Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un interessatissimo articolo
che Peter Kellner, commentatore e opinionista del “Guardian”, ha
dedicato a una dichiarazione del segretario del Partito Laburista, Ed
Miliband: se dovessi diventare primo ministro, ha detto Miliband,
prenderei seriamente in considerazione l’opportunità di ripubblicizzare
parte della rete ferroviaria britannica.
Dopo avere spiegato che l’ala sinistra del Partito preferirebbe che
l’intera rete tornasse in mano pubblica, l’autore dell’articolo rivela
che, secondo un sondaggio condotto da YouGov nel novembre 2013, due
elettori inglesi su tre sarebbero favorevoli a una scelta che andasse in
tale direzione.
Tutto bene allora? Congratulazioni per l’intuito politico di
Miliband? Niente affatto, perché subito dopo Kellner aggiunge che non
basta appurare se gli elettori condividono una determinata decisione
politica: occorre anche valutare le conseguenze di tale decisione
sull’immagine complessiva del partito che la compie. E qui le cose si
fanno divertenti, per non dire paradossali. Nessun problema, scrive
Kellner, se a guidare il Labour fosse oggi l’ala sinistra che è sempre
stata, tuttora è e probabilmente sarà in futuro incline a scelte
politiche anti mercato, ma Miliband non è un leader veterosocialista e,
pur collocandosi a sinistra di Tony Blair, ha sempre dichiarato di
appartenere a una cultura politica “pro-business”, per cui la sua
dichiarazione appare contraddittoria e, soprattutto, rischia di
“rovinare” ulteriormente la reputazione di una forza politica che (e qui
cita un altro sondaggio) viene percepita dai cittadini britannici come
“ambigua” (il 27% la considerano pro business, il 21% anti business e il
30% si dicono incerti).
E ora arriva il bello: Kellner, dopo avere ammesso che la ri
nazionalizzazione sarebbe probabilmente la decisione giusta dal punto di
vista dell’interesse generale, invita Miliband a fare marcia indietro
perché questa scelta potrebbe favorire la propaganda dei Conservatori
che lo dipingono come un anticapitalista, rischiando quindi di fargli
perdere le elezioni. Se a decidere la ri nazionalizzazione fossero i
Conservatori (che ovviamente non lo faranno mai!) riceverebbero il
plauso generale, ma se fossero i Laburisti si esporrebbero a dure
critiche ideologiche. Non potrebbe essere detto meglio: nell’era della
mediatizzazione della politica, dei sondaggi e della manipolazione
dell’opinione pubblica, il compito della politica non è quello di fare
le scelte giuste per promuovere l’interesse dei cittadini, bensì di fare
scelte che consentano di ottenere più voti, allo scopo di occupare una
stanza dei bottoni da considerarsi fine a se stessa e non strumento per
realizzare determinati valori, progetti, ecc.
Niente di nuovo si dirà. Vero, ma sentirlo dire in questa forma
diretta e cinica (che rispecchia, rovesciandone il segno ideologico, le
affermazioni secondo cui le “riforme” – leggi le scelte politiche contro
gli interessi delle classi subordinate – possono essere fatte solo dai
partiti “di sinistra”), fa comunque un certo effetto. E soprattutto
suona a conferma del fatto che viviamo ormai in un sistema
postdemocratico, nel quale contano ormai solo gli interessi delle lobby
finanziarie, legittimati dal “pensiero unico” veicolato dai media,
nonché da partiti sempre più intercambiabili (e alleati nel fare
“riforme” costituzionali che non consentano a nessun’altra forza
politica di insidiarne l’egemonia).
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