Si è svolta a Roma sabato 18 maggio la manifestazione nazionale della
Fiom-Cgil contro la crisi. Manifestazione partecipata, almeno 30mila
persone, tanti striscioni di aziende, metalmeccaniche e non solo, una
nutrita platea di operai della Fiat sul palco a simboleggiare che la
battaglia prosegue, molti militanti della sinistra diffusa accorsi in
sostegno.
Un osservatore esterno avrebbe potuto quindi desumere che la
manifestazione è stata un successo. Ma è proprio così? Il 16 ottobre
2010, sulla spinta della lotta di Pomigliano, la stessa Fiom riempì
Piazza San Giovanni con una presenza di cinque o dieci volte superiore.
Ancora più importante dei numeri era la determinazione di quella piazza
che rispondeva alla sfida di Marchionne e di Federmeccanica.
A oltre due anni di distanza quel potenziale appare dissipato e la difficoltà di strategia è apparsa evidente il 18 maggio.
La difficoltà a portare gli operai a questa manifestazione ha quindi delle ragioni precise, al di là dell’autorità di cui la Fiom continua a godere. L’appello conteneva di tutto, la riconquista del diritto al lavoro, il ripristino del reintegro per giusta causa, un piano per investimenti pubblici e privati, l'utilizzo dei contratti di solidarietà, l'estensione della cassa integrazione, un reddito di cittadinanza… tutte cose sacrosante ma senza un ordine di priorità e soprattutto senza entrare nel merito di come passare dalla denuncia alla mobilitazione.
La piazza ha manifestato la propria rabbia contro il governo Letta-Alfano, governo che non potrà che proseguire con le politiche antisociali dei suoi predecessori. Landini ha sì criticato il nuovo esecutivo ma senza entrare nel merito su come la Fiom pensa di opporsi. Il suo intervento è stato tutto un chiedere e proporre, senza mai porsi un problema molto semplice: se le nostre richieste e proposte non vengono ascoltate, non si tratterà di “chiedere” ma di “costringere”, e per farlo bisogna organizzare la forza necessaria.
Landini e Camusso
Per quanto deteriore, la Camusso e il vertice della Cgil una linea chiara ce l'hanno: appoggio incondizionato al governo Letta-Alfano, riproposizione dell'unità nazionale in chiave sindacale con Cisl e Uil. Qual'è invece la posizione del gruppo dirigente della Fiom?
Il Comitato centrale del 23 maggio da questo punto di vista è stato a dir poco evasivo.
La mobilitazione proseguirà ma ogni decisione è demandata alla segreteria nazionale. Non c’è un accenno di strategia né riguardo alla riconquista del contratto nazionale, né alla lotta ai licenziamenti e alle chiusure. Ci si spiega che ritrovare l'unità con Cisl e Uil è possibile anche nei metalmeccanici, non perché Fim e Uilm abbiano rimesso in discussione lo scempio fatto in Fiat o sul contratto nazionale, ma perché nel contratto delle cooperative metalmeccaniche si è trovato l'accordo unitario.
Pur non contenendo alcune delle cose più indigeribili del contratto nazionale dei metalmeccanici rifiutato dalla Cgil, è assolutamente insufficiente e soprattutto assimila a priori il nefasto accordo sulla rappresentanza firmato il 31 maggio. A parte ciò andrebbe comunque spiegato come e perché l’accordo con le cooperative, che riguarda forse 20mila lavoratori in settori non centrali della categoria, possa invertire la rotta rispetto alla rottura del contratto nazionale, che riguarda centinaia di migliaia di lavoratori, o all’esclusione della Fiom dal gruppo Fiat. O ci si vuole dire che Marchionne e Federmeccanica verranno folgorati dalla lungimiranza delle cooperative?
In Fiat, Fim e Uilm continuano a difendere a spada tratta l’esclusione della Fiom, come si è visto ancora nella causa per il reintegro dei primi 19 iscritti Fiom, dove Fim e Uilm hanno testimoniato contro la Fiom.
