Tutti i più grandi giornali internazionali vedono nell’affermazione del Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche italiane, una chiara espressione del popolo italiano contro le politiche di “austerity” imposte dalla Germania.
Che poi tali politiche siano pienamente avallate da decenni da tutta la
classe politica italiana ed in qualche modo, da un punto di vista
sostanziale, siano perfettamente confacenti alle scelte obbligate a cui
il paese si trova di fronte permanendo nel sistema monetario unico,
questo conta poco. Perché si, è vero che questa classe politica è la principale responsabile dello sfacelo in cui ci troviamo, ma il punto nodale è che tale sfacelo non è determinato, così come ciancia Grillo da
anni, semplicemente da corruzione, rimborsi elettorali, privilegi di
casta e vitalizi. Certo si tratta di cose assolutamente inaccettabili e a
cui andrebbe trovato un rimedio in tempi rapidi. Ma il problema deldebito pubblico italiano è tale, e questo Grillo non
lo spiega né lo ha mai detto, principalmente perché il paese si trova
nell’Euro ed essendo costretto a vincoli di bilancio (3% deficit-Pil con
ilTrattato di Maastricht, pareggio di bilancio dal 2013 con il Fiscal Compact),
l’unica strada percorribile, nella condizione data è in poche parole
“l’agenda Monti” (svalutazione salariale, armonizzazione del mercato del
lavoro agli standard tedeschi, limitazione dei diritti e delle tutele,
innalzamento età pensionabile, tagli a scuola e sanità, (s)vendita del
patrimonio pubblico ecc. ecc.).
Infatti anche secondo quanto afferma in un’intervista allo Spiegel, Peter Bofinger,
economista e consulente del Governo Tedesco: “Rispetto ad altri paesi
(gli interessi, ndr) sono troppo alti.[Nonostante] il deficit di
bilancio è il secondo piu' basso dopo quello della Germania. Il
deficit britannico è 4 volte quello italiano, tuttavia gli interessi sul
debito pubblico sono solo al 2%, mentre l'Italia deve pagare il 6%”.
Allora perché l’austerity e le politiche restrittive? Semplice: (sempre
con le parole di Bofinger) “la Gran Bretagna è indebitata in Sterline e
ha una banca centrale che è disposta ad acquistare titoli di stato in maniera illimitata.
L'Italia a causa della sua appartenenza all'unione monetaria non lo può
fare. E' in una situazione fondamentalmente diversa, che anche con le
drastiche misure di risparmio e con le riforme strutturali del governo
Monti non potrà essere cambiata. Il problema è sintomatico della crisi
Euro. Il governo tedesco fino ad ora ha sostenuto che i governi dei
paesi in crisi devono risparmiare in maniera ferrea: i mercati avrebbero
riconosciuto lo sforzo e fatto scendere il tasso di interesse. E' una
illusione. Anche se gli stati della zona Euro risparmiano, avviano le
riforme strutturali e fanno quanto viene loro richiesto, restano a
rischio fallimento”.
E’ quindi facile intuire come il problema non è tanto dovuto ad una
situazione disastrosa dei conti pubblici, ma quanto al fatto che
l’Italia è agganciata ad economie più forti, più competitive, con una
maggiore produttività del lavoro, una maggiore flessibilità del mercato
del lavoro e un’inflazione più bassa. Il tutto si ripercuote
negativamente sulla bilancia dei pagamenti e questo genera una spirale
di indebitamento privato (aziende e famiglie) che si ripercuote
successivamente sul debito pubblico (la storia economica del nostro
paese degli ultimi 10 anni).
Di questo il Signor Grillo e il suo “guru” Casaleggio non parlano. E non ne parlano nemmeno i neo eletti deputati e senatori “grillini”, né tantomeno chi ha votato il Movimento 5 Stelle a queste ultime elezioni. Il sentimento più comune che ha spinto quasi 9 milioni di italiani a
scegliere i 5 Stelle, non è dunque la consapevolezza della dannosità
intrinseca della “moneta unica” e del capestro determinato dai Trattati,
quanto un sentimento di protesta e di rifiuto nei confronti della
classe politica che ha governato l’Italia fino a questo momento.
Pertanto
appare evidente come in realtà il rifiuto delle politiche di austerity,
è un sentimento implicito, sepolto sotto il cumulo di terra del
dibattito sulla “casta” e sui privilegi di politici e classe dirigente.
In questo modo non solo Grillo raccoglie consensi, ma tiene a bada e
lontani dalla discussione pubblica i veri temi scottanti che potrebbero
generare un’ondata antieuropeista molto consistente nel nostro paese.
L’elusione del dibattito sui temi dell’Europa, comprensibile nelle forze
politiche che hanno determinato la condanna di questo paese alla
destrutturazione del mercato del lavoro e del welfare con le scelte
scellerate di fine anni ’90, appare impensabile in un Movimento che a
parole si autodefinisce per il cambiamento. Il fatto eclatante, per
esempio, che ancheazzerando completamente i “costi della politica”,
vale a dire eliminando totalmente dalle voci di spesa statali tutti i
corrispettivi economici destinati al personale politico del paese , il
risparmio sarebbe talmente ridicolo che con esso non si riuscirebbero a
pagare nemmeno gli interessi sul debito di un anno (che sfiora
attualmente gli 80 miliardi), non solo viene taciuto da Grillo e dai
suoi attivisti, ma non viene preso nemmeno in considerazione.
