Come noto, la Ue ha erogato 10
miliardi di aiuti per risanare l’economia cipriota, affetta da squilibri
finanziari in pericolosa crescita (il rapporto fra deficit e PIL è del 6,3% nel
2011, ed accelera notevolmente un rapporto debito pubblico/PIL ancora solido,
pari all’84% a settembre 2012, che però con i 10 miliardi di aiuti balzerà a
più del 100% in un colpo solo) ma soprattutto da un sistema bancario indebolito
dalla forte esposizione con Paesi in crisi come la Grecia, che ha risentito dei
vari haircut che il governo greco ha dovuto imporre ai propri creditori esteri,
e dal fortissimo, e sempre meno solvibile, debito privato dei residenti.
La situazione del sistema
bancario cipriota è in effetti in bilico, seppur ancora equilibrata: a fronte
di 58,8 miliardi di capitale e riserve, e di 107,2 miliardi di depositi, le
banche dell’isola hanno in essere 104,1 miliardi di prestiti, 1,7 miliardi di
debiti obbligazionari e 37,4 miliardi di altri debiti. Le banche cipriote
detengono in pancia 12,5 miliardi di titoli, dei quali 1,4 sono pericolosissimi
titoli del debito pubblico greco, praticamente spazzatura, cui vanno aggiunti
2,2 miliardi di prestiti a soggetti non finanziari greci (essenzialmente
imprese) di difficilissima recuperabilità, che vanno ad aggiungersi alle
perdita già subite sulla Grecia da parte delle banche di Cipro. Di conseguenza,
il rapporto fra capitale, riserve e depositi, da un lato, ed impieghi, debiti
di vario genere e titoli-spazzatura detenuti, dall’altro, è quasi di 1 a 1
(1,15), un valore ancora equilibrato ma che segnala comunque alcune tensioni.
Circa 3,6 miliardi di attività nei confronti della Grecia possono già considerarsi
sofferenze [1].
I 5 più importanti affidati del sistema bancario cipriota, nel 2011, detengono
il 61,5% del totale del credito erogato, a fronte, ad esempio, del 39,5% in
Italia o del 48,3% in Francia, o ancora del 44,1% in Gran Bretagna. Ciò significa
che se anche solo uno di questi 5 grandi affidati fallisce, il sistema
creditizio cipriota fa la fine dell’omerica Troia.
Di fronte a tale situazione, vi è
un debito privato elevatissimo: il debito delle famiglie cipriote è pari al 170,9%
del reddito disponibile lordo, a fronte di una media del 99,8% per l’area-euro
nel suo insieme; il debito delle imprese non finanziarie è pari al 156% del
PIL, a fronte del 103,8% della media dell’area-euro. Questa condizione di
elevatissimo debito privato, in una fase in cui l’economia decelera, per cui il
PIL nazionale è in costante diminuzione da giugno 2011 ad oggi, e nel 2012 ha
accusato un calo, in termini reali, del 3,3%, è una vera e propria bomba ad
orologeria per il sistema bancario dell’isola, perché, non generandosi risorse
aggiuntive per ripagare il debito, l’elevatissima esposizione di famiglie ed
imprese rischia di tradursi in una catena di insolvenze tale da mettere in
ginocchio l’intero sistema.
Di fronte a questa situazione
delicatissima, cosa fa la Ue? Chiede di attuare un prelievo forzoso sui
depositi bancari! Una medicina che finirà di uccidere il malato, anziché
risanarlo. E qui la questione di essere favorevoli o meno ad una imposizione
patrimoniale non ha niente a che vedere. Qui il punto fondamentale è vedere se,
nella specifica situazione, il rimedio imposto può guarire il male, o se
viceversa lo peggiora.
Il prelievo sui depositi, infatti, peggiora il già
delicato rapporto fra disponibilità ed erogazioni, ed aumenta il rischio di
insolvenza di numerosi piccoli affidati nazionali, che utilizzano i loro
risparmi bancari per coprire mutui e prestiti ottenuti. Nel medio periodo,
poiché furbate come l’attuazione del prelievo forzoso in una giornata di
festività nazionale ed a banche chiuse non possono durare a lungo, ed i
controlli amministrativi sulle uscite di capitale non possono bloccare del
tutto le fughe, ma soprattutto poiché peggiorerà l’affidabilità delle banche
cipriote nei confronti di quei grandi investitori (soprattutto russi) che
depositano grandi somme sfruttando una fiscalità particolarmente vantaggiosa e
condizioni bancarie favorevoli, ci potrà essere una erosione dei depositi, ed
una fuga di capitali, tale da distruggere il sistema bancario cipriota, e più
in generale il modello economico che Cipro ha costruito in questi anni, fatto
di imposte molto basse e numerosi incentivi per favorire l’afflusso di
capitali, non di rado derivanti dal riciclaggio di denaro sporco da parte di
magnati dell’Europa dell’Est.
