportando il focus dell’economia sulla domanda piuttosto che sull’offerta. Il problema è semmai come si sia potuto pensare il contrario e cioè che pochi ricchi sarebbero stati in grado di migliorare la vita di tutti e dunque occorreva tagliare le tasse, distruggere il salario indiretto dello stato sociale, diminuire la democrazia, cancellare le regole per farli diventare più ricchi, attraverso multinazionali, centri finanziari e quant’altro.
In realtà anche se pochi liberali lo ammettono (non parlo dei liberisti ovviamente che ne sono una mutazione) queste bizzarre teorie che esplodono con il celebre quanto sbagliato diagramma di Laffer, vanno di pari passo con il naufragio della società comunista che aveva costretto il capitalismo a molte riforme nel timore delle rivoluzioni. Nel “Secolo breve” Hobsbawm sostiene che nel dopoguerra vi era stato «una sorta di matrimonio fra il liberalismo economico e la democrazia sociale […] con aspetti non secondari presi a prestito dalla politica economica dell’Urss, che per prima aveva praticato la pianificazione economica». Con grande dispiacere del possidente reazionario von Hayek, musa ispiratrice di molta della conservazione arcaica italiana. Ma quando il rivale cominciò a perdere terreno al’inizio degli anni ’80, ci fu l’occasione per i grandi centri di potere di riappropriarsi dell’ideazione, della inoculazione mediatica e della prassi di un ritorno all’indietro, nonostante la società dei consumi con cui avevano zavorrato gli ideali sociali, non possa esistere senza i consumatori. La globalizzazione è servita lungo venticinque anni a nascondere questa realtà grazie alla mobilitazione degli eserciti di riserva in Asia e Sud America, che consentivano l’esplosione dei profitti anche in presenza di un calo della domanda.
Ma adesso siamo al dunque e l’evidenza diventa evidente nonostante i tentativi di nasconderla, i dati empirici che fino a qualche anno fa vagavano tra i fogli di calcolo impazziti per dare certi risultati, si rimettono in ordine ed esprimono le correlazioni corrette. Ma c’è voluta la crisi, la disoccupazione, il fallimento, la rabbia di un futuro rubato, il declino di intere nazioni per riuscire a mettere la testa fuori dalla bolla di sapone del pensiero unico e dalla forza tensiva dei potentati che la sovvenzionano. Perché, sapete, la logica si può appannare e la matematica si può corrompere, ma la realtà delle vite alla fine, anche inconsapevolmente si impone. Una cosa che deve apparire come una sgradevole novità all’attuale ceto politico che le sofferenze riesce a vederle solo in relazione all’ordine pubblico e che ancora crede che non l’uguaglianza, ma l’iniquità sia necessaria.
Fonte: http://ilsimplicissimus2.wordpress.com
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