di Norma Rangeri, Il Manifesto
L’unica tumultuosa crescita di cui siamo campioni è l’inarrestabile aumento della povertà. Dopo
il Rapporto della Caritas sul suo raddoppio e sul cambiamento
della sua mappa sociale, arrivano ora gli ultimi aggiornamenti
dell’Istat a conferma dell’indigenza «assoluta» per un italiano
su dieci.
Purtroppo non bisognava aspettare i dati di Caritas e Istat,
né essere provvisti di particolari doti di preveggenza per
sapere che «l’ascensore sociale funziona. In giù», come titolavamo
qualche giorno fa in prima pagina raccontando una storia di
ordinaria disperazione di una famiglia operaia, con padri e figli
colpiti dalla crisi, ridotti a galleggiare su una precaria linea di
sostentamento perché i salari una volta sufficienti a mantenere
la famiglia, oggi garantiscono una vita di stenti. Milioni di
persone che a dar retta alle ricette del governo dovrebbero essere
salvate da una ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro
combinata con una riduzione della rappresentanza nei livelli
parlamentari.
E se la povertà è un tabù, il totem è l’articolo 18 che torna a galla perché la precarietà non è mai abbastanza.
Il lavoro ci sarebbe in abbondanza se i soliti sindacati
corporativi non facessero di tutto per impedirne il naturale
sviluppo, per esempio difendendo l’articolo 18, «un totem degli anni
’70–80» secondo il parere del sottosegretario Rughetti (renziano
doc), un intralcio «da superare del tutto» secondo il ministro
Alfano, un residuato «da cancellare perché toglierlo dimostra
leadership e fa lavoro», secondo l’ex ministro Sacconi. Voci di
primo piano, e in profonda sintonia, della maggioranza.
L’articolo 18 ancora non entra nel repertorio del presidente del consiglio
che, tuttavia, nella domenicale intervista al Corriere della
Sera, fa comunque sapere che si potrebbe «dare lavoro a 40 mila
persone» con lo «sblocco minerario», che poi sarebbe trivellare
Sicilia e Basilicata «per raddoppiare la percentuale di petrolio
e gas, ma non lo si fa per paura delle reazioni di tre o quattro
comitatini». Ostacoli risibili per un trivellatore che è anche
leader nella svendita delle nostre industrie al peggior offerente
(il caso dell’Indesit finita a Whirpool a fronte di un’offerta cinese
economicamente migliore). Renzi rivendica il discount italiano
(che d’altra parte è leit-motiv del suo governo) e se ne vanta:
«L’Indesit la considero un’operazione fantastica, ho parlato
personalmente con gli americani».
Nemmeno un refolo della tempesta sociale attraversa il pensiero e le preoccupazioni
di chi, del resto, è tutto concentrato su una riforma
costituzionale che dovrebbe fare il miracolo di lanciare il paese
in una nuova fase di sviluppo perché riducendo la rappresentanza
si guadagnano credenziali in Europa. Ma del resto la propaganda
renziana al mercato dell’informazione va fortissima.
Palazzo Chigi può continuare a dire che il nuovo senato è disegnato sul modello tedesco anche
se, come ha spiegato su queste pagine Massimo Villone, nel
Bundesrat siedono i rappresentanti esecutivi dei Lander che
votano in blocco per il Land di appartenenza e in nessun paese
europeo esiste qualcosa come quel concentrato di ceto politico che
sta per diventare il nostro senato. Sulla cui autonomia ci sarebbe
da ridere se non fosse drammaticamente vero che difficilmente
potrà essere praticata da quegli stessi delegati regionali che dal
governo dipendono per le risorse di cui potranno disporre. E con quali
percentuali tra correttezza e corruzione ognuno può giudicare.
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