Recentemente la Fiat a Pomigliano ha chiesto due sabati straordinari per un picco produttivo, Fim e Uilm hanno accettato, invece di battersi perché almeno una parte dei duemila lavoratori fuori dalla fabbrica venissero temporaneamente rimessi in produzione, generando forti malesseri tra gli stessi operai in produzione che sono allo stremo delle forze per i ritmi forsennati a cui sono sottoposti.
L’accordo sulla rappresentanza
L'accordo firmato il 31 maggio tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, denominato protocollo d'intesa, ha visto l'appoggio anche di Landini. La cosa in sé non è una novità, Landini stesso aveva già votato a favore a un mandato nel direttivo Cgil di aprile. Si propone una valutazione positiva in base al fatto che la piattaforma prevede la consultazione dei lavoratori.
Ma in primo luogo nell'accordo non si chiarisce affatto la natura di tale consultazione, ma si lascia alle categorie stabilire le modalità con cui attuarla. Tradotto significa che i margini per gestire nell'ambiguità più totale queste consultazioni sono larghissimi, ancor più a fronte della sentenza del tribunale di Roma che dà torto alla Fiom in merito alla legittimità dell'ultimo contratto nazionale separato. Del resto, come Fim e Uilm nei metalmeccanici intendono la consultazione lo sappiamo molto bene.
La questione centrale è che se non si condividerà un qualche accordo e si andrà in minoranza nelle consultazioni, lo si dovrà accettare comunque e chi non si allineerà subirà delle sanzioni. Si tratta della famosa “esigibilità” degli accordi.
Nell'accordo non si parla esplicitamente di sanzioni, ma il fatto che si utilizzi un giro di parole fumose non cambia la sostanza, ovvero che chi non condividerà quegli accordi dovrà accettarli obtorto collo. Per rendere più digeribile la cosa si rinviano i dettagli delle sanzioni ai contratti collettivi. Inoltre tutto ciò non cambierà di una virgola il problema dell'agibilità della Fiom in Fiat, visto che la Fiat è fuori da Confindustria. Su ciò il segretario della Fiom chiede al governo una legge, che costringerebbe quindi la Fiat ad applicare l'accordo. Lo stesso governo che Landini considera giustamente dalla parte dei padroni. Ma il fatto che lo stesso governo si è dichiarato entusiasta dell'accordo non dovrebbe invece essere motivo di preoccupazione?
Ebbene, noi pensiamo che se anche in una determinata azienda i lavoratori, posti sotto un ricatto estremo, “accettano” col voto un accordo sfavorevole o che addirittura lede dei diritti fondamentali, una organizzazione che si oppone non possa e non debba rinunciare a tentare di organizzare la resistenza e a tentare di ribaltare i rapporti di forza per risalire la china. O forse avremmo dovuto accettare in silenzio gli accordi di Pomigliano e di Mirafiori?
A questo si aggiunge che il protocollo d'intesa firmato il 31 maggio dichiara esplicitamente di integrare l’accordo del 28 giugno 2011, che legittima de facto le deroghe ai contratti nazionali. Motivo per cui in passato lo stesso Landini si era dichiarato contrario, ma di cui oggi non fa più parola.
In questi anni la Fiom e il suo gruppo dirigente hanno offerto un riferimento a tutti coloro, non solo nel sindacato, che non volevano arrendersi ai diktat padronali e alla logica dell’unità nazionale, sempre a spese dei lavoratori.
Questo, e solo questo, ha dato alla Fiom la forza di resistere anche nel mezzo di una crisi che obiettivamente rende difficile il conflitto nelle fabbriche.
Dobbiamo lanciare un allarme molto chiaro: se l’attuale crisi di strategia dovesse sfociare in un tentativo di smussare gli spigoli e mettere da parte i punti di conflitto sia con la maggioranza della Cgil che con Fim e Uilm, non solo non si approderà a nulla ma verrà dispersa quella stessa forza che ha retto fin qui generosamente le battaglie dei metalmeccanici. Non si otterrà nulla né dai padroni, né da questo governo, né da Cisl e Uil, e intanto si scoraggeranno e si confonderanno i lavoratori e la base.
