Desta davvero meraviglia che la Cgil di Perugia, per bocca del suo segretario generale, faccia addirittura fatica a comprendere il senso del dibattito che si è aperto sulla vicenda Ikea.
Intanto, lo ribadiamo, considerare l’insediamento di questa multinazionale sul territorio come un’occasione, partire da questo presupposto, significa di fatto ritenere che ogni grande impianto commerciale che si presenti in Umbria vada accolto come la manna dal cielo. Poi si vedrà se, alle prime avvisaglie di crisi e dopo aver magari beneficiato di soldi pubblici, le “nostre” multinazionali se ne andranno lasciando al territorio solo nuovi disoccupati. Non fosse mai successo.
Certo, il lavoro è fondamentale. Ma il modello di sviluppo? Le ricadute sulle nostre attività produttive, non solo della città di Perugia, ma dell’intero territorio provinciale? I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori? Su questi aspetti noi la pensiamo come il 40% delle lavoratrici e dei lavoratori di Pomigliano che hanno votato no all’accordo e al ricatto tra lavoro e diritti.Poi, affermare con certezza che Ikea porterà occupazione anche nella fase di costruzione dello stabilimento pare quantomeno azzardato. L’esperienza ci insegna che, di norma, l’allestimento dei cantieri avviene con ditte direttamente connesse alla multinazionale di turno. Non solo, la possibilità che la merce sarà completamente monomarca è reale e questo fattore non solo può indebolire possibili diversificazioni dei nostri produttori, ma può anche intaccare l’economia delle piccole e medie aziende locali del settore, dall’Alto Tevere all’Eugubino-Gualdese, dal Lago al Tuderte. Su questo problema specifico pensiamo che non possano essere derubricate le forti preoccupazioni arrivate da Federmobili, preoccupazioni che noi condividiamo e che interrogano tutti sul modello di sviluppo. Davvero si pensa di poter sostituire il lavoro artigianale con la distribuzione? Questo approccio già tanti danni ha fatto all’economia regionale determinando un impoverimento dei nostri saperi tradizionali e delle nostre professionalità, condannati sull’altare di un modello di lavoro a scarso valore aggiunto.
Per quanto attiene poi la qualità dell’occupazione e del lavoro, è bene ricordare che multinazionali di questo tipo difficilmente offrono impiego a tempo indeterminato visto che possono puntare sul precariato grazie alle sciagurate leggi sul lavoro promulgate dal governo Berlusconi.Insomma Rifondazione comunista di Perugia ha unicamente riconfermato quello che dice da anni e su cui anche e soprattutto la Cgil ha sempre lavorato e convenuto, e cioè che occorre, insieme almeno alle Regioni dell’Italia Mediana, definire strumenti normativi che regolino chiaramente i rapporti fra multinazionali e territorio partendo dalla responsabilità sociale delle multinazionali stesse, nel pieno rispetto delle nostre tradizioni democratiche, sociali ed imprenditoriali. Siamo consci ovviamente che sarebbe necessaria una legge europea ad hoc. Ma intervenire caso per caso non solo non ha più senso, ma ha prodotto spesso delocalizzazioni e perdite di posti di lavoro. Da lungo tempo ci battiamo anche perché le multinazionali presenti in Umbria adottino un codice comportamentale e di confronto con le istituzioni, le forze sociali e i lavoratori che non sia soltanto la ricerca del massimo profitto e del minor costo del lavoro, nonché delle sovvenzioni e degli aiuti pubblici, ma che punti ad un arricchimento del territorio, della qualità del suo sviluppo e della realtà occupazionale.
Aggiungiamo inoltre che non sarà sfuggito che i governi stanno tentando di intervenire in materia sia in Europa che negli Stati Uniti. La questione è che il nostro paese è talmente debole sul piano contrattuale che viene trattato dalle multinazionali come una mera colonia industriale. E così l’Umbria. Il problema vero è infatti che dopo aver deregolamentato l’economia, oggi non ci sono strumenti concreti a disposizione della politica per regolare il rapporto tra multinazionali e territorio. Per questo continuiamo a proporre la definizione di una legge sulla responsabilità sociale delle multinazionali. Diversamente quali sarebbero le modalità per determinare un equilibrio fra l’insediamento delle multinazionali con lo sviluppo della nostra filiera corta, con gli sbocchi commerciali per i prodotti umbri, con la valorizzazione e il potenziamento delle nostre realtà locali? Crediamo che questo dibattito stia a pieno titolo nel nostro tempo e nella nostra storia.
