Quarantadue milioni di consulenza, 11 milioni per una buonuscita, 20 milioni di commissione, 90 milioni di parcelle. E poi la banda del 5% e quei 12 milioni di euro rimasti attaccati alle mani dei privati nel corso di una cessione.
Questo
vorticare di soldi sopra le nostre teste è un insulto. C’è una
ristretta enclave di italiani (per lo più di genere maschile) che
continua a infilarsi in tasca cifre eccedenti il diritto del cittadino a
vivere bene, con tutti i bisogni saturati, e qualche desiderio
appagabile. Tutti gli altri, una schiacciata maggioranza, continuano a
guadagnare meno di quanto meritano (gli insegnanti, i medici
ospedalieri), a combattere con precarietà, disoccupazione, restrizione degli investimenti
tutta la filiera dell’audiovisivo e il rutilante mondo della cultura),
riduzioni dell’organico, chiusure, fallimenti. Fuori dall’enclave dei furbetti non c’è quasi nessuno che non sia preoccupato per il futuro, affaticato dal presente.
Si sta sul posto di lavoro come in trincea,
si fanno conti su conti. I migliori cercano riconversioni esistenziali,
provano a valorizzare le gioie a costo zero. Ma quel vorticare di
milioni sopra le nostre teste brucia come una ferita. Non si potrebbe
redistribuire al popolo almeno il capitale accumulato illegalmente?
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