Improvvisamente
si sono alzati venti di tempesta, folate gelide di guerra: la vicenda
Ucraina, come si poteva facilmente immaginare, è stata una miccia
irresponsabilmente accesa e non si sa in che modo si riuscirà a
spegnerla prima che arrivi alle polveri. Ma non solo: è stato il
fallimento universale di una democrazia che via via sta diventando solo
formale e resa subalterna agli interessi dei padroni del denaro. La
figura peggiore non la fa certo la Russia nonostante il regime
autocratico di Putin, ma proprio gli Usa e l’Europa che hanno appoggiato
se non preparato (leggi qui)
un colpo di stato contro un governo regolarmente eletto due anni prima,
affidando la realizzazione del piano a corpi paramilitari di estrema
destra, armati e riforniti. Anche ipotizzando una spontaneità della
rivolta armata di qualche migliaio di persone e l’appoggio di circa un
trenta per cento dell’opinione pubblica, è fin troppo evidente che
l’operazione è riuscita solo grazie al supporto senza condizioni fornito
da un Obama farneticante che incitava alla secessione ucraina e dalla
Ue che addirittura si è spinta a promuovere sanzioni al governo in
carica. Mettendo da parte proprio tutti gli strumenti democratici che
era possibile mettere in campo.
Non credo che si arriverà a uno scontro militare, ma è del tutto
evidente che la Ue, priva da sempre di una politica estera e persino di
un commissario agli esteri se non vogliamo considerare tale la
inesistente e stuporosa Ashton, è stata trascinata dentro una
contrapposizione geopolitica alla Russia di cui ogni singolo Paese
europeo pagherà in modo peculiare conseguenze in termini di rifornimento
energetico, di joint ventures e di export per parlare solo di temi
economici. E qui sorge il problema: chi, con quale autorità, con quale
consenso, con quale mandato, con quale rappresentanza, con quale
maggioranza parlamentare ha deciso di esporre il l’intero continente a
un conflitto geopolitico di questo tipo? Un problema capitale che i
media fanno finta di ignorare.
La risposta pragmatica è fin troppo ovvia: la Germania, in prima fila
nell’appoggio al un golpe affidato alle bande neonaziste e ormai
scatenata nel suo espansionismo economico che in questo caso è andato a
braccetto con la strategia americana di accerchiamento militare della
Russia. Non a caso è proprio il socialdemocratico Schulz che apre ai
colloqui con i gruppi neonazisti e straparla di autodeterminazione dei
popoli, pur sapendo benissimo che non solo la repubblica autonoma di
Crimea ma molta parte dell’Ucraina orientale non ne vuol sapere di un
Paese trascinato a forza nel campo antirusso. Ma dal punto di vista
della sbandierata democrazia europea l’avventura di appoggiare un vero e
proprio colpo di stato basandosi solo sull’interruzione, peraltro
temporanea, dei colloqui preliminari per un’associazione dell’Ucraina
alla Ue, voluta dal governo regolarmente in carica, costituisce un salto
di qualità estraneo a tutti i trattati e anche alla struttura di
governance della Ue. Qui non si tratta di determinare la lunghezza del
salmone commerciabile e abbiamo la dimostrazione palmare di cosa
significhi “più Europa” che è il vacuo refrain delle socialdemocrazie
continentali e anche dell’ipocrisia o cecità dell’ “un’altra Europa è
possibile” senza però prevedere dei passi indietro rispetto alla
dittatura economica che poi sfocia in questi eventi totalmente al di
fuori del controllo dei cittadini europei e anche dei singoli Paesi. La
vicenda Ucraina ci insegna che si è andati troppo avanti nella
deformazione dell’idea stessa di Europa per pensare di cambiare le cose
senza uno choc e una messa in questione di tutto il meccanismo
geneticamente mutato a cominciare dalla moneta unica per finire al
trattato di Lisbona.
E del resto questo non vale solo per le questioni esterne: le stesse
stigmate si avvertono chiaramente in Grecia e in Spagna dove,
esattamente al contrario dell’Ucraina, le manifestazioni contro i
massacri sociali sono soffocate con gli stessi metodi usati dai
colonnelli o da Franco. Qualcosa che sta arrivando anche da noi con la
criminalizzazione giudiziaria del dissenso, vedi no Tav o no Muos, e che
rende non solo strumentale e ipocrita, ma anche volgare e sfacciato il
lamento per l’Ucraina alla quale peraltro, dopo aver fatto la frittata,
si negano gli aiuti fatti balenare durante i giorni di piazza Maidan.
Questo si che dovrebbe essere tema per la sinistra che tuttavia agonizza
tra balbettii e silenzi. La verità è che “un’altra sinistra è
possibile”. Anzi necessaria.
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