Un pregio questo profondo agosto l'ha avuto, con i suoi meeting e i suoi dibattiti. Ha aiutato a fare un po' di chiarezza, ad esplicitare, al di là di ogni ragionevole dubbio, di che cosa stiamo parlando, quando diciamo Pomigliano, Melfi o Fiat. Non a caso nessuno parla più di fannulloni, assenteismo o finti malati, come invece si faceva senza ritegno ai tempi del referendum di Pomigliano. E assume senso compiuto anche quell'irriducibile opposizione della Fiat al reintegro "nel proprio posto di lavoro" - e non nella saletta sindacale - dei tre operai di Melfi.No, tutte queste cazzate, ci si permetta il termine, sono state spazzate via dai dotti discorsi di ministri, capi confidustriali e amministratori delegati. Dobbiamo essere grati, in particolare, al ministro Tremonti e all'ad Marchionne, per avere autorevolmente attestato che le cose stanno esattamente come pensavamo che stessero. Il primo, tra Rimini e Bergamo, ha in sostanza detto che viviamo in un mondo difficile, che siamo noi che dobbiamo adeguarci a questo e non questo a noi e che, quindi, certi lussi non possiamo più permetterceli. Si riferiva soprattutto a due "lussi": i diritti e la sicurezza sui luoghi di lavoro, comprese «robe come la 626». Il secondo, nel suo intervento di ieri a Rimini, non ha nemmeno fatto finta di citare l'assenteismo e si è dedicato invece a un discorso più generale. Secondo lui, ci vuole un nuovo patto sociale, un nuovo modello e questo significa, ovviamente, che bisogna buttare a mare quello vecchio. Ed è quello che sta avvenendo ora in Fiat: "la contrapposizione tra due modelli".Marchionne non perde tempo a spiegare in dettaglio questo nuovo modello, vi allude soltanto, parlando di "responsabilità e sacrifici" e di competizione nel mondo. In cambio, però, è molto chiaro nell'individuare il modello da distruggere: «Non è possibile gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra "capitale" e "lavoro", tra "padroni"' e "operai"… Erigere barricate all'interno del nostro sistema alimenta solo la guerra in famiglia».Potremmo fermarci qui con le citazioni di Marchionne, se non fosse che è stato anche protagonista di due cadute di stile, sebbene la platea ciellina non ci abbia fatto caso. Con la prima, ha attaccato gratuitamente i tre licenziati politici di Melfi, rinfacciandogli che «la dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone». Con la seconda, invece, si è esercitato in una clamorosa, ma significativa omissione. E così, dopo aver rivendicato con forza il progetto "Fabbrica Italia" e affermato che «rispettare un accordo è un principio sacrosanto di civiltà», si è completamente dimenticato di accennare al caso delle produzioni assegnate quattro mesi a Mirafiori, poi sparite e, infine, riapparse in Serbia. Ma che ci vuoi fare, d'altra parte non si è nemmeno ricordato della parolina "cassa integrazione", che a breve arriverà anche per gli operai di Melfi.Comunque, inutile scandalizzarci per qualche scorrettezza o bugia. Questo non è un gioco pulito, è un gioco pesante e non si prevedono prigionieri. Ma in cambio è trasparente. Non si tratta di avere meno assenteismo, più produttività eccetera. Tutto questo si potrebbe ottenere anche nel quadro normativo e contrattuale esistente (peraltro tutt'altro che generoso con i lavoratori). No, il problema non è quantitativo, è qualitativo. Ed è generale.Sacconi, Tremonti e Marchionne dicono e vogliono la stessa cosa, non cose diverse. E non sono nemmeno cose tanto nuove. Quasi nessuno si ricorda ormai, ma nel lontano ottobre 2001 l'allora ministro del Welfare, il leghista Roberto Maroni, presentò il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Riga in più, riga in meno, c'era già tutto scritto, compreso l'obiettivo di abrogare lo Statuto dei Lavoratori, cioè il pacchetto fondamentale dei diritti, per sostituirlo con lo "Statuto dei Lavori".L'anno scorso a Milano l'81,6% dei nuovi contratti di lavoro stipulati aveva carattere precario. Evidentemente vogliono il 100%, dappertutto e subito. E' l'assalto al cielo dei padroni.Insomma, dopo le illuminanti chiacchiere agostane, non ci sono più alibi per nessuno. Non ci riferiamo ovviamente ai vari Bonanni, che di alibi non ne hanno più da tempo, ma a tutti gli altri. A questo punto bisogna scegliere da che parte stare. Con Marchionne e Tremonti o con la Fiom, i sindacati di base e tutti quelli che si battono per la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici. Suona brutale, lo so, ma questa è l'ora di schierarsi.
di Luciano Muhlbauersu Liberazione del 27/08/2010
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