mercoledì 4 giugno 2014

Rai, chi spara sulla croce rossa di Norma Rangeri, il Manifesto

Ci vuole corag­gio, men­tre l’Istat sforna l’ennesimo bol­let­tino di guerra sui numeri choc della disoc­cu­pa­zione ita­liana, a con­vo­care uno scio­pero della Rai con­tro Renzi, anzi, con­tro Mat­teo. Per capirlo basta accen­dere un tele­gior­nale o un talk-show a caso. Senza biso­gno di alcuna riforma, siamo al Tele­gior­nale Unico del Pd. Già durante la cam­pa­gna elet­to­rale, e ancor di più dopo i cla­mo­rosi risul­tati delle ele­zioni euro­pee, è esplosa l’entusiasta ade­sione del ser­vi­zio pub­blico verso il “par­tito della nazione”, fino ai toni di vibrante com­mo­zione con cui i tg com­men­ta­vano il “bagno di folla” del capo del governo nella gior­nata del 2 Giugno.
Un con­for­mi­smo asfis­siante che, fos­simo nei panni del popo­lare pre­si­dente del con­si­glio, cer­che­remmo di con­te­nere con­si­gliando al fan-club di Saxa Rubra di pla­care que­sta onda ber­lu­sco­niana di ritorno. E infatti dopo la pro­cla­ma­zione della pro­te­sta sin­da­cale, nel vol­gere di qual­che ora, sono com­parsi i distin­guo, i dubbi, le dis­so­cia­zioni, l’apertura a un sup­ple­mento di rifles­sione da parte dello stesso sin­da­cato dei gior­na­li­sti, che ora deve fare i conti con il divieto pro­nun­ciato ieri dalla com­mis­sione di garan­zia sugli scio­peri che dice no alla data dell’11 giugno.
Le ragioni dello scio­pero sono note: la richie­sta di Palazzo Chigi di fare cassa per 150 milioni, appro­vata ieri dalle com­mis­sioni Bilan­cio e Finanze del senato, insieme all’esplicita richie­sta di ces­sione di quote impor­tanti di Ray­Way (i tra­smet­ti­tori di fre­quenza). Soldi subito per coprire le neces­sità del decreto Irpef e dismis­sione di una parte dell’asse stra­te­gico Ray­Way (da custo­dire invece gelo­sa­mente in mano pub­blica, mate­ria prima per tutti i nuovi ser­vizi della banda ultralarga).
Cia­scun attore ha fatto la sua parte in com­me­dia. Il governo ha spa­rato sulla cro­ce­rossa, pro­se­guendo nella linea vin­cente di pro­sciu­gare l’acqua al mulino gril­lino, pro­fit­tando del discre­dito che col­pi­sce un’azienda sfi­nita dalla lot­tiz­za­zione, omo­lo­gata alla tv com­mer­ciale, affi­data al lavoro di migliaia di pre­cari. Il diret­tore gene­rale ha minac­ciato “lacrime e san­gue” anzi­ché con­tro­bat­tere con un piano a medio ter­mine di risparmi, dove­rosi in un’azienda dove i gene­rali sono più dei sol­dati sem­plici, e tra con­su­lenze, appalti, col­la­bo­ra­zioni esterne siamo più vicini a una catena feu­dale che al modello della più grande azienda cul­tu­rale del paese. Il presidente-cittadino della Vigi­lanza anzi­ché applau­dire ai tagli con­tro l’odiata casta, come Grillo comanda, pro­mette di unirsi alla pro­te­sta. Infine il sin­da­cato che non ha mai scio­pe­rato quando un solo padrone gover­nava la Rai in sim­biosi con le sue tele­vi­sioni pri­vate, met­tendo a rischio, non solo il ser­vi­zio pub­blico, ma la demo­cra­zia del paese. Salvo minac­ciare di incro­ciare le brac­cia di fronte a una spen­ding dura ma soste­ni­bile, d’accordo tutte le sette sigle sin­da­cali e tutte le cate­go­rie, dalle sgre­ta­rie ai diri­genti, ai giornalisti.
Que­sta com­me­dia con­ferma la fun­zione di sismo­grafo della Rai nei pas­saggi cru­ciali della poli­tica nazio­nale, quando il cavallo deve accon­ciarsi a por­tare il peso del nuovo cava­liere. Ma tutto sarà stato utile se sarà ser­vito ad aprire una discus­sione pub­blica su una radi­cale riforma dell’azienda e del prodotto.

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