Mentre scriviamo il senatore a vita Mario Monti è in piena campagna elettorale, cosa che ancora un mese fa escludeva con sdegno. Sforna una promessa propagandistica dopo l’altra (sulle tasse, le armi, il numero dei parlamentari…) e rende sempre più evidente che, di tecnico, la sua performance a palazzo Chigi aveva soltanto l’etichetta. A venti giorni dal voto Berlusconi ha movimentato la scena con la solita trovata a effetto (il rimborso dell’Imu) seminando il terrore in campo avverso. Al che il segretario democratico non ha trovato di meglio che rifugiarsi proprio sotto l’ala del «professore» e di proporgli un patto di collaborazione. Dopotutto, si dirà, fino a ieri il Pd ha convintamente sostenuto il suo governo e ne ha elogiato la credibilità in sede europea: perché non avrebbe dovuto convolare con Monti – il «professore degli anni Dieci» – dopo avere a lungo amoreggiato con Prodi, il «professore degli anni Novanta»?
Già, perché? In realtà, per una serie di ragioni lunga come un treno.
Il senatore Monti non fa mistero di che sorta di «democrazia» vorrebbe.
Dopo avere «tecnicamente» saccheggiato i lavoratori dipendenti per
gratificare i suoi amici banchieri, ora che «politicamente» cerca voti
attacca ad alzo zero i partiti «vecchi» (quelli nati per fare la lotta
di classe) e i sindacati (che – lamenta – hanno il torto di
rappresentare «solo una parte della collettività»). Che pacchia una
società senza rappresentanza (se non degli interessi padronali) e senza
conflitto (se non dall’alto, come desidererebbe il compagno
Marchionne!).
Nuova, forse, una società così non sarebbe, considerato che la
modernità nasce, qualche secolo fa, nel segno del totalitarismo del
capitale privato, e che il fascismo sogna di realizzare proprio questa
utopia, bandendo i partiti e i sindacati indipendenti. Ma di certo
sarebbe «un sacco bella!». Nell’evocarla, il senatore a vita sa
benissimo di non parlare al vento, e di dar voce ai sentimenti della
parte più retriva della borghesia italiana, visceralmente ostile alla
democrazia.
Dopodiché, anche la reazione dei suoi «avversari» è interessante.
Berlusconi, per non essere da meno, si è subito messo in testa il fez e
ha promesso che azzererà i rimborsi elettorali: tanto, per il suo
partito basta e avanza il suo argent de poche. Bersani, invece di
sentirsi onorato per il riferimento di Monti al «vecchio» Pci, si è
detto indignato: che diavolo c’entra il Pd col movimento operaio, la
Resistenza e la lotta contro l’imperialismo americano? Veltroni sarebbe
stato una svista? Così torniamo al matrimonio del centrosinistra col
nuovo «professore», contro natura soltanto in apparenza.
In fondo, il Pd che cos’è? In una battuta, è l’organizzazione delle
forze che scommettono sulla capacità del neoliberismo di governare la
globalizzazione in forme democratiche. Per il Pd il neoliberismo è un
dato indiscutibile, giudizi di valore a parte. Ci si debbono fare i
conti «temperandolo», non già immaginare di cancellarlo. Per questo il
suo gruppo dirigente difende a spada tratta il bipolarismo e da
vent’anni accetta di buon grado che la politica sia commissariata dalle
banche e dal mercato. Quanti governi «tecnici» si sono susseguiti col
suo consenso, da Amato, Ciampi e Dini sino a noi? Così stanno le cose,
piaccia o no. E questo fatto spiega molte cose.
Spiega in primo luogo perché il primo partito del centrosinistra
consideri «una risorsa per il paese» un oligarca formatosi alla scuola
dei Chicago boys (e di Thomas Malthus). Spiega perché in Italia chi ha
la fortuna di lavorare guadagni meno che in tutta Europa (fatta
eccezione per la povera Grecia). E spiega anche perché un comico
prestato alla politica mandi in visibilio «folle oceaniche» allorché
invita al Qaeda a bombardare Montecitorio. Quando, circa vent’anni fa,
qualcuno s’inventò la storia della fine della storia, ci fu chi, dalle
parti della Bolognina, si entusiasmò, prevedendo che presto avrebbe
espugnato la sospirata stanza dei bottoni. È andata così, salvo che quei
bottoni hanno continuato a funzionare nello stesso modo, chiunque fosse
lì a schiacciarli.
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