Guai a chi tocca la cortina! Arretrato rispetto ai tempi non lontani
della Guerra fredda, il cordone di protezione intorno alla Madre Russia
non è più di ferro, ma resta un confine d’influenza per Mosca invalicabile:
Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Georgia. E che la Russia faccia sul
serio, quando qualcuno non rispetta le convenzioni della geopolitica, lo
dimostra la guerra di Georgia del 2008: i territori russofoni sottratti
a Tblisi con le armi, non le sono stati restituiti.
Ora, la decisione di Putin di chiedere alla Duma l’autorizzazione all’invio di truppe in Crimea sorprende chi dimentica che, nel 2002, il presidente George W. Bush
si fece autorizzare dal Congresso Usa l’attacco all’Iraq; e che,
soltanto sei mesi fa Obama voleva sollecitare al Congresso il via libera
per l’intervento in Siria (e lì fu la Russia a fornirgli una via
d’uscita). Il fatto che Washington e Mosca abbiano, nel loro dna di
superpotenze, l’uso della forza non lo giustifica di certo.
Ma l’accento non va ora posto sulla sorpresa, che non può esserci, né sull’indignazione, che è ipocrita, ma piuttosto sugli strumenti per evitare un conflitto in Europa:
di morire per Kiev, non ha voglia nessuno; ma morire a Kiev si può e
s’è appena visto. Il mantra dell’integrità territoriale dell’Ucraina,
cui per ora s’attengono Ue e Usa, Nato e Onu, non è assoluto. Il totem
della scelta europea dell’Ucraina è un falso idolo. Che la Crimea decida
con chi vuole stare, Kiev o Mosca o per conto suo. Senza tornare alle
tragedie della ex Jugoslavia, dove il diritto all’autodeterminazione
valeva per tutti, meno che per i serbi fuori dai confini della Serbia.
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