giovedì 24 luglio 2014

E se impacchettassimo il presidente Napolitano?


l43-giorgio-napolitano-110908214259_bigVe l’immaginate che sarebbe successo se a uno dei presidenti democristiani della Prima Repubblica, fosse venuto in mente di intervenire apertamente nel dibattito politico a sostegno di un governo? Il Pci, di cui Napolitano era uno dei massimi dirigenti, avrebbe messo a soqquadro l’Italia e lo avrebbe costretto alle dimissioni. Accadde con Cossiga per motivi diversi e, forse, anche “minori”. Per la verità a quei Presidenti si possono rimproverare molte cose, ma non quella di essere venuti meno alla conoscenza e al rispetto della norma costituzionale che fa del Presidente della Repubblica un organo super partes, rappresentante di tutta la Nazione, col divieto di prendere parte attiva al dibattito ed alle scelte politiche che sono prerogativa del Parlamento, rispetto al quale lo stesso governo ha soltanto il potere di proposta (gli stessi decreti legge, come si sa, hanno l’obbligo, entro un certo tempo, della ratifica o conversione parlamentare).
La Costituzione, da quei tempi non è cambiata e Napolitano, che pure lo sa benissimo, anche in questi giorni è nuovamente sceso in campo a sostegno delle presunte riforme del governo Renzi, redarguendo duramente gli oppositori tacciati di inconcludente allarmismo. Dire che la attuale “riforma” del Senato è un’ulteriore riduzione o, come più elegantemente si dice, semplificazione degli strumenti della democrazia non è allarmismo; sostenere che il sistema che si prefigura, con la legge elettorale collegata, è tale da conferire un potere esorbitante al soggetto politico vincitore delle elezioni, fino a prefigurare il rischio di una involuzione autoritaria, è tutt’altro che infondato. Del resto, nella realtà più o meno confessata, è proprio questo potere di arbitrio, al riparo degli oppositori e dei disturbatori, quello che si vuole! Dire, guardando le cose da un angolo visuale ancora più concreto, che anche la riforma del Senato è funzionale a rendere sempre più saldo e incontrollato il potere dominante (che è quello della borghesia e della grande finanza europea) è la pura verità.
Napolitano fa leva su quella che si è diffusa come una isteria delle riforme: “ce le chiede l’Europa”, “senza riforme si muore!”, si dice indipendentemente dalla loro utilità e qualità. E’ come immaginare una persona che sta male e chiedere al medico di dargli una medicina, qualunque essa sia; anche se peggiora il quadro clinico e il paziente diventa moribondo, la cura va comunque fatta, anzi accentuata. Napolitano sostiene e ispira queste “riforme” in nome di una malintesa e distorta causa della salvezza nazionale. Parla, come vuole la liturgia corrente, di un Paese fermo, mentre gli altri correrebbero.
E’ una bugia, perché, in questi anni, non è vero che non ci sono state riforme: ce ne sono state tante, a getto continuo e sempre nella direzione prefigurata da Napolitano: in campo economico (taglio massiccio della spesa pubblica, liberalizzazioni e privatizzazioni), in campo sociale (due per tutte, “riforma” delle pensioni e abolizione di fatto dell’art.18), nel campo della semplificazione istituzionale (leggi elettorali, “riforme” costituzionali e dei regolamenti parlamentari). Il problema non è stata la mancanza delle riforme, ma è il loro bilancio fallimentare: la crisi si è aggravata, la disoccupazione è aumentata, la corruzione della vita pubblica, la disaffezione della gente dalla politica e dalle istituzioni sono paurosamente aumentate. Sarà il caso di invertire la rotta o di fermarsi almeno a riflettere?!
Napolitano fa il male, non il bene, dell’Italia. In un altro Paese democratico sarebbe stato soggetto a procedura di impeachment per aver, con insistenza e ostinazione, esorbitato dal ruolo di geloso custode della Costituzione. L’Italia, di fatto, vive già una condizione di Repubblica presidenziale ed è così che, giorno dopo giorno senza dirlo, si costruisce una democrazia autoritaria e poi un regime. Non ci si può rassegnare alla mancanza di una reazione.
LEONARDO CAPONI

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