Il Quantitative Easing del venerabile Mario Draghi gira a vuoto e non
trova sbocchi nell'economia reale: sconta la rarefazione dei profitti.
di Giuseppe Masala.
Solo un mese fa ci avevano presentato il Quantitative Easing della BCE, pronto a entrare in opera, come il provvedimento che avrebbe rivitalizzato l'economia europea. Alcuni economisti (generalmente
appartenenti alla scuola marxista e più in generale a visioni
eterodosse) avevano comunque avvisato che questo genere di operazione
poteva rivelarsi come un mero salvataggio dei mercati finanziari (e
delle istituzioni finanziarie che in esso operano) e che non avrebbe
avuto comunque effetto sull'economia reale.
A pochi giorni dalla sua
partenza queste considerazioni fuori dal coro rischiano però di essere
considerate come visioni economiche assolutamente ottimiste. E questo è
la stessa BCE a dircelo.
Il 27 Marzo i conti correnti di deposito della BCE (deposit facility) già erano in crescita e ammontavano alla considerevole cifra di 57,29 miliardi di euro, mentre ad oggi ammontano alla cifra di 63,62 miliardi di euro. Dunque siamo di fronte ad una crescita quasi esponenziale che non è azzardato definire anomala.
Innanzitutto diciamo che i "deposit facility" sono i conti correnti nei quali le banche dell'eurosistema possono depositare la loro liquidità in eccesso a breve termine (overnight).
E' evidente che l'aumento così forte in così breve termine attesta come
le banche non stiano investendo né sui mercati finanziari né tanto meno
nell'economia reale la liquidità ottenuta grazie alle operazioni di quantitative easing
messe in opera dalla stessa BCE. La cosa poi appare ancora più grave se
si tiene conto che il tasso di questi depositi è stato portato dalla
BCE in terreno negativo (- 0,20%). Dunque le banche dell'eurosistema,
con la liquidità ricevuta dalla BCE con il QE, ridepositano presso la
stessa BCE nei conti "deposit facility", addirittura pagando un
interesse. Il fallimento del quantitative easing - ad oggi - appare in tutta la sua plasticità.
Del resto: se l'economia
reale langue, non essendoci molti settori in grado di produrre
profitti, così che si rende difficilissima l'allocazione di risorse
aggiuntive; se il mercato (secondario) dei bond statali offre tassi di
rendimento bassissimi; se infine il mercato azionario viene considerato
da tutti gli esperti "ipercomprato" ("in bolla" secondo un certo
linguaggio pittoresco); se abbiamo tutti questi elementi, a chi ha
liquidità da allocare non rimane che provare a investire in paesi fuori
dall'area valutaria (accollandosi il rischio di cambio) o restituire la
liquidità alla stessa BCE che l'ha creata. Un fantasma si aggira per
l'Europa: quello della rarefazione dei profitti.
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