A Sanremo inflitta un’altra ferita alla rantolante democrazia italiana di Ramon Mantovani
Io
non faccio il critico televisivo, né mi intendo di canzonette e di spettacolo.
Tanto meno appartengo alla categoria dei politici che, in tv, sui giornali e
soprattutto in internet, sproloquiano su tutto lo scibile umano con la
presunzione di avere sempre e comunque cose interessanti da dire.
Però
di politica penso di intendermene. Almeno abbastanza per esprimere le seguenti
opinioni.
A
Sanremo, davanti a 15 milioni di persone, si è consumato l’ennesimo episodio di
spettacolarizzazione della politica. Si è avverata la tanto attesa polemica, il
tanto atteso scandalo, basati sulla perversa commistione tra festival delle
canzonette e campagna elettorale. Fra spettacolo e campagna elettorale.
Non
è la prima volta che accade. E temo non sia nemmeno l’ultima. Perché alle
ragioni, ai programmi, alle scelte, ormai da anni si sono sostituiti gli
insulti, le parodie e le derisioni delle posizioni avverse, le accuse roboanti
e, soprattutto, l’uso strumentale degli spazi pubblici massmediatici da parte
di una casta strapagata che per far parlare di se, aumentando così il proprio
prezzo sul mercato, non esita a produrre polemiche vacue, che però si
intrecciano e alimentano la “politica” indecente, a sua volta prodotta ed
implementata dal bipolarismo.
Intendiamoci,
io non ce l’ho con comici, attori, autori di testi, registi e compagnia
cantando.
Essi
fanno il loro mestiere. Bene o male non sta a me dirlo. Non sono all’altezza
per esprimere una critica artistica delle loro esibizioni. Anzi, amo la satira
e la dissacrazione. Penso solo che per essere tali dovrebbe rivolgersi contro
il potere. E mi è più che chiaro che non è questionabile l’ispirazione
culturale di parte che muove questo o quell’altro artista. E sono ovviamente
per la libertà di espressione, totale ed incondizionata.
Detto
questo, però, non ho le fette di salame davanti agli occhi.
Nessuno
impedisce né può impedire che comici, attori, autori, scrittori, cantanti,
musicisti, vignettisti e cosi via partecipino alla campagna elettorale
direttamente, salendo sul palco di un comizio di partito, o indirettamente,
esprimendo le proprie opinioni nei loro spettacoli e nei loro scritti.
Magari
si può opinare sulla qualità delle opere di costoro.
A
me, per esempio, proprio non fanno ridere le derisioni di difetti fisici e
l’utilizzo di allusioni a pregiudizi di vario genere. Ma ritengo che la satira,
compresa quella che io considero volgare e di infima qualità, sia
incensurabile.
Un’altra
cosa, però, è che tali personaggi siano utilizzati in spazi pubblici di tutti
all’unico scopo di produrre eventi che sconfinano in una partigiana
intromissione nella campagna elettorale. In questo caso ogni ispirazione
culturale di parte diventa un arbitrio destinato inevitabilmente (ma in realtà
appositamente) a diventare fatto politico.
Dopo
l’esibizione del signor Crozza al Festival di Sanremo di cosa si parla il
giorno dopo sui giornali e in tutti i bar? Delle canzoni? Dei cantanti? O si
parla, invece, del contenuto politico dell’esibizione di Crozza?
Già
era successo con Celentano, un signore che vinse il Festival nel 1970 con
l’emblematica canzone “chi non lavora non fa l’amore” (un vero inno al
crumiraggio) e che poi nel corso del tempo, e questo la dice lunga su come sia
trascorso il tempo, è diventato una specie di profeta e predicatore. Anche lui
verrà invitato a Sanremo per produrre l’evento. Nientepopodimeno che una
polemica col Vaticano. Ma che c’entra la visione della religione e della
funzione dei vescovi di Celentano con il concorso canoro?