Per un Paese che deve il suo
benessere economico agli ingenti flussi di denaro che entrano nel suo circuito
bancario (si stima che i magnati e la criminalità russa abbiano depositato nel
Paese 20 miliardi di euro, una cifra superiore al PIL nazionale, pari a soli 17,9
miliardi) ed agli investimenti esteri di vario tipo allettati da condizioni
fiscali interessanti (non a caso, infatti, un’altra parte degli obblighi che il
Paese dovrà accettare riguarda l’aumento dell’imposizione sugli utili societari
dal 10% al 12,5%) una misura come quella del prelievo forzoso sui depositi bancari è semplicemente la fine.
Senza contare che gli aiuti dell’ESM contribuiranno a far salire fino al 107%
del PIL un debito pubblico che finora era dell’84,4%, creando le basi per un
successivo attacco speculativo sui titoli del debito pubblico nazionale, il cui
conseguente calo nelle quotazioni danneggerà ulteriormente l’attivo
patrimoniale delle banche cipriote che li detengono.
La stessa concessione di
azioni delle banche ai risparmiatori ciprioti tosati dal prelievo forzoso,
promessa da un Governo immediatamente in difficoltà di fronte alle proteste
popolari, appare quindi come un atto beffardo: con i soldi estratti dai loro
conti, i cittadini ciprioti diventano forzosamente soci di istituti bancari
destinati al tracollo.
Poiché il vero problema di Cipro
è che gli enormi afflussi di capitale estero non hanno alcuna significativa
ricaduta produttiva sul suo tessuto economico, per cui il tenore di vita delle
famiglie è sostenuto dall’ingente debito privato alimentato dai capitali esteri
che affluiscono nelle sue banche, una reale soluzione di “salvataggio” di un
Paese con finanze pubbliche ancora relativamente sotto controllo non passa
attraverso un maxi prestito che fa immediatamente balzare verso l’alto il
rapporto debito/PIL, né ovviamente su un prelievo forzoso generalizzato, mirato
solo a destrutturarne ulteriormente il sistema bancario.
La soluzione avrebbe
dovuto essere quella di disincentivare i flussi di capitale in entrata
puramente finanziari, incentivandone un utilizzo produttivo, applicando, da un
lato, forti aumenti fiscali sui depositi di grande entità, di titolarità di non
residenti o di residenti da poco tempo (i famosi magnati russi che hanno preso
la nazionalità cipriota per gestire meglio i loro conti nelle banche
dell’isola) e/o che fossero caratterizzati da elevati livelli di movimentazione
in entrata/uscita, e dall’altro applicando forti agevolazioni fiscali per i
capitali bancari reinvestiti in attività produttive reali, anche facendo
svolgere alle stesse banche nazionali il ruolo di facilitatori della nascita di
nuove iniziative imprenditoriali endogene, banche che avrebbero in questo modo
potuto guadagnare sui prestiti concessi alle nuove iniziative. Infine, un serio
controllo internazionale sull’effettiva applicazione delle normative di
trasparenza bancaria e di antiriciclaggio solo formalmente condivise da Cipro,
e severe sanzioni, ad esempio nei trasferimenti finanziari di varia natura che
la Ue eroga per tale Paese, servirebbe per contribuire ad eliminare l’anomalia
cipriota, senza distruggerne l’economia.
Il sospetto è che dietro a tale
manovra non vi siano interessi economici, ma eminentemente politici e
strategici.L’impatto di un eventuale fallimento cipriota sui mercati finanziari
dell’area Ue sarebbe limitatissimo: tutti i soggetti residenti nella Ue
detengono appena 19,2 miliardi di depositi presso le banche cipriote (la
Germania in particolare detiene 4,7 miliardi), mentre i prestiti erogati a
banche cipriote da parte di soggetti residenti nell’area-Ue sono quasi
inesistenti. Il debito pubblico totale è
pari a soli 15 miliardi di euro, ed ovviamente solo una parte è detenuta da
creditori residenti in altri Paesi della Ue, quindi l’eventuale perdita su
crediti allo Stato cipriota, in caso di tracollo definitivo della sua economia,
sono trascurabili. In ciò si spiega la rassicurante dichiarazione del nostro presidente
della Consob, che intanto ci dice che il prelievo forzoso non sarà replicato in
altri Paesi: serve infatti per aggredire una situazione specifica, ovvero la
presenza di una sorta di paradiso fiscale in mezzo al Mediterraneo, che attira
capitali, spesso di dubbia provenienza, dall’Europa dell’Est. E poi ci dice che
la reazione dei mercati finanziari, che alla notizia del piano cipriota hanno
fatto di nuovo correre gli spread e calare gli indici di borsa, è tutto sommato
trascurabile, e si calmerà in breve tempo, non appena i mercati stessi si
renderanno conto dell’inezia delle conseguenze di un tracollo definitivo della
micro-economia cipriota [2].
