Sono
efficaci i quesiti referendari sulla legge 243/2012? E' quanto si chiede Franco
Russo, attivista ed esperto giuridico di Ross@, in questa approfondita analisi
sui Trattati Europei e le possibilità di contrastarli efficacemente attraverso
i referendum.
Chiunque
prova a mettere in discussione e ad abrogare le disposizioni concernenti le
nuove leggi di bilancio e di contabilità pubblica volute dall’Unione Europea
per attuare le politiche di austerità, merita apprezzamento e riconoscenza per
gli sforzi di volontà e di intelletto. Sì, perché cercare le vie efficaci per destrutturare la normativa europea sui
bilanci degli Stati membri è impresa difficile, particolarmente in Italia dove
esistono per di più vincoli costituzionali in relazione ai trattati
internazionali e all’UE. Mentre in altri paesi membri è possibile, anzi a volte
è necessario ricorrere ai referendum popolari per l’approvazione dei Trattati
dell’UE, in Italia c’è una restrizione costituzionale sul ricorso al referendum
sui trattati internazionali.
Come è
ben noto l’articolo 75 vieta il
referendum per le leggi tributarie e di bilancio e per l’autorizzazione a
ratificare i trattati internazionali. Inoltre, fino al 2001, la cosiddetta
copertura costituzionale dei Trattati UE veniva desunta solo dall’articolo 11,
che ‘consente, in condizioni di parità
con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni’, poi la legge
costituzionale 3/2001 ha riformulato l’articolo 117 prescrivendo che la potestà
legislativa dello Stato e delle Regioni sia esercitata nel rispetto della
Costituzione ‘nonché dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali’. E
la legge costituzionale 1/2012, quella che ha modificato l’articolo 81 per
introdurre il pareggio di bilancio, ha disposto, modificando anche l’articolo
97, che le ‘pubbliche amministrazioni, in
coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei
bilanci e la sostenibilità del debito pubblico’.
La ‘copertura costituzionale’ dei Trattati dell’UE
è ora molto più forte e tassativamente normata, dunque più difficile da
scalfire. È bene sempre avere a mente che, tranne la legge costituzionale del
2001, tutte le leggi relative
all’ordinamento dell’UE e alle leggi di revisioni delle regole di bilancio e di
contabilità nazionale per armonizzarle con la normativa UE sono state approvate
con le ‘larghe intese’, con i voti del PD e del PdL: sull’UE e sulle sue
politiche centrodestra e centrosinistra sono sempre uniti. Per tutti questi
motivi, di vincoli costituzionali e di schieramenti politici, va apprezzato lo
sforzo degli estensori di quattro quesiti referendari, che, non potendo toccare
l’articolo 81 della Costituzione, né la legge di ratifica del Fiscal Compact
(votata a larghissima maggioranza durante il governo Monti), propongono di
abrogare talune parti della legge 243, approvata, sempre su impulso del governo
Monti, addirittura la vigilia di Natale, il 24 dicembre 2012.
La legge
243/2012 è stata disposta dall’articolo 5 della legge costituzionale1/2012
(quella del pareggio di bilancio), prescrivendo la maggioranza assoluta per la
sua approvazione. Come ben riassunto nel sito ufficiale della Camera, la legge 243/2012 attua il principio
dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio delle pubbliche
amministrazioni e della sostenibilità del debito pubblico, disciplina i
contenuti della legge di bilancio e istituisce l’Ufficio parlamentare di
bilancio, organismo indipendente per l’analisi e la verifica degli andamenti di
finanza pubblica e per l’osservanza delle regole di bilancio. Inoltre, contiene
norme relative alle funzioni di controllo della Corte dei Conti sui bilanci
delle amministrazioni pubbliche, nonché disposizioni finali di coordinamento
con la legge di contabilità e finanza pubblica n.196 del 2009.
Da quanto fin qui scritto sembrerebbe efficace
‘colpire’ la legge 243 per ‘colpire’ il pareggio di bilancio, previsto dal
‘novellato’ articolo 81, e così ‘colpire’ indirettamente il Fiscal Compact.
Purtroppo la lettura dei quesiti toglie ogni
speranza che essi, sottoposti a referendum se mai la Corte Costituzionale li
giudicherà ammissibili, possano mettere in discussione, men che mai in crisi,
le nuove regole di bilancio e l’insieme delle norme che hanno accentrato
nell’UE i poteri decisionali delle politiche pubbliche degli Stati membri.
I cinque Regolamenti UE, conosciuti come Six pack,
hanno disciplinato ferreamente obiettivi e procedure di bilancio perché questi
risulti in pareggio, il Fiscal Compact offre ad essi la cornice del Trattato
internazionale, e infine il Two pack disciplina, oltre le politiche di bilancio
anche le politiche macroeconomiche giungendo a predisporre controlli preventivi
sulla legge finanziaria in modo da vincolare i parlamenti. È stata
creata una rigida procedura, anche nelle sue scansioni temporali, per cui sono
il Consiglio europeo, la Commissione, e l’ECOFIN, con l’attivo sostegno della
BCE, a determinare le politiche di bilancio al fine di imporre il rispetto dei
vincoli del Patto di stabilità, allentati nel 2005 per venire incontro agli
‘sforamenti di bilancio’ di Germania e Francia, e riorganizzato a partire dal
settembre 2010 in chiave marcatamente centralistica per fronteggiare la crisi
finanziaria ed economica.