Insomma,
che cos’è il festival di Sanremo? A parte il riflesso del paese reale o dei
luoghi comuni e delle culture egemoni che si può sempre rintracciare nel bene e
nel male e nonostante gli imperanti giochi di interessi dei discografici, in
musica e testi delle canzoni, perché devono essere creati eventi politici
secondo la discrezione degli strapagati conduttori ed autori? E’ proprio
innocente la scelta di invitare un comico a fare satira sui politici (ma non su
tutti), in piena campagna elettorale? È asettico ed equilibrato deridere
Berlusconi come un malfattore, Bersani come uno sfigato incapace di vincere,
Ingroia come un pigro assonnato e Montezemolo come un elitario? È la stessa
cosa malfattore o sfigato? Su Grillo niente? Su Monti niente?
Ovviamente
la satira non può essere asettica. Per sua natura non può esserlo. Ma nel
contesto dato le mie domande, appena più sopra formulate, sono più che
legittime.
La
vulgata di destra vuole che i conduttori schierati politicamente abbiano
invitato Crozza per deridere e colpire principalmente il loro nemico di sempre,
usando strumentalmente uno spazio pubblico. La vulgata di “centrosinistra” gode
della derisione del nemico e vuole che la destra sia illiberale e non tolleri
nemmeno la satira. E così si alimenta il bipolarismo da curva di stadio e da
tifosi, che è tanto più spettacolare e capace di produrre audience.
Dov’è
la satira rivolta verso il potere? Sempre ammesso che il festival delle
canzonette sia il luogo adatto per ospitarla.
Proprio
gli iperbolici apologeti delle “regole” sembrano pensare che durante una
campagna elettorale non ci debbano essere regole di nessun tipo. Un apparente
paradosso. Perché in realtà la politica bipolare all’americana si alimenta
soprattutto di colpi bassi, scorrettezze, pugnalate alla schiena. E le regole,
si sa, in Italia sono sempre importanti finché interessano gli altri e non se
stessi. Con l’aggravante aggiuntiva che qui, oltre alle scorrettezze infinite
che ogni giorno si consumano fra i due principali schieramenti, e dei due
principali schieramenti ai danni degli altri, abbiamo anche le scorrettezze
prodotte da autori e conduttori di un festival ai danni della politica seria e
a proprio vantaggio personale. Per loro l’audience è al di sopra di regole e democrazia.
Magari
credono di essere progressisti, ma in realtà sono giullari del regime bipolare
e della politica spettacolo.
Ho
ancora negli occhi Enzo Biagi che il venerdì, ultimo giorno della campagna
elettorale del 2001, nella “sua” rubrica che precedeva il TG1 delle 20, invitò
Benigni per deridere Berlusconi. Che era all’opposizione da 5 anni. lo vidi in
un bar poco prima di parlare ad un comizio e pensai che in quel modo Berlusconi
avrebbe avuto molti voti in più. Perché mi convinsi che elettori potenziali di
Berlusconi che magari non sarebbero andati a votare avrebbero reagito alla
palese scorrettezza.
Già,
perché c’è anche da dire che dai salotti televisivi o meno nei quali vivono
questi signori non si vede il paese devastato dall’individualismo e dalla
conseguente solitudine assoluta, dalla legge della giungla della competitività
e della precarietà, dalle mille subculture celebrate come nuovi pensieri. Un
paese nel quale le lotte operaie e popolari per credere di esistere devono
aspirare a fare da comparse nei talk show. Un paese nel quale le disdicevoli
malefatte di Berlusconi se vengono perpetuate ed amplificate da Monti smettono
di essere malefatte perché lo stile di quest’ultimo non è disdicevole. E quando
lo vedono per sbaglio si affannano ad alimentare le false contrapposizioni fra
“vecchia” e “nuova” politica. Fra “società civile” e “partitocrazia”. Fra
Grillo e il resto del mondo. Perché qualsiasi persona sana di mente e dotata di
un minimo spirito critico non può non vedere che il regime bipolare ciò che non
riesce più ad assorbire nella sua falsa dialettica, per esempio con la retorica
del voto utile, lo spinge nelle braccia del voto contro tutti che non da
fastidio a nessuno o verso l’astensione.
Tutto
ciò non può succedere in altri paesi europei, visto che si ostinano ad avere
perfino delle regole in campagna elettorale. In Italia si.
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