di Sciltian Gastaldi - Il Fatto Quotidiano
Sarà certamente un marzo da ricordare, per i futuri storici di questo
2013. Il 10 di questo mese Beppe Grillo aveva dato una botta micidiale
alla sua filosofia della democrazia diretta online, annunciando con un
cinguettio su Twitter che non ci sarebbe stata nessuna consultazione
online con la base degli elettori M5S per decidere se appoggiare o meno
gli 8 punti programmatici di Pier Luigi Bersani.
Oggi, infine, dal blog di Grillo parte il definitivo requiem per il principio della democrazia diretta online:
“Da mesi orde di trolls, di fake, di multinick scrivono con
regolarità dai due ai tremila commenti al giorno sul blog. Qualcuno
evidentemente li paga per spammare dalla mattina alla sera. Questi
schizzi di merda digitali si possono suddividere in alcune grandi
categorie. Quella degli “appellanti” per la governabilità per il bene
del Paese, del “votaBersani, votaBersani“, o del “votaGrasso,
votaGrasso” (l’unico procuratore antimafia estimatore di Berlusconi).
Quella dei “divisori“, venuti per separare ciò che per loro è
oscenamente unito, che chiedono a Grillo di mollare Casaleggio, al M5S
di mollare Grillo e a tutti gli elettori del M5S di mollare il M5S per
passare al sol dell’avvenire delle notti polari del pdmenoelle. Quindi
arrivano, di solito nel tardo pomeriggio, i cosiddetti “ex” [...]“
Grillo considera la democrazia diretta online pura e salvifica
soltanto fin quando si presenta sotto forma di condivisione del suo
personale pensiero. Non appena sorgono critiche, dubbi, distinguo o
contrasti, ecco che la scatola magica della democrazia diretta si
trasforma in “schizzi di merda digitali”, come titola elegantemente il
suo post di oggi.
Anche io non ero persuaso che milioni di persone non competenti
potessero improvvisarsi tuttologi e determinare una linea politica di
una nazione, ma ora che sappiamo dal più grande sostenitore della
democrazia diretta online che esistono “orde ti trolls, di fake, di
multinick” che si permettono di inquinare la libera espressione di
pensiero, possiamo mettere da parte questo giochino e tornare al
concetto di democrazia rappresentativa, dove per lo meno chi la pensa in
modo diverso dal tuo te lo dice in faccia e non si nasconde dietro un
fake.
In attesa di Gaia, delle apocalissi, della democrazia della rete preconizzata da Beppe Grillo
e Gianroberto Casaleggio, dobbiamo accontentarci di quella che abbiamo.
Il peggiore di tutti i sistemi tranne gli altri, come noto (dove tra
gli altri, per il momento, dobbiamo includere la democrazia del web).
Beppe
Grillo non ama il contraddittorio. Preferisce la modalità di
comunicazione top-down, palco-pubblico. Che funziona bene quando
dall’altra parte ci sono masse adoranti ed entusiaste, invece che
capannelli di discussione. Ora se la prende dal suo blog contro gli “schizzi di merda” digitali che sarebbero i commenti che gli chiedono di sostenere il Pd, che sostengono che Pietro Grasso e Renato Schifani non sono la stessa cosa, che annunciano di smettere di votare 5 stelle e così via.
Poi
il leader critica i media che scorrono i commenti, scelgono quelli più
adatti alla tesi che devono sostenere e annunciano che “il popolo del
web si spacca”. Su questo ha ragione. Perché i media non riescono
(ancora) a raccontare la politica che passa per il web. Ma è stato anche
lo stesso Grillo, che considera il web una divinità da venerare e non
uno strumento, ad averli sobillati enfatizzando tanto spesso la
democrazia della rete.
Gli errori che compiono i media sono dovuti
agli stessi equivoci che spingono Grillo a considerarsi l’apice della
democrazia dal basso invece che un leader monocratico.
1. Il popolo del web non esiste. Su Internet ci andiamo tutti. Tutti abbiamo un account Facebook,
centinaia di migliaia di persone sono su Twitter. Quando i giornali
parlano del “popolo del web” o quando Grillo parla della “Rete” dicono
entrambi una cosa assurda. E’ come dire “il popolo della Metropolitana”,
“le masse di tram”, “la classe dei pedoni”. Non c’è un particolare
gruppo di italiani che frequenta Internet. E “la Rete” non esiste
separatamente da coloro che la usano.
