sabato 1 marzo 2014

Il virus dell’individualismo —Alberto Giovanni Biuso, Il Manifesto

Saggi. «La cultura dell’egoismo» di Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch per Elèuthera. Il dialogo tra i due filosofi sulle ragioni della sconfitta della sinistra avvenuto negli anni Ottanta mantiene una sorprendente attualità
Il 4 e il 27 marzo del 1986 la tele­vi­sione bri­tan­nica Chan­nel 4 mandò in onda una con­ver­sa­zione tra Cor­ne­lius Casto­ria­dis e Chri­sto­pher Lasch, mode­rata da Michael Igna­tieff. Sono tra­scorsi 28 anni e l’analisi delle ragioni pro­fonde della crisi della sini­stra in Europa è ancora attuale. E que­sto non è un buon segno. I due stu­diosi con­cor­dano, infatti, nell’individuare un ele­mento di tale crisi che da allora si è dispie­gato sino a non essere più nep­pure avver­tito. Si tratta dell’individualismo libe­rale che ha con­ta­giato la cul­tura di sini­stra sino a tra­sfor­marla alla radice.
Casto­ria­dis e Lasch par­tono dalla con­sa­pe­vo­lezza ari­sto­te­lica che «quel che noi chia­miamo indi­vi­duo è in un certo senso una costru­zione sociale» (La cul­tura dell’egoismo. L’anima umana sotto il capi­ta­li­smo, post­fa­zione di Jean-Claude Michéa, elèu­thera, pp. 68, euro 8), che «nella società attuale non stiamo più pro­du­cendo indi­vi­dui capaci di incar­nare la visione ari­sto­te­lica. […]Abbiamo perso quell’ideale?». Sì, la sini­stra lo ha perso, sosti­tuendo la lotta di classe con una ideo­lo­gia dei diritti umani di evi­dente impronta libe­rale, non certo mar­xiana. Invece che affian­carsi alla lotta di classe, la lotta con­tro le discri­mi­na­zioni ha sosti­tuito la lotta di classe, segnando in que­sto modo la fine della sinistra.
I dispo­si­tivi con­cet­tuali di que­sta auto­dis­so­lu­zione sono con­si­stiti nella nega­zione delle inva­rianti antro­po­lo­gi­che, nella rinun­cia a ogni iden­tità col­let­tiva a favore dei diritti del sin­golo, nell’illusione della cre­scita illi­mi­tata, alla quale sono legati quelli dello «svi­luppo soste­ni­bile» e dell’equa distri­bu­zione dei pro­fitti del capi­tale. Si esprime qui una certa iro­nia verso coloro che al mate­ria­li­smo delle iden­tità cor­po­ree pre­fe­ri­scono quella che Michéa defi­ni­sce «l’ideologia neo­spi­ri­tua­li­sta». Di sini­stra sarebbe piut­to­sto «il rifiuto della ridu­zione degli esseri umani allo sta­tuto di ’atomi iso­lati privi di con­sa­pe­vo­lezza gene­rale’ (Engels)». La sini­stra del XXI secolo ha dun­que rinun­ciato alla cri­tica nei con­fronti di un mondo domi­nato dall’iperindividualismo e ha accet­tato come ine­vi­ta­bile e ricca di oppor­tu­nità «una ’società dei con­sumi’ basata sul cre­dito, sull’obsolescenza pro­gram­mata e sulla pro­pa­ganda pubblicitaria».
È sulla base di tale con­sa­pe­vo­lezza che Casto­ria­dis e Lasch «erano giunti ad avere lo stesso sguardo disin­can­tato sulla tri­ste evo­lu­zione delle moderne sini­stre occi­den­tali e su quello che fin dal 1967 Guy Debord defi­niva ’le false lotte spet­ta­co­lari delle forme rivali del potere sepa­rato’». Un disin­canto che li induce ad affer­mare che ormai «da lungo tempo il diva­rio destra-sinistra, in Fran­cia come nel resto del mondo, non cor­ri­sponde più ai pro­blemi del nostro tempo, né riflette scelte poli­ti­che radi­cal­mente oppo­ste». Ma per entrambi la pos­si­bi­lità della libertà nell’eguaglianza è sem­pre aperta. Casto­ria­dis, in par­ti­co­lare, insi­ste sulla natura «tra­gica» della libertà poi­ché essa non pos­siede limiti esterni sui quali fare affi­da­mento ed è fon­data invece sulla pra­tica dell’autonomia, il cui modello riman­gono per lui sem­pre i Greci. Nelle loro tra­ge­die, infatti, «l’eroe muore a causa della sua hybris, della sua super­bia, per­ché tra­sgre­di­sce in un con­te­sto dove non esi­stono limiti pre­de­fi­niti. Que­sta è la nostra con­di­zione». La nega­zione del limite sta a fon­da­mento della pre­sunta razio­na­lità libe­rale, il cui prin­ci­pio di cre­scita inde­fi­nita con­tra­sta con la realtà dei limiti del pia­neta, il cui prin­ci­pio di oppor­tu­nità per tutti con­fligge con la realtà del pro­fitto che mol­ti­plica sol­tanto se stesso.
Que­sto libro non si limita a una cri­tica argo­men­tata e con­vin­cente dell’individualismo di sini­stra. Pro­pone alter­na­tive pra­ti­ca­bili, fon­date sul fatto che tra­di­zione e muta­mento devono essere viste e vis­sute in una logica non oppo­si­tiva ma inclu­siva. Un pro­gramma poli­tico di sini­stra deve «defi­nire le isti­tu­zioni con­crete gra­zie alle quali una ’società libera, egua­li­ta­ria e decente’ (George Orwell) possa con­fe­rire tutto il pro­prio senso a que­sta dia­let­tica crea­trice tra il par­ti­co­lare e l’universale. (…) Ecco dove sta tutta la dif­fe­renza fra una lotta poli­tica che, sulla scorta di quella degli anar­chici, dei socia­li­sti e dei popu­li­sti del XIX secolo, mirava innan­zi­tutto a offrire agli indi­vi­dui e ai popoli i mezzi per acce­dere a una vita real­mente auto­noma e un pro­cesso sto­rico di per­pe­tua fuga in avanti (sotto il tri­plice pun­golo del mer­cato ‘auto­re­go­lato’, del diritto astratto e della cul­tura main­stream) che quasi più nes­suno, quanto meno tra le file delle nostre sfa­vil­lanti élite, si cura di padro­neg­giare a fondo e che potrà sola­mente con­durre (ancor­ché san­ti­fi­cato con il nome di Pro­gresso) a una defi­ni­tiva ato­miz­za­zione della spe­cie umana». Non si può dire che non fos­simo stati avvertiti.

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