Enrico Flamini
Segretario Provinciale Prc Perugia
Intanto, lo ribadiamo, considerare l’insediamento di questa multinazionale sul territorio come un’occasione, partire da questo presupposto, significa di fatto ritenere che ogni grande impianto commerciale che si presenti in Umbria vada accolto come la manna dal cielo. Poi si vedrà se, alle prime avvisaglie di crisi e dopo aver magari beneficiato di soldi pubblici, le “nostre” multinazionali se ne andranno lasciando al territorio solo nuovi disoccupati. Non fosse mai successo.
Certo, il lavoro è fondamentale. Ma il modello di sviluppo? Le ricadute sulle nostre attività produttive, non solo della città di Perugia, ma dell’intero territorio provinciale? I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori? Su questi aspetti noi la pensiamo come il 40% delle lavoratrici e dei lavoratori di Pomigliano che hanno votato no all’accordo e al ricatto tra lavoro e diritti.Poi, affermare con certezza che Ikea porterà occupazione anche nella fase di costruzione dello stabilimento pare quantomeno azzardato. L’esperienza ci insegna che, di norma, l’allestimento dei cantieri avviene con ditte direttamente connesse alla multinazionale di turno. Non solo, la possibilità che la merce sarà completamente monomarca è reale e questo fattore non solo può indebolire possibili diversificazioni dei nostri produttori, ma può anche intaccare l’economia delle piccole e medie aziende locali del settore, dall’Alto Tevere all’Eugubino-Gualdese, dal Lago al Tuderte. Su questo problema specifico pensiamo che non possano essere derubricate le forti preoccupazioni arrivate da Federmobili, preoccupazioni che noi condividiamo e che interrogano tutti sul modello di sviluppo. Davvero si pensa di poter sostituire il lavoro artigianale con la distribuzione? Questo approccio già tanti danni ha fatto all’economia regionale determinando un impoverimento dei nostri saperi tradizionali e delle nostre professionalità, condannati sull’altare di un modello di lavoro a scarso valore aggiunto.
Per quanto attiene poi la qualità dell’occupazione e del lavoro, è bene ricordare che multinazionali di questo tipo difficilmente offrono impiego a tempo indeterminato visto che possono puntare sul precariato grazie alle sciagurate leggi sul lavoro promulgate dal governo Berlusconi.Insomma Rifondazione comunista di Perugia ha unicamente riconfermato quello che dice da anni e su cui anche e soprattutto la Cgil ha sempre lavorato e convenuto, e cioè che occorre, insieme almeno alle Regioni dell’Italia Mediana, definire strumenti normativi che regolino chiaramente i rapporti fra multinazionali e territorio partendo dalla responsabilità sociale delle multinazionali stesse, nel pieno rispetto delle nostre tradizioni democratiche, sociali ed imprenditoriali. Siamo consci ovviamente che sarebbe necessaria una legge europea ad hoc. Ma intervenire caso per caso non solo non ha più senso, ma ha prodotto spesso delocalizzazioni e perdite di posti di lavoro. Da lungo tempo ci battiamo anche perché le multinazionali presenti in Umbria adottino un codice comportamentale e di confronto con le istituzioni, le forze sociali e i lavoratori che non sia soltanto la ricerca del massimo profitto e del minor costo del lavoro, nonché delle sovvenzioni e degli aiuti pubblici, ma che punti ad un arricchimento del territorio, della qualità del suo sviluppo e della realtà occupazionale.
Aggiungiamo inoltre che non sarà sfuggito che i governi stanno tentando di intervenire in materia sia in Europa che negli Stati Uniti. La questione è che il nostro paese è talmente debole sul piano contrattuale che viene trattato dalle multinazionali come una mera colonia industriale. E così l’Umbria. Il problema vero è infatti che dopo aver deregolamentato l’economia, oggi non ci sono strumenti concreti a disposizione della politica per regolare il rapporto tra multinazionali e territorio. Per questo continuiamo a proporre la definizione di una legge sulla responsabilità sociale delle multinazionali. Diversamente quali sarebbero le modalità per determinare un equilibrio fra l’insediamento delle multinazionali con lo sviluppo della nostra filiera corta, con gli sbocchi commerciali per i prodotti umbri, con la valorizzazione e il potenziamento delle nostre realtà locali? Crediamo che questo dibattito stia a pieno titolo nel nostro tempo e nella nostra storia.
Enrico Flamini
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