Fare propaganda invece di giornalismo. Specie in tempi di guerra diventa così normale che nessuno se ne accorge più.
La ragione strutturale è semplice da capire: se vivi “dentro” un
sistema che consideri la tua normalità, difficilmente puoi renderti
conto di quanto deformante sia il filtro posto agli eventi che avvengono
“fuori”. E la guerra – in Palestina come in Ucraina, in Siria come in
Libia o in Iraq, per noi “fortunati” europei è per il momento “fuori”
(sembra passat un secolo da quando c'eravamo quasi “dentro”, tra Bosnia,
Serbia e Kosovo).
Deve essere per questo che molti giornali e supposti giornalisti
tendono a riciclare sempre lo stesso “pezzo”, fiduciosi nel fatto che
illettore non ci può fare caso, sommerso com'è da informazione tutta
uguale, seriale, embedded senza più nemmeno la necessità che un
Minculpop ti venga a censurare l'articolo prima della pubblicazione.
Ormai la censura fa parte del software che muove la testa di chi scrive
sulla stampa mainstream. E la realtà non conto, l'unico problema è “come
raccontarla”. Ma dopo un po' la fantasia si esaurisce. E ci si ripete.
L'infortunio occorso a Umberto De Giovannangeli, inviato de l'Unità, è
però davvero singolare. A forza di recarsi in Israele per raccontare
l'ennesimo massacro a Gaza, sempre tornando a Sderot (anche la location
scelta deve avere la sua importanza, per la ripetitività), ci racconta
sempre la stessa stora. Un po' come la nonnina quando ci raccntava le
favole per farci addormentare.
La favola che ci racconta De Giovannageli è commovente. È la favola
della bambina israeliana Tahal Pfeffer, 4 anni, che quando torna a casa
dall'asilo si accuccia sotto il tavolo. Si è abituata a fare così per
colpa di quei cattivissimi palestinesi che da Gaza lanciano i terribili
razzi Qassam. A forza di vivere così, ha sviluppato una sindrome
psicologica che ha un nome preciso - SPT (Sindrome Post-Traumatica) -
comune ad oltre la metà degli abitanti della cittadina ai confini di
Gaza.
Vi siete commossi anche voi, ammettetelo. Una bambina è il simbolo stesso dell'innocenza, impossibile restare impassibili.
Il problema più grave di questa bambina, però, è che non cresce. Un
autentico Peter Pan, che ha sempre quattro anni, anche a distanza di
sette anni. Leggiamo:
Quando Tahal Pfeffer, 4 anni, torna a casa dall'asilo, si accuccia sotto il tavolo della cucina e lì rimane. Quando Tahal ha cominciato a comportarsi così, circa sei mesi fa, sua madre Ofra ha pensato che si trattasse di un gioco. Tuttavia dopo averla incoraggiata a parlarne, Ofra si è resa conto che questo era il modo escogitato dalla figlia per controllare lo stress causato dall’allarme sicurezza all’ombra del quale la bambina ha vissuto gran parte della sua giovane vita: i razzi Qassam che cadono su Sderot, il rumore dell'artiglieria israeliana che fa fuoco su Gaza e i boom supersonici provocati dagli aerei dell’aviazione militare dello Stato ebraico. Tahal trasale al minimo rumore, così come fa Yaakov, suo fratello maggiore, sette anni: dallo squillo di un campanello ad uno sbattere delle porte. Quando parte la sirena dell’allarme «Treva Adom», il segnale che un Qassam è in avvicinamento, i bambini si bloccano immediatamente. Se accade di notte, corrono immediatamente nel letto della madre. Sono smarriti, impauriti, emotivamente destabilizzati. La vita a Sderot è una roulette russa: passano nemmeno trenta secondi dall’avvistamento del razzo al suo impatto. Trenta secondi per cercare un rifugio, per evitare di essere intrappolato nelle macerie di un palazzo centrato dai missili palestinesi. La scansione della quotidianità a Sderot è segnata dalla paura. E dal dolore. Anche questo è inferno.
L'Unità, 11 luglio 2014, Umberto De Giovannangeli
La cronaca di questi giorni convulsi. De Giovannangeli ce la consegna
con trasporto e commozione (un po' a senso unico, è vero, ma che volete
farci, lui è di casa a Sderot, mica a Gaza), attraverso lo spavento di
Tahal, appena quattro anni. Esattamente quanti ne aveva nel 2007, in
quest'altro (si fa per dire) articolo dello stesso De Giovannangeli per
lo stesso giornale:
Quando Tahal Pfeffer, 4 anni, torna a casa dall'asilo, si accuccia sotto il tavolo della cucina e lì rimane. Quando Tahal ha cominciato a comportarsi così, circa sei mesi fa, sua madre Ofra ha pensato che si trattasse di un gioco. Tuttavia dopo averla incoraggiata a parlarne, Ofra si è resa conto che questo era il modo escogitato dalla figlia per controllare lo stress causato dall'allarme sicurezza all'ombra del quale la piccola Tahal ha vissuto gran parte della sua giovane vita: i razzi Qassam che cadono su Sderot, il rumore dell'artiglieria israeliana che fa fuoco su Gaza e i boom supersonici provocati dagli aerei dell'aviazione militare dello Stato ebraico. La famiglia Pfeffer non costituisce un caso isolato. Un recente sondaggio, condotto a Sderot su un campione di 150 famiglie con bambini piccoli, ha evidenziato che il 54% dei genitori e/o dei bambini soffre di SPT (Sindrome Post-Traumatica) Tahal trasale al minimo rumore, così come fa Yaakov, suo fratello maggiore, sette anni: dallo squillo di un campanello ad uno sbattere delle porte.
L'Unità, pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 12) nella sezione "Esteri", 2 June 2007
Il tempo si è fermato, nulla cambia, chiamate Renzi! Vien quasi da
pensare che i tanti piccoli Ahmed o Mohammed, le piccole Amina o con
qualsiasi altro nome, al di là del confine, in quel paradiso a cielo
aperto che è Gaza, siano più fortunati. Loro muoiono prima di sbocciare
alla vita, non hanno tempo per contrarre alcuna sindrome psicologica.
Povero Gramsci, che fogna hanno fatto del tuo giornale!
qui l'articolo del 2007:
http://cerca.unita.it/ARCHIVE/
e qui quello di oggi:
http://www.unita.it/mondo/nei-
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