Si riparta quindi non dalle manovre di vertice, ma dall’elaborazione di piattaforme e strategie di mobilitazioni coerenti con la gravità della situazione sociale. Insistere su questo, anche se significa contraddire la linea di maggioranza, è la sola via per difendere un patrimonio di lotte e di credibilità che non possiamo permetterci di vedere disperso.
A oltre due anni di distanza quel potenziale appare dissipato e la difficoltà di strategia è apparsa evidente il 18 maggio.
La difficoltà a portare gli operai a questa manifestazione ha quindi delle ragioni precise, al di là dell’autorità di cui la Fiom continua a godere. L’appello conteneva di tutto, la riconquista del diritto al lavoro, il ripristino del reintegro per giusta causa, un piano per investimenti pubblici e privati, l'utilizzo dei contratti di solidarietà, l'estensione della cassa integrazione, un reddito di cittadinanza… tutte cose sacrosante ma senza un ordine di priorità e soprattutto senza entrare nel merito di come passare dalla denuncia alla mobilitazione.
La piazza ha manifestato la propria rabbia contro il governo Letta-Alfano, governo che non potrà che proseguire con le politiche antisociali dei suoi predecessori. Landini ha sì criticato il nuovo esecutivo ma senza entrare nel merito su come la Fiom pensa di opporsi. Il suo intervento è stato tutto un chiedere e proporre, senza mai porsi un problema molto semplice: se le nostre richieste e proposte non vengono ascoltate, non si tratterà di “chiedere” ma di “costringere”, e per farlo bisogna organizzare la forza necessaria.
Landini e Camusso
Per quanto deteriore, la Camusso e il vertice della Cgil una linea chiara ce l'hanno: appoggio incondizionato al governo Letta-Alfano, riproposizione dell'unità nazionale in chiave sindacale con Cisl e Uil. Qual'è invece la posizione del gruppo dirigente della Fiom?
Il Comitato centrale del 23 maggio da questo punto di vista è stato a dir poco evasivo.
La mobilitazione proseguirà ma ogni decisione è demandata alla segreteria nazionale. Non c’è un accenno di strategia né riguardo alla riconquista del contratto nazionale, né alla lotta ai licenziamenti e alle chiusure. Ci si spiega che ritrovare l'unità con Cisl e Uil è possibile anche nei metalmeccanici, non perché Fim e Uilm abbiano rimesso in discussione lo scempio fatto in Fiat o sul contratto nazionale, ma perché nel contratto delle cooperative metalmeccaniche si è trovato l'accordo unitario.
Pur non contenendo alcune delle cose più indigeribili del contratto nazionale dei metalmeccanici rifiutato dalla Cgil, è assolutamente insufficiente e soprattutto assimila a priori il nefasto accordo sulla rappresentanza firmato il 31 maggio. A parte ciò andrebbe comunque spiegato come e perché l’accordo con le cooperative, che riguarda forse 20mila lavoratori in settori non centrali della categoria, possa invertire la rotta rispetto alla rottura del contratto nazionale, che riguarda centinaia di migliaia di lavoratori, o all’esclusione della Fiom dal gruppo Fiat. O ci si vuole dire che Marchionne e Federmeccanica verranno folgorati dalla lungimiranza delle cooperative?
In Fiat, Fim e Uilm continuano a difendere a spada tratta l’esclusione della Fiom, come si è visto ancora nella causa per il reintegro dei primi 19 iscritti Fiom, dove Fim e Uilm hanno testimoniato contro la Fiom.
Recentemente la Fiat a Pomigliano ha chiesto due sabati straordinari per un picco produttivo, Fim e Uilm hanno accettato, invece di battersi perché almeno una parte dei duemila lavoratori fuori dalla fabbrica venissero temporaneamente rimessi in produzione, generando forti malesseri tra gli stessi operai in produzione che sono allo stremo delle forze per i ritmi forsennati a cui sono sottoposti.
