venerdì 8 febbraio 2013

Debito lordo o debito netto: quale medicina per uscire dalla crisi?


In Europa la scelta di slegare le decisioni di deficit e di politica monetaria dalla situazione congiunturale e occupazionale ha creato un mostro di cui gli unici beneficiari sono stati i peggiori rentier. C'è da augurarsi che nel prossimo futuro il pragmatismo prevalga su una ideologia reazionaria che sta portando distruzione in tutto il continente, al pari di una guerra.

di Alessandro Guzzini, Amministratore Delegato di Finlabo SIM  

Lord Turner, presidente uscente della FSA inglese (autorità di vigilanza sui servizi finanziari), ha dichiarato Mercoledì scorso al Financial Times che il finanziamento monetario dei deficit pubblici può essere una medicina utile per aiutare l’economia ad uscire dalla crisi.

Le dichiarazioni di Turner vanno ad aggiungersi al dibattito ormai in corso da alcuni mesi, lanciato tra l’altro da una testata giornalistica importante come il Financial Times, sulla possibilità di andare oltre le politiche di Quantitative Easing, che stanno incontrando dei limiti fisiologici nelle dimensioni raggiunte dal debito pubblico, procedendo all’annullamento della porzione di debito pubblico in mano alla banche centrali.

In molti paesi infatti una fetta consistente del debito pubblico è in mano alle rispettive banche centrali ed i valori del debito (e a dire il vero anche del deficit) cambiano in maniera anche consistente a seconda che si consideri o meno questa porzione.

Il ragionamento fatto dai sostenitori di questa tesi è che essendo le Banche Centrali in genere di proprietà pubblica, il debito pubblico che risulta in mano alle stesse possa essere annullato senza danni a terzi (famiglie, imprese, investitori esteri), essendo di fatto una partita di giro.

Tale tesi, che è stata presto bollata da tanti economisti neoliberisti come foriera di catastrofi, altro non è che un’estensione di quanto sta già avvenendo in diversi paesi sviluppati, in primis in Giappone, dove la Banca Centrale già da diversi lustri continua ad incrementare le posizioni sul debito pubblico, ma anche in America dove la Federal Reserve da alcuni anni ha preso ad investire gli interessi del debito in portafoglio in nuovo debito. E già in alcuni paesi (gli USA ma anche l’ Inghilterra, a seguito della legge approvata da Cameron lo scorso novembre), gli interessi pagati sul debito di proprietà delle propria banca centrale non vengono conteggiati nel deficit del bilancio pubblico.

Ed è proprio in Inghilterra ed in USA che il dibattito sul debito in mano alla banca centrale sembra più acceso: gli anglosassoni, pragmatici per natura, si chiedono se sia davvero necessario portare un paese in recessione o addirittura in depressione per ripagare un debito, che, essendo già nelle mani del governo, se venisse cancellato, non danneggerebbe nessuno.

Questa discussione, che può sembrare per certi versi paradossale, in realtà riflette una verità intrinseca nel concetto di FIAT MONEY, ovvero moneta creata per legge come strumento di pagamento. Tale moneta per definizione può essere creata all’infinito dalla Banca Centrale di un paese che è emittente di valuta, ed il debito pubblico (insieme a quello privato) altro non è che lo strumento di emissione. Infatti lo sviluppo dell’economia, in un sistema FIAT MONEY, non può prescindere dall’ampliamento della base monetaria, e quindi dall’incremento del debito che circola nel sistema, visto che la moneta difatti viene creata dalle banche commerciali ogniqualvolta esse effettuano un prestito.

E’ proprio questo meccanismo che si è inceppato, con la crisi finanziaria, e che i governi di tutto il mondo (ma non l’Europa che purtroppo è dominata dalle teorie economiche di estrazione austriaca) hanno cercato di compensare attraverso l’emissione di debito pubblico. Al deleveraging del settore privato ha fatto da contraltare l’aumento del debito nel settore pubblico, e questo ha impedito che il crollo del PIL proseguisse come, invece, avvenuto in Europa.
Vista in un altro modo, la moneta, nel momento in cui le banche commerciali hanno smesso di crearla rifiutandosi di fare prestiti, è stata creata direttamente dai governi che si sono indebitati, e dalle banche centrali che hanno acquistato tale debito.

La storia recente (ma guardando al Giappone potremmo dire la storia degli ultimi 20 anni) insegna che se questa attività di creazione di moneta avviene entro limiti tollerabili (ovvero in presenza di deficit che non superino il’9-10% del PIL) e in una fase di riduzione del debito del settore privato, non solo non si genera inflazione, ma anzi si riesce appena ad evitare il circolo deflazionistico che si avrebbe altrimenti (e che i paesi del Sud Europa stanno sperimentando sulla propria pelle).
Ai commentatori e ai politici che considerano populiste e foriere di catastrofi finanziarie tali generi di proposte occorrerebbe ricordare due cose: innanzitutto che anche nel sistema Aureo (che gli stessi commentatori in genere ammirano come sistema monetario ideale) la quantità di moneta aumentava storicamente del 2-3% annuo, in linea con le scoperte di nuovo oro, e che tale nuova moneta veniva immessa nel sistema non a debito. In seconda istanza che il debito veramente pericoloso per un paese (o per una macroarea come l’Europa) è il debito verso l’estero, e che l’Europa in questo momento risulta addirittura avere un surplus commerciale con il resto del mondo.

All’obiezione poi che una monetizzazione del debito equivarrebbe ad una tassazione nascosta dei patrimoni attraverso la futura inflazione, bisognerebbe rispondere facendo notare che negli ultimi dodici anni i detentori di debito pubblico hanno avuto rendimenti di diversi ordini di grandezza superiori a chi ad esempio abbia detenuto azioni: questo è, a nostro avviso, causa non secondaria della crisi che stiamo vivendo. Se infatti detenere titoli di stato sicuri rende più che detenere azioni e quindi strumenti rischiosi, che senso ha per un imprenditore o per una famiglia investire?

E’ questa la prima causa della crisi Europea, e l’origine prima dell’insuccesso dell’Euro, perché aver creato un sistema in cui i paesi non sono più emittenti ma utilizzatori di moneta, e aver slegato le decisioni di deficit e di politica monetaria dalla situazione congiunturale e occupazionale, ha creato un mostro di cui gli unici beneficiari sono stati per ora i rentier peggiori, ovvero quelli che ottengono un rendimento senza rischiare nulla comprando titoli di stato.

Si è così creato un enorme schema Ponzi nel mercato del debito pubblico, in cui i governi indebitati sono costretti a pagare tassi sempre più alti per attirare nuovi investitori, in un circolo vizioso che assorbe risorse dall’economia reale per aumentare la rendita dei BOT people e delle banche: uno schema che, in assenza di una valvola di sfogo che può venire solo da una gestione intelligente dei tassi di interesse e della moneta, è destinato ad esplodere portando nel baratro l’economia reale ed il sistema finanziario europeo.

Speriamo che chiunque vinca le prossime elezioni italiane, si faccia portavoce in Europa dell’istanza fondamentale di modificare il fiscal compact e di correggere lo statuto della BCE, inserendo come obiettivo primario della banca, oltre al controllo dell’inflazione, la promozione dello sviluppo economico e dell’occupazione: il pragmatismo deve prevalere su una ideologia reazionaria che sta portando distruzione in Europa, al pari di una guerra.

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