domenica 20 luglio 2014

La permanenza della guerra —  Tommaso Di Francesco, Il Manifesto

Guerre umanitarie. La barbarie temuta è arrivata. Di fronte alla permanenza dei conflitti, di quale equidistanza si può parlare?
Alla fine, dodici anni dopo, ecco il risul­tato della scon­fitta del più grande movi­mento con­tro la guerra, nella fat­ti­spe­cie in Iraq, che scese in piazza con cento milioni di per­sone e che venne defi­nito «la nuova potenza mon­diale». Hanno vinto i neo­con della destra ame­ri­cana e quei governi di cen­tro­si­ni­stra che in Occi­dente hanno spo­sato la causa del «mili­ta­ri­smo uma­ni­ta­rio» che ha pro­fu­mato di buono le stragi della nostra epoca: la guerra è diven­tata per­ma­nente e dilaga.
E torna ovun­que e all’improvviso. All’improvviso? La sua san­gui­nosa attua­lità è tra­gi­ca­mente pre­sente ogni giorno nono­stante il silen­zio dei governi com­plici e spesso dei media, come Repub­blicaCor­riere della Sera, che sono arri­vati a can­cel­lare le stragi di Gaza dalla prima pagina. Spesso anche a sini­stra la guerra è l’ultimo dei pro­blemi, da aggiun­gere all’ultimo momento in un docu­mento, o in una presa di posi­zione, nell’incapacità di inter­pre­tare le cor­re­la­zioni che legano, in un filo d’orrore, i diversi con­flitti della terra ai cam­bia­menti poli­tici per cui si lotta. Ma il pre­ci­pi­tare degli eventi rende evi­dente la gene­rale mio­pia che attra­versa la cul­tura occi­den­tale. Che pro­mette e annun­cia cre­scita eco­no­mica ma nasconde la vio­lenza che altrove si eser­cita per otte­nerla a qual­siasi costo, taci­tando il peri­colo e otte­nendo con­senso e potere. Così la per­ma­nenza della guerra resta e rie­merge, ria­prendo ferite mala­mente sutu­rate e abil­mente occultate.
Lo Stato d’Israele, che non cono­sce altro che la legge dei carri armati, muove i tank per rioc­cu­pare la Stri­scia di Gaza e lo fa per­ché ha «diritto a difen­dersi», fa sapere lo stesso Obama che nel discorso del Cairo del 2009 dichia­rava di sen­tire «il dolore del popolo pale­sti­nese, senza terra e senza patria». Sono pas­sati cin­que anni dall’inizio della sua Ammi­ni­stra­zione e la crisi medio­rien­tale vede non solo sem­pre un popolo senza terra né patria, ma la crisi è peg­gio­rata per­ché la colo­niz­za­zione è stata estesa, i Muri di divi­sione sono rad­dop­piati e, scrive l’editorialista di Haa­retz Gideon Levy, «Israele non vuole la pace, chi estende le colo­nie raf­forza l’occupazione e chi raf­forza l’occupazione non vuole la pace». I razzi di Hamas sono il fumo, certo distrut­tivo e mici­diale, che nasconde que­sta verità: lo Stato di Pale­stina, ridotto ad una alveare di inse­dia­menti, non ha più alcuna con­ti­nuità ter­ri­to­riale e non potrà esi­stere più.
Sono 270 le vit­time dei bom­bar­da­menti aerei israe­liani, in gran parte civili com­prese decine di bam­bini. Pen­sate solo a quanto odio è stato semi­nato dai bom­bar­dieri in que­sti giorni. E di che equi­di­stanza stiamo par­lando? C’è uno Stato, quello d’Israele che occupa le terre di un altro popolo che, anche secondo la Carta dell’Onu ha il diritto a ribel­larsi. Qual­cuno dica a che cosa hanno por­tato finora i finti nego­ziati di pace, con un governo israe­liano sordo ad ogni richie­sta di ritiro secondo due sto­ri­che Riso­lu­zioni dell’Onu o di blocco delle colo­nie e rab­bioso — Neta­nyahu è let­te­ral­mente fuori di sé — per la nuova unità nazio­nale pale­sti­nese Fatah-Hamas. Ma, certo, Israele ha diritto alla sua sicu­rezza. E i pale­sti­nesi, che non si danno per vinti, a che cosa hanno diritto?
E pro­prio men­tre dilaga la nuova guerra medio­rien­tale, l’abbattimento cri­mi­nale di un aereo di linea malese sui cieli tra Ucraina e Rus­sia, con quasi 300 vit­time – già con rim­pallo di respon­sa­bi­lità — obbliga a vol­gere lo sguardo in Europa. Già nei giorni scorsi erano decine i morti nell’est dell’Ucraina, negli scon­tri tra mili­zie sepa­ra­ti­ste e nazio­na­li­ste filo­russe nate nel Don­bass in con­trap­po­si­zione al nazio­na­li­smo ucraino anti­russo del movi­mento di Maj­dan ormai al potere a Kiev, soste­nuto dal’Ue e soprat­tutto dalla Nato che porta avanti l’indiscussa e indi­scu­ti­bile stra­te­gia dell’allargamento della sua stra­te­gia mili­tare a est, pro­prio alla fron­tiera russa. Una volontà che è all’origine, non a con­clu­sione, delle ten­sioni e del con­flitto in corso.
E appena si volge lo sguardo dall’est euro­peo all’altra sponda del Medi­ter­ra­neo, l’instabilità della Libia – san­tua­rio mili­tare di ogni sol­le­va­zione jiha­di­sta nell’area — diventa macro­sco­pica. Siamo a soli tre anni dall’abbattimento del regime di Ghed­dafi gra­zie all’intervento degli aerei della Nato diven­tati l’aviazione degli insorti jiha­di­sti in guerra con­tro il raìs. Gui­dava allora la nuova coa­li­zione bel­lica occidental-umanitaria, con l’Italia pro­ta­go­ni­sta, il «disin­te­res­sato» Sar­kozy. Che riu­scì a con­vin­cere un ini­ziale recal­ci­trante Obama che poi, con Hil­lary Clin­ton, ha pagato il prezzo di que­sta avven­tura con i fatti di Ben­gasi dell’11 set­tem­bre 2012.
Gio­vedì le mili­zie isla­mi­ste di Misurta, le più armate e radi­cali, hanno occu­pato Tri­poli, dove un ille­git­timo e impro­ba­bile governo chiede l’intervento inter­na­zio­nale. Intanto si com­batte in Siria e le mili­zie qae­di­ste dello Stato isla­mico dell’Iraq e del Levante avan­zano in ter­ri­to­rio ira­cheno, men­tre in Afgha­ni­stan le ultime ele­zioni pre­si­den­ziali sono accu­sate di bro­gli e le truppe Usa e Isaf/Nato reste­ranno ancora per altri due anni.
 