Cosa chiedono i quesiti relativi alla legge 243? Di
abrogare l’avverbio ‘almeno’all’articolo 3, commi 3 e 5 (lettera a), perché
esso rende più stringenti i vincoli del Fiscal Compact, imponendo obiettivi
finanziari quantitativi e temporali più impegnativi (sono
parole degli estensori). Il Fiscal Compact sarebbe più moderato e dunque le
regole UE sarebbero più flessibili di quelle disposte dalla legge 243. Il
governo Monti e la sua maggioranza sarebbero stati ‘più realisti del re’, dato
che le regole UE offrirebbero spazi di flessibilità cancellati dalla legge
italiana. Ora che il governo Monti sia stato un ‘guerriero dell’austerità’ non
c’è dubbio alcuno, ma per mettere in discussione la legge 243 ci si può mai
appellare addirittura alla supposta moderazione del Fiscal Compact? Il risultato non voluto sarebbe di
legittimare il Fiscal Compact con un voto referendario, se mai ci si dovesse
arrivare.
Questo
giudizio negativo è avvalorato dal quesito relativo al comma 2 dell’articolo 3,
il quale prevede la corrispondenza dell’equilibrio di bilancio all’obiettivo a
medio termine. Giudizio negativo perché si vuole ‘colpire’ la sua meccanicità
facendo valere, come motivano gli estensori, l’articolo 97 comma 1 della
Costituzione che prescrive il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio ‘in
coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea’. Ancora una volta si vuole abrogare una disposizione della legge 243,
ritenuta più rigida, in nome della presunta moderazione delle regole UE.
Un terzo
quesito dovrebbe consentire l’indebitamento anche per partite non finanziarie,
dunque per consentire interventi di politica economica (peraltro previste
dall’articolo 6 della legge 243). Allentare
un vincolo, non spezzarlo. Ciò che Renzi e Hollande vanno già chiedendo e
cercando di realizzare attraverso la trattativa politica. Un referendum per
rafforzare Renzi nelle sue trattative con la Germania della Merkel?
Infine,
si vuole sottoporre a referendum il comma 1 dell’articolo 8 dove la legge fa
riferimento agli obblighi derivanti da accordi internazionali e non solo
dall’ordinamento europeo. Sempre la
distinzione tra regole UE moderate e trattati internazionali rigidi e
inflessibili, intendendosi riferire innanzitutto al Fiscal Compact.
Non entro
nel merito dell’ammissibilità dei quesiti, su cui ha ben scritto Gaetano
Azzariti su il manifesto del 1° luglio. Vorrei in conclusione avanzare alcune
considerazioni. La prima è che a
fondamento delle disposizioni normative italiane, di rango costituzionale e
ordinario, ci sono i Trattati UE e, nel caso delle procedure di bilancio, ci
sono i Regolamenti del Six pack e del Two pack. Se non viene messo in
discussione questo complesso di regole UE non si scalfisce il potere fiscale
concentrato nelle mani dell’oligarchia UE, composta da governi, Commissione,
ECOFIN e BCE. Gli stessi estensori sono costretti ad ammettere ripetutamente
nelle loro ‘spiegazioni’ che si tratta di usare i Trattati e le regole UE per
scalfire le rigidità della normativa italiana, con il perverso risultato di
legittimare così Trattati e Regolamenti.
Sono questi ad aver determinato una procedura
rigida del processo di decisione del bilancio, con controlli preventivi e
misure correttive su tutti i provvedimenti economici e finanziari degli Stati
membri. Ormai siamo al ‘taxation without
representation’ del regime assolutistico, e questo risultato è il portato dei
Trattati, in particolare del Fiscal Compact, e del Six e Two pack. Le élite
dirigenti UE hanno scelto per il Fiscal Compact uno strumento
internazionalistico, come anche nel caso del MES, proprio per rendere più
ferrea e non ‘trattabile’ la normativa, e questa normativa internazionalistica
fa da cornice ai Regolamenti del Six e Two pack. I Regolamenti come tutti sanno
sono direttamente applicabili, non abbisognando di norme di recepimento, e sono
essi a disciplinare le procedure di bilancio. Dunque le élite dirigenti hanno
combinato insieme Trattati e Regolamenti con l’effetto di rendere inflessibili
le norme di bilancio.
Per cambiare regole e ordinamento UE uno Stato
membro deve agire nelle sedi istituzionali comunitarie, e se vuole non
applicare un trattato internazionale lo deve denunciare. Quali forze sono
disponibili ad ingaggiare una lotta su questi temi e con questi obiettivi? Spargono
illusioni gli estensori dei quesiti volendo mettere in contraddizione Trattati
giudicati moderati e legge 243 giudicata più rigida, perché sono proprio i Trattati UE a rendere
possibile le rigidità. Sarebbe grave legittimare l’antidemocratico ordinamento
UE con un voto referendario per mettere in discussione elementi davvero
secondari della legge 243; c’è invece la necessità di rompere l’ordinamento UE,
di denunciare Fiscal Compact e MES per non applicarli.
Quale altra strada è percorribile? Dati i vincoli
costituzionali, se l’obiettivo è denunciare l’illegittimità democratica
dell’ordinamento UE la via in Italia è quella del referendum di indirizzo come
quello già tenutosi nel 1989, per aprire un processo democratico costituente
dell’Europa. Serve per
questo una legge costituzionale che si può presentare attraverso l’iniziativa
popolare; così come serve una seconda legge costituzionale per riportare
l’articolo 81 alla sua ragione fondativa, che è quella di consentire interventi
pubblici per un’economia guidata da finalità sociali ed ecologicamente
sostenibile. Dunque un articolo 81 riformulato per estenderne la portata
introducendo dei vincoli per garantire la fruizione universale dei diritti
sociali, come a più riprese hanno proposto Luigi Ferrajoli e Gianni Ferrara.
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