venerdì 11 luglio 2014

Intervista a Hugo Radice: il Fiscal Compact e la depoliticizzazione


Intervista . Hugo Radice, docente all’Università di Leeds sulle politiche economiche e fiscali europee: «È necessario ripartire dalle conquiste ottenute dai movimenti popolari e di base»
Sulla rela­zione tra poli­ti­che eco­no­mi­che e fiscali euro­pee e crisi della demo­cra­zia abbiamo rivolto alcune domande a Hugo Radice, docente all’Università di Leeds.
In che modo il Fiscal Com­pact può rap­pre­sen­tare un pro­blema per la democrazia?
I limiti all’esercizio degli stru­menti demo­cra­tici di deci­sione e con­trollo in mate­ria di poli­tica fiscale hanno comin­ciato a mate­ria­liz­zarsi in Europa sin dalla sot­to­scri­zione del trat­tato di Maa­stri­cht venti anni fa. In que­sto modo da un lato si è affie­vo­lita la capa­cità dei par­la­menti nazio­nali di gestire e con­trol­lare i pro­pri bilanci, dall’altro si sono comin­ciate ad adot­tare poli­ti­che pro­mosse e garan­tite nella loro appli­ca­zione da un orga­ni­smo non elet­tivo, la Com­mis­sione Euro­pea. Tut­ta­via, nella fase di vigenza dei vin­coli di Maa­stri­cht i par­la­menti nazio­nali man­te­ne­vano la pos­si­bi­lità di coa­liz­zarsi e con­trat­tare all’interno della Com­mis­sione per indi­riz­zare o bloc­care deci­sioni rite­nute distanti dagli inte­ressi dei pro­pri elet­to­rati. In seguito alla crisi dei debiti sovrani nell’eurozona, la Ger­ma­nia ed i paesi ad essa alleati hanno otte­nuto che i nuovi e più rigidi vin­coli alla poli­tica fiscale degli Stati mem­bri fos­sero accom­pa­gnati da una serie di stru­menti san­zio­na­tori azio­na­bili dalla Com­mis­sione. Il Fiscal com­pact auto­rizza la Com­mis­sione a ricor­rere presso la Corte di Giu­sti­zia per obbli­gare ogni Stato fir­ma­ta­rio a rima­nere entro il nuovo limite, lo 0,5% per il cosid­detto defi­cit strut­tu­rale, pena la ridu­zione dei fondi euro­pei asse­gnati o altre sanzioni.
Per­ché il con­cetto di defi­cit strut­tu­rale può essere così peri­co­loso e in che modo è con­nesso al tema della democrazia?
Non solo eco­no­mi­sti radi­cali ma anche molti appar­te­nenti al cosid­detto main­stream neo­li­be­rale hanno evi­den­ziato due ele­menti fon­da­men­tali legati all’uso del defi­cit strut­tu­rale come obiet­tivo di poli­tica eco­no­mica. Primo, il defi­cit strut­tu­rale non può essere misu­rato ogget­ti­va­mente durante il pro­cesso di for­ma­zione del bilan­cio. Secondo, i sistemi di misu­ra­zione attual­mente in uso sono distorti: durante le reces­sioni, vi è una sovra­stima del defi­cit che con­duce a tagli di spesa (o ad aumenti delle tasse) forieri di un ulte­riore peg­gio­ra­mento delle reces­sioni stesse.
Lei ha affer­mato che il Fiscal com­pact è un esem­pio per­fetto di quella che defi­ni­sce «la poli­tica della depo­li­ti­ciz­za­zione». Cosa intende?
La depo­li­ti­ciz­za­zione si veri­fica quando il con­trollo delle poli­ti­che pub­bli­che passa da orga­ni­smi elet­tivi come i par­la­menti a sog­getti «esperti» non eletti. L’esempio più cal­zante è quello della poli­tica mone­ta­ria, sot­tratta quasi ovun­que ai Mini­stri dell’Economia, tra­di­zio­nal­mente sog­getti al con­trollo dei par­la­menti, e attri­buita alle Ban­che Cen­trali ed ai loro gover­na­tori. Que­sto pas­sag­gio può sem­brare poco impor­tante con­si­de­rando che i gover­na­tori delle Ban­che Cen­trali sono a loro volta nomi­nati dai governi, tut­ta­via, il pre­sup­po­sto di que­sto tra­sfe­ri­mento di poteri è stato esat­ta­mente quello di sot­trarre ai par­la­menti la pos­si­bi­lità di adot­tare poli­ti­che fiscali e di sti­molo di breve ter­mine in tutti i casi in cui que­ste fos­sero invise alla Banca Centrale.
Il pre­mier Renzi è stato ampia­mente lodato dalla stampa euro­pea per­ché sem­bre­rebbe volersi impe­gnare per otte­nere un approc­cio più fles­si­bile alle regole di bilan­cio in Europa. Cosa ne pensa?
Que­sto riflette il cre­scente mal­con­tento pub­blico rispetto alle poli­ti­che di auste­rità. Mol­tis­sime per­sone sono ormai con­sa­pe­voli del fatto che l’origine della crisi dei debiti sovrani non risiede nel com­por­ta­mento poco vir­tuoso dei governi bensì nella spre­giu­di­ca­tezza delle ban­che a cui si è con­cesso di ope­rare in un con­te­sto del tutto dere­go­la­men­tato. L’attuale presa di posi­zione di Renzi in Europa sem­bra essere moti­vata prin­ci­pal­mente dalla neces­sità di non per­dere il pro­prio con­senso elet­to­rale, tut­ta­via, va comun­que con­si­de­rata una mossa positiva.
Cosa dovrebbe pre­ve­dere una reale demo­cra­tiz­za­zione dell’Unione Europea?
Innan­zi­tutto un’inversione della logica neo­li­be­ri­sta che ha gui­dato le deci­sioni negli ultimi trenta anni. Que­sto richie­de­rebbe un rial­li­nea­mento che rimetta assieme i par­titi di sini­stra, quelli eco­lo­gi­sti e le rima­nenti com­po­nenti pro­gres­si­ste. È neces­sa­rio ripar­tire dalle con­qui­ste otte­nute in que­sti anni dai movi­menti popo­lari e di base. Si sente il biso­gno di una poli­tica di spe­ranza che abbia l’ambizione di un radi­cale cam­bia­mento dal basso. Ma al tempo stesso sarebbe secondo me un errore abban­do­nare il sogno di un Europa unita e pacifica.

di Thomas Fazi, Il manifesto

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