PERUGIA - Se "Un uomo è un uomo", come nel dramma di
Bertolt Brecht al quale Perugia ha intitolato un bel teatro a San
Sisto, così un teatro è un teatro e nient'altro che un teatro. Diversi
secoli fa era il centro della vita di una città, come la cattedrale, e
la plebe occupava la platea mangiando e bevendo considerando che anche
il teatro, in fondo, non fosse che una piazza al coperto. Diverso era il
contegno dei ceti più importanti che occupavano i palchetti in alto, la
sera, durante lo spettacolo. Ma adesso non è davvero il caso di
tornare, dopo il caso del Pavone, ai Beccherini e ai Raspanti, ai nobili
e ai popolani in perenne lotta tra di loro.
Quindi, una delle più importanti occasioni per far rivivere il teatro più antico della città non si può perdere mettendo in scena una improbabile disputa d'altri tempi tra innovatori e conservatori. Per questo, nel cercare di capire, si deve stare ai fatti.
Quindi, una delle più importanti occasioni per far rivivere il teatro più antico della città non si può perdere mettendo in scena una improbabile disputa d'altri tempi tra innovatori e conservatori. Per questo, nel cercare di capire, si deve stare ai fatti.
I fatti ci dicono che sul recupero dello storico teatro perugino si è
giocata una partita dove in campo non c'è stato solo un progetto, ma
due, prima l'uno e dopo un altro. Quello presentato da Abn, un consorzio
di cooperative, da un costruttore di lungo corso come Francesco Maria
Lana e dal gestore del ristorante "La Taverna" di via delle Streghe non è
stato accolto dal consiglio di amministrazione provocando le dimissioni
della presidente Nives Tei, rimasta sola a sostenere la proposta di
introdurre nel capolavoro di Pietro Carattoli, dove sono vincolate anche
le cornici dorate e gli stucchi delle pareti, alcuni cambiamenti
strutturali e d'uso.
Quali sono questi cambiamenti? Tre, soprattutto, e particolarmente
sorprendenti. Al centro di questo progetto viene posta la trasformazione
del salone d'ingresso, il foyer, che ospita anche la biglietteria, in
una specie di locale ristoro, un bar, praticamente o, se si preferisce,
un bistrot con il suo bravo bancone. Questa mescita dovrebbe essere al
servizio di due spazi. L'uno all'interno del teatro con la
trasformazione, non meglio precisata, di sei palchetti che sono, come in
ogni teatro, molto angusti, in spazi di consumo di "una bevanda o un
piccolo piatto freddo". Questi palchetti che si trovano al terzo ordine
del teatro, dovrebbero essere "riqualificati" e attrezzati per la loro
nuova funzione. I clienti arrivano e si guardano un filmetto degli anni
trenta davanti a un'oliva verde. Il secondo spazio in realtà non c'è, ma
dovrebbe essere creato all'esterno, costruendo "una veranda letteraria"
in vetro e ferro "in perfetto stile berlinese nord europeo".
Settantadue metri quadrati da coprire in piazza della Repubblica davanti
ai portoni di ingresso del teatro. Nessuno ha mai pensato di chiedere
alla città cosa pensa di un progetto simile? e se poi altri locali
volessero avere anch'essi questi giardini d'inverno? cosa diventerebbe
Corso Vannucci e cosa potrebbero mai dire di interventi simili gli enti
preposti alla tutela dei beni culturali e ambientali?
Il catalogo comunque è questo, e assegna allo storico teatro una
improponibile vocazione commerciale che guarda ai succulenti spazi di
corso Vannucci. Di fronte a questo progetto il consiglio di
amministrazione ha chiesto a due architetti perugini, cioè a due tecnici
imparziali, un parere. Questa è stata la risposta. "In qualsiasi
progetto di rifunzionalizzazione lo si voglia inserire, il teatro non
deve perdere il suo significato primario, il valore di monumento
complesso e articolato, il ruolo e l'immagine con la quale la città si
identifica". La conservazione del Pavone, sostengono Felice Sinibaldi e
Giovanna Chiuini, "è imprenscindibile" mentre il foyer "non può che
rimanere integralmente foyer, con i suoi arredi, senza alterazioni di
sorta, in materiali e destinazioni d'uso" perché questo spazio
rappresenta "un elemento costitutivo essenziale del complesso teatrale e
la sua sottrazione, anche parziale, all'esclusivo uso attuale o la sua
alterazione con inserti nuovi e impropri rappresenterebbe un'amputazione
e una perdita di valore di un bene culturale così complesso (…)".
I due tecnici perugini hanno quindi proposto un nuovo progetto che
punta alla riscoperta degli antichi spazi accessibili anche da via delle
Streghe, un vicolo quasi interamente al coperto e di straordinaria
bellezza. Si tratta di ambienti che si sviluppano su diversi livelli e
che occupano 250 metri di superficie tra i quali spicca l'Arsenale,
spazio a doppia altezza con strutture ad arco, il laboratorio posto
accanto al palcoscenico, un autentico museo dell'arte del teatro che, se
recuperato e aperto al pubblico, potrebbe suscitare un grande
interesse. Se si vuole fare ristorazione, si può fare nei locali di
questa zona valorizzando l'accesso da una via di grande suggestione e da
recuperare come via delle Streghe, mentre il teatro potrà conservare la
sua integrità e il suo significato. Questa, in breve, la proposta
alternativa. Il gruppo Abn e gli altri soci hanno però risposto che
l'idea della riqualificazione dell'arsenale non avrebbe allo stato
attuale un "riscontro di sostenibilità economica". E' qui che i giochi
sembrano essersi chiusi.
Il caso del Pavone ripropone così, ancora una volta, i pasticci e le
ambiguità che hanno accompagnato i progetti di recupero, tutti
clamorosamente falliti, di tanti altri spazi pubblici e privati, dal
mercato coperto, al Turreno al Lilli, agli arconi del Pincetto. Sembra
che nulla sia più possibile salvare dal degrado e dall'abbandono se
dentro ogni nuovo progetto non si inserisce una componente di puro
interesse commerciale e speculativo. E' possibile rovesciare in questa
città un paradigma così nefasto?
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