Forse è la prima volta che un presidente americano viene ridicolizzato in maniera così clamorosa: mentre Obama s’ingegna a fra passare la tesi che siano stati i filorussi ucraini ad abbattere il Boeing della Malaysia Air , il primo ministro malese, evidentemente il più interessato ad andare a fondo alla tragica vicenda, dice in Parlamento che gli Usa stanno strumentalizzando la vicenda: “Ci sono ancora molte domande a cui rispondere, prima di poter trarre delle conclusioni sulle ragioni di questa tragedia. Mentre gli Usa stanno facendo accuse sbagliate e premature contro la Russia e i miliziani”.
Che le presunte prove di Washington siano così inconsistenti da non poter essere nemmeno “appoggiate” con confuse immagini da satellite, tipo quelle jugoslave delle sterrature agricole fatte passare per fosse comuni, attribuendone tout court ai serbi la responsabilità, è evidente: in questo caso non si tratta di trovare un pretesto per dare avvio ai bombardamenti, ma di creare un elemento di pressione mediatica per far passare muove sanzioni alla Russia, verso le quali i Paesi europei sono costretti ad allinearsi, mentre segretamente mugugnano e recalcitrano. Ma il contesto in cui l’operazione è stata pensata, quel mondo unipolare e monoculturale che doveva sancire la fine della storia, si sta disgregando velocemente: l’intervento del primo ministro malese cade come un masso sulla politica americana e non a caso è stato espunto dai bollettini dei giornaloni. Un masso che va ben oltre la vicenda in sé e lo scontro sulle responsabilità: dimostra come un Paese che ha ottimi rapporti con gli Usa e che anzi Washington vorrebbe ingaggiare nell’azione di controbilanciamento della Cina, come con grande enfasi fa notare l’Aspen Institute, non si fa mettere i piedi in testa, non aderisce alla verità dettata dalla Casa Bianca e asseverata dai media.
E’ chiaro che Paesi in via di rapida industrializzazione come quelli dell’Asean di cui fa parte la Malesia, stanno scorgendo con sempre maggiore chiarezza i vantaggi del giocare in un mondo ormai multipolare e non vogliono sentirsi legati mani e piedi dagli interessi imperiali di Washington: per questo si sfilano dai giochini occidentali, anche quando ne sono coinvolti in prima persona e ridicolizzano l’ambigua subalternità europea agli Usa, per cui si cerca sottobanco di non perdere mercati e rifornimenti energetici, ma ufficialmente si appoggiano le pulsioni di guerra americane. Sono davvero lontani i tempi in cui l’Europa poteva essere vista come una sfida globale agli Usa: tocca ad altri rimettere in moto la storia, mentre il vecchio continente non è che un cascame delle sue stesse speranze.
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