Era
tutto decisamente prevedibile. L’Ucraina sprofonda nel caos, a violenza
si risponde con violenza e la Russia comincia a mostrare i muscoli, per
ora minacciando, presto, forse, schierando il suo esercito – al momento
ancora nelle basi militari.
Non ci sono dubbi che l’intervento russo sarebbe un classico atto imperialista, e d’altronde Putin non fa nulla per nasconderlo – in questo un poco più onesto degli occidentali che si muovono sempre fingendo di voler difendere la democrazia e i diritti umani. Anche il Presidente russo ha dichiarato di voler proteggere i russi della Crimea da possibili azioni e discriminazioni di Kiev ma anche serenamente ammesso che la Russia interverrà per difendere i suoi interessi. Un ritorno non tanto e non solo alla Guerra Fredda, ma addirittura al colonialismo, dove il più forte fa quello che vuole in casa del più debole.
Tuttavia, puntare, giustamente, il dito contro la revanche russa, non aiuta ad inquadrare correttamente quanto successo in Ucraina. Dove un governo eletto – più o meno democraticamente, come sempre successo in Ucraina, anche quando vincevano Tymoshenko e soci – è stato scacciato con le armi da una fazione politica apertamente appoggiata da Europa e Usa. E dove, soprattutto, dietro una cortina fumogena di propaganda che mostrava una lotta tra democrazia e dittatura, è andato in scena uno scontro tra diversi interessi: l’Occidente filo-europeo e l’Oriente filo-russo. Non può allora davvero sorprendere che questo Oriente che aveva vinto le elezioni si senta ora minacciato da un governo frutto della violenza di piazza e non certo legittimato da alcuna investitura popolare. Tanto più che la prima mossa del nuovo regime è stata quella di proibire l’uso del russo come lingua ufficiale, un inequivocabile atto ostile non solo vero la minoranza russa, ma pure verso quella quasi metà della popolazione ucraina – residente, appunto, nell’Est del paese – che parla russo e non ucraino.
I manifestanti di Maidan – gruppo eterogeneo di democratici, liberali, nazionalisti e neo-nazisti – hanno vinto la loro battaglia sul campo contro un governo comunque inetto e certo non solido, ma una vittoria in piazza, nell’Ucraina divisa in due, è solo il prologo ad altri scontri: quando la violenza diventa lo strumento per ottenere il potere, non ci si può aspettare il rispetto delle regole da parte dei momentaneamente sconfitti filo-russi.
Yanukovich, ricordiamolo, aveva offerto un compromesso ai manifestanti, promettendo loro la premiership e creando quindi un governo provvisorio di unità nazionale che avrebbe evitato lo sfacelo attuale. Tale compromesso però è stato sempre rifiutato, mentre molte cancellerie occidentali continuavano a chiedere le dimissioni del Presidente eletto. Il crollo del governo ha infine svelato la situazione reale: non la vittoria della democrazia, ma il successo di una metà del Paese contro l’altro, col bel risultato, ampiamente prevedibile, che la rivolta si sta trasformando in guerra civile. Guerra civile che, naturalmente, ha il suo bel contorno geopolitico: da una parte, supporto incondizionato al nuovo regime in Occidente; dall’altra, in una temibile escalation, rischio di intervento militare russo per difendere i propri interessi.
Quello che però deve esser chiaro è che in Europa ed in America, nessuno è disposto a morire per Kiev. Si è cercato, soprattutto a Washington, di cavalcare la protesta ucraina per indebolire Mosca, ma il tanto sbandierato supporto occidentale si ferma alle parole. Non solo non ci sarà nessun soldato americano a Kiev – e la risposta degli USA, per ora, è stata semplicemente di abbandonare il G8 – ma non ci saranno neanche dollari o euro per aiutare una nazione sull’orlo del lastrico. Tutt’al più, un intervento del FMI, con le solite lacrime e sangue per la popolazione coinvolta. La Russia, invece, aveva offerto un supporto concreto, tanti soldi e gas scontato per rivitalizzare un’Ucraina filo-russa. La UE non può e non vuole offrire nulla di lontanamente simile, ed in fondo, nemmeno vuole un paese enorme, poverissimo e problematico come l’Ucraina in Europa, a dispetto delle speranze di tanti manifestanti. Kiev, in fondo, era solo una fiche geopolitica da spendere contro Mosca, e verrà presto abbandonata sul tavolo della diplomazia, con tanti saluti alla supposta lotta per un’Ucraina democratica.
