Diecimila
firme in pochi giorni all’ appello lanciato da Antonio Ingroia contro
gli F35, il progetto più costoso della storia dell’aereonautica. «Noi
siamo contro l’acquisto degli F35 e in questa campagna elettorale ci
siamo schierati apertamente contro le spese militari, facendo del #NOF35
una nostra battaglia – spiega il leader di Rivoluzione civile – è
impensabile che 13 miliardi vengano destinati alle commesse per i
cacciabombardieri anziché essere dirottati per tutelare il diritto al
lavoro, avviare politiche di crescita, rilanciare le piccole e medie
imprese e per la tutela dell’ambiente. Come se non bastasse, c’è un
altro motivo: la Costituzione italiana ripudia la guerra».
Per giustificare l’acquisto dei caccia F-35, la Difesa e chi ha
voluto il programma ha da sempre portato avanti giustificazioni date da
ritorni economici ed occupazionali. Ma, secondo la Rete italiana disarmo
che ha approntato un dossier, i dati ufficiali sono falsi e imprecisi.
La Rete è fra le sigle pacifiste che, con la campagna “Taglia le ali
alle armi”, già alcuni mesi fa smascherò la bugia sulla penale che si
sarebbe dovuta pagare in caso di rinuncia al progetto, un’altra foglia
di fico per i governi che si sono succeduti.
«La Difesa – dice Francesco Vignarca, della Rid – ha sempre cercato
di abbassare i costi di acquisto dei caccia, riferendo anche in sedi
ufficiali (audizioni presso commissioni parlamentari con documenti
annessi) stime non aggiornate o costi di sola produzione base incapaci
quindi di dare conto dell’effettivo costo per le casse dello Stato di
ogni singolo velivolo. Riteniamo questo un comportamento non accettabile
a fronte di un esborso così pesante di fondi pubblici e anche per
questo aspetto (così come su quello relativo ai problemi tecnici)
chiediamo che si apra un’indagine sia parlamentare che da parte della
nostra Corte dei Conti». La stima del costo medio per aereo di si aggira
sui 120 milioni di euro ma non tiene conto di successivi prevedibili
aumenti e nemmeno considera le esigenze di “retrofit” già emerse sulla
base del fatto che i primi aerei ad uscire dalla produzione non avranno
una configurazione definitiva. Il costo totale “a piena vita” del
programma (quindi con gestione e mantenimento completi) sfiorerà,
secondo i pacifisti, i 52 miliardi di euro.
E tutto ciò senza nemmeno i ritorni occupazionali vantati dalla lobby
bellicista. A fine 2012 gli occupati a Cameri erano di poche centinaia
confermando il sottoutilizzo di una struttura pensata per ben altri
ritmi di produzione. La Difesa continua a rilanciare i 10mila posti di
lavoro non considerando che la stessa industria (Finmeccanica) è passata
da una stima di 3000/4000 addetti ad una più realistica di circa 2000
(vicina a stime sindacali che si attestano poco sopra le mille unità e a
precedenti comunicazioni del sottosegretario Crosetto). Anche sul
fronte dei ritorni industriali, la Difesa convince solo i giornalisti
embedded. Nella realtà le industrie italiane hanno ottenuto circa 800
milioni di dollari di appalti a fronte di una spesa già sostenuta
dall’Italia di circa 3 miliardi di euro (ritorno poco sopra il 20% della
spesa) il che rende ancora più insensati i 14 miliardi di ritorni
“possibili” che la Difesa continua a sbandierare.
Checchino Antonini - Popoff.globalist.it
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