Il problema dunque è sistemico, macroeconomico e non è pensabile proporre di risolverlo con piccole operazioni come quelle sbandierate da Grillo,
per quanto condivisibili da un punto di vista etico e della giustizia
sociale. I problemi perduranti della crisi mondiale, infatti, sono
ingigantiti dall'appartenenza ad un sistema rigido come quello europeo
per un paese con i fondamentali dell'Italia e questo nel dibattito
pubblico, a destra come a sinistra, sopra o sotto (come dicono i 5
Stelle) non compare. E benchè il “volpone” del comico genovese in
campagna elettorale abbia lanciato qua e là qualche slogan contro
l'Europa, benchè sbandieri ai quattro venti una politica economica
diversa per l'Italia, niente di concreto, in quanto a proposte, appare
all'orizzonte.
Se a questo aggiungiamo che la quasi totalità dell'elettorato italiano
ha votato per formazioni politiche palesemente pro-Euro che hanno
annichilito per anni e anni il dibattito sulla questione, paventando
disastri economici inimmaginabili per il paese se si uscisse dalla
moneta unica (e questo quantunque la storia economica semmai dimostra il contrario),
appare abbastanza chiaro come le elezioni politiche di questo fine
febbraio 2013 non hanno rappresentato dal punto di vista della
percezione popolare nessun sostanziale cambiamento in quanto a
considerazione, comprensione e consapevolezza delle risultanze sociali
ed economiche della crisi. Il tutto viene completato da un quadro
europeo, che proprio grazie ai ritmi imposti da crisi e mercati,
continua aderodere dalle fondamenta la sovranità dei paesi aderenti soprattutto in materia di bilancio e di politica economica. Infatti, con l'implementazione del cosiddetto two-packs, ogni “Legge di Stabilità” dovrà essere approvata (vidimata) dalla Commissione Europea e da un parere consultivo del Consiglio Europeo, che,
nel caso non fosse aderente alle direttive orchestrate nei piani alti
di Bruxelles o aderente ai trattati, può essere respinta.
In Europa, anche in Germania, il dibattito sui costi dell'Euro comincia a
diventare montante. Da questo punto di vista le elezioni italiane hanno
certo dato un segnale. Ma non è quello che tutti si aspettavano. Perché
se in paesi come Spagna e Portogallo, i movimenti di
protesta sono perfettamente orientati contro le politiche della Troika, i
Trattati europei e la moneta unica, in Italia, l'unico movimento
politico di “protesta” è rappresentato appunto dal Movimento 5 Stelle,
che a parte qualche vago richiamo ad un “Referendum sull'Euro”
(peraltro incostituzionale), non affronta i temi cruciali della crisi.
Anche quando Grillo parla di “rinegoziazione del debito”, non
spiega in che modo il Governo italiano possa operare in tal senso legato
com'è mani e piedi dai Trattati europei e dagli accordi internazionali.
E proprio mentre i disastri delle politiche della Troika mostrano i propri funesti effetti sulla Grecia(che è il destino di tutti i paesi della cintura mediterranea), proprio mentre anche la Francia comincia
ad accusare i colpi della crisi, proprio mentre si comprende quanto
difficilmente attuabile è una qualche politica di crescita (sola capace
nella logica perversa del sistema di garantire respiro alle economie
nazionali), ancora in Europa non esiste una sola forza politica capace
di portare alla ribalta i temi che riguardano integrazione europea,
democraticità del sistema, moneta unica, sui binari che un serio
dibattito sociale e politico meriterebbe, vista l'urgenza delle risposte
da dare.
Il dato oggettivo più evidente che l'austerity sta servendo gli
interessi dei mercati finanziari, delle banche e delle multinazionali
(pronte a spartirsi il bottino pubblico degli stati in difficoltà e a
rischio bancarotta), viene completamente sottaciuto.
Il risultato è un paese come l'Italia, fino a poco tempo fa la
terza economia del continente, piegato al ricatto dei mercati finanziari
e strozzato dagli interessi (internazionalizzazione del debito), che
perde quote di mercato e comparti industriali, in piena recessione (Pil a
-2,4%, dato 2012), con la disoccupazione in piena ascesa e che si vede
costretto dalle politiche di bilancio europee (Fiscal Compact) a
misure restrittive di spesa e di investimento pubblico per i decenni a
venire, senza la benchè minima possibilità di implementare una politica
economica capace in qualche modo di attenuare gli effetti della crisi e
di sostenere consumi e fasce deboli della popolazione pesantemente
colpiti.
Il 2013 appena iniziato a detta di molti commentatori ed analisti, sarà l'anno più duro di
quelli vissuti fino ad oggi dal 2007 e all'orizzonte le soluzioni
prospettate e le azioni già intraprese vanno nella direzione di
consentire ai paesi più forti dell'eurozona di non crollare e di
mantenere alta la competitività sui mercati internazionali, in attesa di
una ripresa mondiale (?) e che dopo le riforme strutturali, i sacrifici
lacrime e sangue, la deindustrializzazione e la svendita dei patrimoni
pubblici, l'armonizzazione dei mercati del lavoro e del sistema fiscale
dei paesi della cintura mediterranea, consentano alla locomotiva tedesca
e francese (?) di trainare il continente in un nuovo periodo di
crescita o quantomeno di stabilizzazione competitiva.
Il tutto, detto en passant, in vista del mega accordo di “libero scambio” con
gli USA di cui si sta discutendo in questi giorni, che prospetterebbe
un “blocco occidentale” rinnovato in piena competizione con i paesi BRIC
una volta che l'Europa si sia messa al passo.
A quale costo? Chi dovrà pagare il conto salato di questa trasformazione epocale?
La risposta è semplice: quando piove a bagnarsi è sempre chi sta sotto.
dal sito MEMORANDUM DI UNO SMEMORATO
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