2. Le statistiche valgono anche in Rete.
Ai giornali e alle tv piace molto lanciare “sondaggi” on line e poi
presentarne i risultati come se fossero derivanti da sondaggi veri. Non
hanno alcuna valenza statistica, i campioni non sono rappresentativi e
non c’è lavoro sui dati. Grillo ha contribuito in modo rilevante a far
passare l’idea che in rete valgano regole diverse che nel mondo reale
(per esempio lui considera i suoi 30mila votanti a parlamentarie chiuse
come un esempio migliore dei 3milioni alle primarie del Pd). Invece le
regole sono le stesse. Se io urlo dalla finestra “Pensate che il
movimento 5 stelle debba allearsi con Bersani?”, magari due passanti mi
rispondono di sì, uno di no e uno tace. Ma non per questo posso dire che
il 50 per cento degli italiani è a favore dell’alleanza Pd-M5S. Per le
stesse ragioni non ci si può affidare ai commenti di un blog come
termometro statistico.
3. Le orde di troll e quelle dei guerrieri della verità.
Se un commentatore sostiene la tua tesi è un onesto cittadino che cerca
di far trionfare la verità, se dice cose sgradevoli è un troll (che per
i profani significa un commentatore che ha l’obiettivo di boicottare la
discussione invece che contribuirvi). Questo schema mentale vale sia
per Grillo che per i crociati anti-grillini che vedono dietro ogni
critica un complotto dell’onnipotente azienda Casaleggio e associati.
Per quel che vale la mia esperienza, molti commentatori ossessivi
compulsivi che insultano gli altri e intasano di volgarità il nostro
sito difendono Grillo e il M5S. Ma non saprei dire se sono orde di troll
o di guerrieri del bene.
4. La Rete non ha un cervello.
Quando i parlamentari grillini affermano “chiederemo alla rete chi
votare come presidente della Repubblica” dicono, semplicemente,
un’idiozia. Cosa pensereste di un deputato Pdl che dicesse “Chiederemo
alla strada chi indicare”. O di uno del Pd che affermasse “faremo
scegliere all’illuminato popolo dei giornali tra Prodi e Amato”? Direste
che sono ingenui, ubriachi o in malafede. La Rete non ha un cervello,
le consultazioni in web sono sempre meno democratiche di quelle
“fisiche” perché è enormemente più facile alterarle. L’unico vantaggio
che hanno è di essere potenzialmente aperte a tutti. E infatti Grillo,
quando ha dovuto fare una consultazione virtuale con un effetto concreto
(le parlamentarie), le ha chiuse il più possibile.
5. Ma le persone sì.
Google ha imposto un nuovo paradigma: non è vero ciò che è vero ma ciò
che la maggioranza pensa che sia vero. Il motore di ricerca non ti offre
la risposta giusta, ma quella che pensa tu stia cercando sulla base
delle richieste degli altri. Ma il fatto che molte persone siano
convinte di qualcosa (tipo che la crisi è tutta colpa del Bilderberg,
del signoraggio, degli ebrei, della Trilaterale, degli alieni, o che i
vaccini fanno male e che abbiamo micorchip sotto pelle impiantati dalla
Cia…) non significa che sia vero. Essere connessi non rende
intelligenti. Ma avere a disposizione tutte le informazioni del mondo
però toglie molti alibi agli stupidi, agli ignoranti, alle persone
volgari.
6. I rappresentanti rappresentano.
Quando il Movimento 5 stelle ha deciso di diventare un partito (e non
dite di no, c’è anche lo statuto registrato dal notaio e ci sono i
gruppi parlamentari) ha implicitamente accettato le regole della
democrazia rappresentativa. Se io voglio sapere la posizione del Pd su
qualcosa, ascolto Bersani oppure uno degli altri eletti o dirigenti
titolati a parlare a nome del partito. Perché nella democrazia
rappresentativa loro rappresentano, con tutte le approssimazioni che
sappiamo, le idee di chi si riconosce nel centro sinistra. Ma se io
chiedo qualcosa a un deputato del Movimento 5 stelle, quello di solito
risponde citando “Beppe” oppure dice che decide la Rete o cose così. Non
c’è altra informazione ufficiale che non i post del leader. E, non
essendoci alcun processo decisionale esplicito, è impossibile avere
informazioni se non dal sito. Ma se tutto passa da lì, come può stupirsi
Grillo che i giornalisti considerino i commenti ai post più rilevanti
delle dichiarazioni fumose dei suoi eletti?
E ora apro l’ombrello,
perché mi pare di sentire le orde di troll in marcia verso questo post,
pronte a sommergermi dei suddetti schizzi.
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