NICOLA MELLONINon ci sono dubbi che l’intervento russo sarebbe un classico atto imperialista, e d’altronde Putin non fa nulla per nasconderlo – in questo un poco più onesto degli occidentali che si muovono sempre fingendo di voler difendere la democrazia e i diritti umani. Anche il Presidente russo ha dichiarato di voler proteggere i russi della Crimea da possibili azioni e discriminazioni di Kiev ma anche serenamente ammesso che la Russia interverrà per difendere i suoi interessi. Un ritorno non tanto e non solo alla Guerra Fredda, ma addirittura al colonialismo, dove il più forte fa quello che vuole in casa del più debole.
Tuttavia, puntare, giustamente, il dito contro la revanche russa, non aiuta ad inquadrare correttamente quanto successo in Ucraina. Dove un governo eletto – più o meno democraticamente, come sempre successo in Ucraina, anche quando vincevano Tymoshenko e soci – è stato scacciato con le armi da una fazione politica apertamente appoggiata da Europa e Usa. E dove, soprattutto, dietro una cortina fumogena di propaganda che mostrava una lotta tra democrazia e dittatura, è andato in scena uno scontro tra diversi interessi: l’Occidente filo-europeo e l’Oriente filo-russo. Non può allora davvero sorprendere che questo Oriente che aveva vinto le elezioni si senta ora minacciato da un governo frutto della violenza di piazza e non certo legittimato da alcuna investitura popolare. Tanto più che la prima mossa del nuovo regime è stata quella di proibire l’uso del russo come lingua ufficiale, un inequivocabile atto ostile non solo vero la minoranza russa, ma pure verso quella quasi metà della popolazione ucraina – residente, appunto, nell’Est del paese – che parla russo e non ucraino.
I manifestanti di Maidan – gruppo eterogeneo di democratici, liberali, nazionalisti e neo-nazisti – hanno vinto la loro battaglia sul campo contro un governo comunque inetto e certo non solido, ma una vittoria in piazza, nell’Ucraina divisa in due, è solo il prologo ad altri scontri: quando la violenza diventa lo strumento per ottenere il potere, non ci si può aspettare il rispetto delle regole da parte dei momentaneamente sconfitti filo-russi.
Yanukovich, ricordiamolo, aveva offerto un compromesso ai manifestanti, promettendo loro la premiership e creando quindi un governo provvisorio di unità nazionale che avrebbe evitato lo sfacelo attuale. Tale compromesso però è stato sempre rifiutato, mentre molte cancellerie occidentali continuavano a chiedere le dimissioni del Presidente eletto. Il crollo del governo ha infine svelato la situazione reale: non la vittoria della democrazia, ma il successo di una metà del Paese contro l’altro, col bel risultato, ampiamente prevedibile, che la rivolta si sta trasformando in guerra civile. Guerra civile che, naturalmente, ha il suo bel contorno geopolitico: da una parte, supporto incondizionato al nuovo regime in Occidente; dall’altra, in una temibile escalation, rischio di intervento militare russo per difendere i propri interessi.
Quello che però deve esser chiaro è che in Europa ed in America, nessuno è disposto a morire per Kiev. Si è cercato, soprattutto a Washington, di cavalcare la protesta ucraina per indebolire Mosca, ma il tanto sbandierato supporto occidentale si ferma alle parole. Non solo non ci sarà nessun soldato americano a Kiev – e la risposta degli USA, per ora, è stata semplicemente di abbandonare il G8 – ma non ci saranno neanche dollari o euro per aiutare una nazione sull’orlo del lastrico. Tutt’al più, un intervento del FMI, con le solite lacrime e sangue per la popolazione coinvolta. La Russia, invece, aveva offerto un supporto concreto, tanti soldi e gas scontato per rivitalizzare un’Ucraina filo-russa. La UE non può e non vuole offrire nulla di lontanamente simile, ed in fondo, nemmeno vuole un paese enorme, poverissimo e problematico come l’Ucraina in Europa, a dispetto delle speranze di tanti manifestanti. Kiev, in fondo, era solo una fiche geopolitica da spendere contro Mosca, e verrà presto abbandonata sul tavolo della diplomazia, con tanti saluti alla supposta lotta per un’Ucraina democratica.
da Liberazione.it
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