L’accordo sulla rappresentanza
L'accordo firmato il 31 maggio tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, denominato protocollo d'intesa, ha visto l'appoggio anche di Landini. La cosa in sé non è una novità, Landini stesso aveva già votato a favore a un mandato nel direttivo Cgil di aprile. Si propone una valutazione positiva in base al fatto che la piattaforma prevede la consultazione dei lavoratori.
Ma in primo luogo nell'accordo non si chiarisce affatto la natura di tale consultazione, ma si lascia alle categorie stabilire le modalità con cui attuarla. Tradotto significa che i margini per gestire nell'ambiguità più totale queste consultazioni sono larghissimi, ancor più a fronte della sentenza del tribunale di Roma che dà torto alla Fiom in merito alla legittimità dell'ultimo contratto nazionale separato. Del resto, come Fim e Uilm nei metalmeccanici intendono la consultazione lo sappiamo molto bene.
La questione centrale è che se non si condividerà un qualche accordo e si andrà in minoranza nelle consultazioni, lo si dovrà accettare comunque e chi non si allineerà subirà delle sanzioni. Si tratta della famosa “esigibilità” degli accordi.
Nell'accordo non si parla esplicitamente di sanzioni, ma il fatto che si utilizzi un giro di parole fumose non cambia la sostanza, ovvero che chi non condividerà quegli accordi dovrà accettarli obtorto collo. Per rendere più digeribile la cosa si rinviano i dettagli delle sanzioni ai contratti collettivi. Inoltre tutto ciò non cambierà di una virgola il problema dell'agibilità della Fiom in Fiat, visto che la Fiat è fuori da Confindustria. Su ciò il segretario della Fiom chiede al governo una legge, che costringerebbe quindi la Fiat ad applicare l'accordo. Lo stesso governo che Landini considera giustamente dalla parte dei padroni. Ma il fatto che lo stesso governo si è dichiarato entusiasta dell'accordo non dovrebbe invece essere motivo di preoccupazione?
Ebbene, noi pensiamo che se anche in una determinata azienda i lavoratori, posti sotto un ricatto estremo, “accettano” col voto un accordo sfavorevole o che addirittura lede dei diritti fondamentali, una organizzazione che si oppone non possa e non debba rinunciare a tentare di organizzare la resistenza e a tentare di ribaltare i rapporti di forza per risalire la china. O forse avremmo dovuto accettare in silenzio gli accordi di Pomigliano e di Mirafiori?
A questo si aggiunge che il protocollo d'intesa firmato il 31 maggio dichiara esplicitamente di integrare l’accordo del 28 giugno 2011, che legittima de facto le deroghe ai contratti nazionali. Motivo per cui in passato lo stesso Landini si era dichiarato contrario, ma di cui oggi non fa più parola.
In questi anni la Fiom e il suo gruppo dirigente hanno offerto un riferimento a tutti coloro, non solo nel sindacato, che non volevano arrendersi ai diktat padronali e alla logica dell’unità nazionale, sempre a spese dei lavoratori.
Questo, e solo questo, ha dato alla Fiom la forza di resistere anche nel mezzo di una crisi che obiettivamente rende difficile il conflitto nelle fabbriche.
Dobbiamo lanciare un allarme molto chiaro: se l’attuale crisi di strategia dovesse sfociare in un tentativo di smussare gli spigoli e mettere da parte i punti di conflitto sia con la maggioranza della Cgil che con Fim e Uilm, non solo non si approderà a nulla ma verrà dispersa quella stessa forza che ha retto fin qui generosamente le battaglie dei metalmeccanici. Non si otterrà nulla né dai padroni, né da questo governo, né da Cisl e Uil, e intanto si scoraggeranno e si confonderanno i lavoratori e la base.
Si riparta quindi non dalle manovre di vertice, ma dall’elaborazione di piattaforme e strategie di mobilitazioni coerenti con la gravità della situazione sociale. Insistere su questo, anche se significa contraddire la linea di maggioranza, è la sola via per difendere un patrimonio di lotte e di credibilità che non possiamo permetterci di vedere disperso.
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