Non c’è pace. È un disa­stro. Per­mane solo la bar­ba­rie che teme­vamo sarebbe arri­vata se non si fosse costruita una alter­na­tiva di valori e di sistema. In que­sti giorni noi ci rivol­tiamo al dis­sen­nato ten­ta­tivo del pre­si­dente Renzi di mani­po­lare la nostra Costi­tu­zione con la can­cel­la­zione della eleg­gi­bi­lità diretta e demo­cra­tica del Senato. Riflet­tiamo allora per un attimo sul fatto che per ognuna delle guerre che abbiamo elen­cato l’Italia è stata o è pro­ta­go­ni­sta e ha un ruolo militare.
Non solo in Iraq ma anche in Medio oriente dove par­te­cipa ad un Trat­tato mili­tare con Israele, nono­stante sia un paese in guerra per­ma­nente; in Libia ha bom­bar­dato dopo avere applau­dito al regime dell’ex raìs, in Siria è ancora nella fami­ge­rata coa­li­zione degli «Amici della Siria» che ha ali­men­tato il con­flitto; men­tre in Ucraina l’Italia sostiene, senza che se ne discuta, l’Alleanza atlan­tica che peri­co­lo­sa­mente alle­sti­sce da anni la sua nuova, pro­vo­ca­to­ria, cor­tina mili­tare alla fron­tiera russa come se fosse la nuova Guerra fredda. Riflet­tiamo allora su quanto sia stato deva­stato l’articolo 11 della nostra Costi­tu­zione che ban­di­sce la guerra come mezzo di riso­lu­zione dei con­flitti inter­na­zio­nali. E ribel­lia­moci. Can­cel­lano il Senato per­ché, dicono, «pro­duce ceto poli­tico». Men­tre cre­sce solo la guerra, can­cel­lano l’articolo 11 per pro­durre ceto mili­tare e nuovi conflitti.

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