Sinistra. Inutile l’attacco di Smeriglio (Sel) contro l’Assemblea nazionale
Trovo francamente sorprendente l’inutile virulenza con cui
Massimiliano Smeriglio nell’intervista rilasciata a questo
giornale ( http://ilmanifesto.info/smeriglio-sel-lista-tsipras-da-democratizzare/ ) si scaglia contro gli esiti dell’Assemblea nazionale tenuta
dalla lista Tsipras lo scorso sabato. Non che manchino argomenti per
una sana riflessione critica e autocritica. Molti di questi li ha
forniti Revelli stesso, nel corso di una disamina spietata dello
scarso radicamento sociale del nostro voto e quindi della nostra
debolezza strutturale. Il problema che quindi abbiamo tutti,
compresa Sel — a meno che l’intervista di Smeriglio non preannunci
uno sganciamento dal percorso – è come superare quei limiti
evidenti e probabilmente in questa fase non eliminabili del
tutto, dando vita a un processo costituente fatto di pratiche
coerenti che costruisca un “rappresentato strutturato”, dopo
essere riusciti per poco più di 8mila decisivi voti e dopo ripetute
sconfitte, a dare vita ad una rappresentanza istituzionale
europea.
È evidente che quest’ultima non può sopravvivere a lungo senza la
costruzione del primo, ovvero di un soggetto politico nuovo di
sinistra in un Paese dove quest’ultima può dirsi se non inesistente,
quantomeno irrilevante. La successione dei fatti e la nostra
infelice storia pregressa, e non progetti a tavolino, ha voluto
infatti che noi percorressimo un processo praticamente inverso
a quello che hanno compiuto Siryza, o altre forze della sinistra
europea fino alla recentissima Podemos, le quali prima di fare il
balzo in Europa si sono date un profilo politico e un’organizzazione
conseguente su scala nazionale. Di fronte alla originalità della
nostra condizione e agli inediti problemi che essa pone fanno solo
sorridere le critiche ingenerose e futili sull’elevata età dei
partecipanti all’Assemblea (peraltro la lista Tsipras vanta un
elevato tasso di voto giovanile), o sulla relativa lunghezza delle
relazioni introduttive, o l’assenza di una strutturazione
democratica peraltro pienamente riconosciuta e motivata come
transitoria, cui l’Assemblea ha cominciato a porre rimedio
procedendo alla costruzione di un coordinamento provvisorio per
auto proposizione, ma rappresentativo dei comitati
territoriali.
Evidentemente il problema sta altrove. È emerso in un qualche
modo nella discussione che si è accesa in uno dei gruppi tematici nei
quali si è divisa l’assemblea e concerne la presenza eventuale alle
prossime elezioni regionali. In realtà la questione è stata male
impostata fin dal suo inizio, e non solo dall’intervista di
Smeriglio. Infatti non credo si possa discutere fruttuosamente il
da farsi di fronte a questa scadenza, se prima non si affronta una
discussione che da tempo incalza su cosa sono diventate le
istituzioni regionali – ora terreno privilegiato per l’esercizio
della corruzione delle elites politiche — e cosa soprattutto
diventeranno se andrà in porto la riforma costituzionale
attualmente in discussione al Senato che tocca così pesantemente il
Titolo V, già oggetto di ampie modificazioni una decina di anni fa.
Le nuove norme che il governo ha proposto tendono a ridurre le
regioni a una semplice articolazione amministrativa.
L’eliminazione delle competenze legislative “concorrenti” e la
“clausola di supremazia” riportano molte tematiche di forte
impatto sociale nell’ambito squisitamente statale a sua volta
limitato dalle ingerenze degli organi della governance a-democratica
europea (ad esempio con il fiscal compact). Il sogno della vecchia
sinistra di fare delle regioni un’articolazione democratica dello
Stato per avvicinare la cosa pubblica ai cittadini è del tutto
travolto. Prima di decidere con chi andare bisognerebbe discutere
se e perché.
Ma scavando ancora, il nodo vero del contendere è sulla natura del
Pd. Del Pd nel suo complesso, non solo del fenomeno Renzi.
È difficile immaginare che Renzi abbia vinto indipendentemente
o addirittura contro il Pd. Per quanto sia forte la
personalizzazione in atto, abbiamo assistito, attraverso un
processo non breve fatto anche di bruschi salti, come l’elezione di
Renzi, alla trasformazione di un intero partito in un sistema di
governo delle istituzioni e della società. Le analogie con la Dc
sono del tutto fuori luogo. Non esiste più alcun riferimento ideale
e tantomeno finalistico. Vi è la totale compenetrazione nel
presente del sistema di governance europeo e nazionale, cui tutto
è sottomesso. Il partito piglia-tutto dà luogo ad una mutazione
antropologica delle sue elites e del senso stesso del concetto di
partito. Questo spiega anche la fluidità delle posizioni interne,
rapidissime nell’uniformarsi all’onda vincente senza lasciare
neppure una traccia del proprio percorso. Che ne è dei “giovani
turchi”? Le articolazioni delle posizioni personali – al di là
delle migliori intenzioni – o territoriali non riescono
a contrastare questa liquidità politica né ergersi a opposizione
strutturata e duratura.
La sinistra, se sarà, non potrà che svilupparsi fuori e contro
questo partito-governo. Il che non esclude il confronto o possibili
convergenze su singoli aspetti e temi, ma certamente sì la
riproposizione dell’alleanza coartata dal ricatto del voto utile
anche a livello regionale. Qui sta il nodo delle divergenze, che va
affrontato non a colpi di accetta, ma senza sfuggirvi e con serietà.
La trasformazione di una lista nata per un nuovo progetto europeo
in un soggetto di sinistra radicato nel nostro paese passa
inevitabilmente per questa strada. Prima la intraprendiamo,
evitando deragliamenti elettorali, meglio è visto che non sarà
breve né lineare.
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