I vantaggi di distruggere quella
sorta di mini-paradiso fiscale che è Cipro sono, a fronte dei trascurabili
costi a carico del sistema creditizio e finanziario europeo, molto interessanti.
Si distrugge infatti un concorrente temibile nell’attrazione di ingenti
capitali, pur se di dubbia origine, provenienti dalla Russia, di cui gli
istituti di credito tedeschi, francesi, spagnoli, britannici, italiani, ecc.
hanno disperato bisogno, in questa fase di grande difficoltà nel
ricapitalizzarsi.
Ma i vantaggi sono soprattutto di
tipo politico, e non economico. Da un lato, la Germania può fare il favore,
alle sue banche e società finanziarie, di distruggere il concorrente cipriota,
senza dare all’opinione pubblica interna la pericolosa sensazione di
finanziare, con denaro anche tedesco, il salvataggio di un “paradiso fiscale”.
Il che sarebbe un rischio enorme per il Governo democristiano/liberale della
Merkel, che sta per entrare in campagna elettorale assediato, da una parte,
dalla Spd, e dall’altra dal neo costituito partito anti-euro, che sembra
acquisire consensi crescenti proprio negli ambienti liberali che sinora
appoggiavano il Cdu.
Ma d’altro lato Cipro, per la sua
posizione strategica nel Mediterraneo, e per la sua amicizia con la Russia
(Putin, l’anno scorso, ha erogato al Governo cipriota un prestito di 2,5
miliardi di euro al tasso favorevole del 4,5%, proprio per evitare che Cipro
passasse sotto la graticola comunitaria) è un luogo strategico. Il legame fra
Cipro e Russia consente alla cerchia di oligarchi vicini a Putin di esportare i
propri capitali a condizioni molto favorevoli, contribuendo a cementare un
potere da sempre inviso, specie agli USA, perché è il perno di un blocco
geopolitico ostile agli interessi statunitensi (ed europei), che appoggia Assad
in Siria o il regime iraniano.Tale legame crea anche preoccupazioni relative
alla possibilità, per la Marina militare russa, di godere finalmente di un
appoggio logistico nel Mediterraneo (problema già affrontato ai tempi in cui il
leader maltese Mintoff amoreggiava con un Gheddafi filo-sovietico).Ed infine,
l’area di influenza russa su Cipro crea inquietudini su chi sarà il fruitore dei cospicui giacimenti di gas
naturale scoperti nel sottosuolo e nelle acque territoriali cipriote. Non a
caso è proprio Putin a strepitare contro il prelievo forzoso imposto a Cipro.
Come si vede, dunque, la
possibilità di destrutturare l’economia “bancarizzata” cipriota, ed i suoi
rapporti preferenziali con la Russia, riveste un carattere strategico, nello
schacchiere imperialistico, che va ben al di là delle questioni di un “bail
out” finanziario, e per il quale Cipro può bene essere sacrificata. Insieme al
suo popolo.
Ma ciò che colpisce
negativamente, in questa vicenda per certi versi esemplare, è la totale assenza
di una qualsiasi capacità, da parte della Trojka, di condurre politiche
economiche che siano effettivamente mirate non alla distruzione, ma alla
ricostruzione su basi più robuste della pericolante economia europea e del suo
fragile sistema creditizio. Non è su queste basi che sarà possibile uscire
dalla crisi con un’Europa più unita e coesa. Non sono queste le politiche che
possono costruire un percorso di unificazione politica europea condiviso e
accompagnato dai popoli, e non disegnato a tavolino da una élite.
[1] Dati
Bce, aggiornati a gennaio 2013.
[2]
Se è vero che, da stime Goldman Sachs, un prelievo dell’8,5% sui conti correnti
bancari italiani genererebbe 127,5 miliardi di euro di gettito, sufficiente per
coprire da solo quasi tre manovre finanziarie annuali, gli effetti di fuga del
risparmio bancario, con l’esigenza di ricapitalizzare le banche indebolite
anche con risorse pubbliche, nonché le conseguenti turbolenze sui mercati
finanziari lasciano pensare che molto difficilmente una
simile misura sarà replicata fuori da Cipro (a meno, ovviamente, di situazioni
di degrado economico e di finanza pubblica tali da renderla obbligatoria).
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