lunedì 18 marzo 2013

Documento approvato all'unanimità dal Comitato Regionale del PdCI Calabria



pdciLe elezioni del 24/25 febbraio hanno prodotto un vero e proprio terremoto che sconvolge il panorama politico italiano.

Non c’è una maggioranza, ma dal voto emergono tre grandi minoranze. Il porcellum, che a parole nessuno vuole ma che tutti invece utilizzano a piacimento, ha fatto il suo sporco lavoro consegnandoci un Parlamento ancora una volta di nominati dalle Segreterie dei partiti, con la coalizione del centrosinistra che con il 29,55 % dei voti risulta prima e ottiene il 55% dei seggi, cioè un premio di maggioranza che arriva a più di un quarto dell’intera Camera dei Deputati (circa 170 deputati): una cosa assolutamente incostituzionale e antidemocratica. Il Pd pur essendo primo con la sua coalizione non ha vinto e si è lasciato sfuggire una vittoria che nei mesi passati sembrava dovesse essere travolgente. Ciò è stato fondamentalmente causato dal sostegno totale al governo Monti e alle sue politiche antipopolari (controriforma pensionistica, cancellazione art. 18, fiscal compact, pareggio di bilancio, IMU sulla prima casa, aumento dell’IVA, sostegno alle banche, ecc.). Il PD e Bersani, inoltre, pagano duramente la scelta di voler realizzare un’alleanza con Monti anche dopo le elezioni, dimostrando di non aver colto per nulla il malessere sociale crescente nel paese. Anche il voto di SEL risente di questa situazione di grave ambiguità ed è assai deludente, superando di poco il 3% e solo grazie al porcellum ottiene una consistente rappresenta parlamentare.

Del resto il fallimento dell’opzione centrista incardinata su Monti è la più chiara e palese dimostrazione di questa realtà.

Persino Berlusconi, che insieme a Monti è il responsabile del disastro nazionale, alcuni mesi fa aveva compreso che con Monti andava a sbattere e ne aveva preso le distanze con grande clamore, avviando una campagna elettorale come di consueto piena di propaganda e di false promesse (vedi la promessa di restituzione dell’INU o quella del condono tombale) che gli hanno consentito di ricompattare l’elettorato di destra, pur perdendo milioni e milioni di voti, arrivando quasi al 30 % alla Camera e ottenendo la vittoria al Senato in una serie di regioni determinanti tra cui la Calabria.

Il grande e unico vincitore di queste elezioni è il Movimento Cinque Stelle che, presentandosi per la prima volta alle elezioni politiche, ottiene il massimo risultato possibile diventando il primo partito alla Camera dei Deputati con il 25,55%. La demagogia e il populismo di Grillo si sono incrociati con la drammatica e crescente crisi economica e sociale che vive il paese. Il no alle politiche di rigore e di massacro sociale si è concentrato nel voto al Movimento Cinque Stelle., ma sarebbe un errore tragico considerare questo solo come un voto di protesta perché è del tutto evidente che in questo voto si manifesta una forte domanda di cambiamento radicale e si trovano molte delle istanze sociali e politiche, dai costi della politica, alle lotte contro le grandi opere e per un nuovo modello sociale e ambientale, che dovrebbero essere naturalmente terreno di lavoro, di impegno e di proposta per le forze della sinistra.

Il principale responsabile della sconfitta del Pd, del trionfo dei Cinque Stelle e della resurrezione di Berlusconi è il Presidente della Repubblica Napolitano che, invece di sciogliere le Camere nel novembre 2011, con Berlusconi praticamente annichilito e in fuga, ha voluto a tutti i costi imporre il governo Monti che con le sue politiche di tagli, tasse e attacco ai diritti e allo stato sociale ha alimentato la rabbia e la protesta popolare che è sfociata nel voto al Movimento Cinque Stelle e ha dato il tempo a Berlusconi di recuperare una parte del consenso perduto, tant’è che incredibilmente il centrodestra ha raggiunto il 29,18% e solo per poco più di 100.000 voti non è giunto al primo posto alla Camera dei Deputati.

Tra i grandi sconfitti delle elezioni va annoverata la CGIL che con la guida Epifani-Camusso si è totalmente appiattita al PD e alle sue politiche, cancellando il conflitto dal suo orizzonte, rinunciando alla costruzione dell’opposizione sociale al governo Monti e arretrando sostanzialmente nella difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori e dei ceti popolari.

Il risultato elettorale di Rivoluzione Civile è stato disastroso. Era difficile fare peggio della Sinistra Arcobaleno ma ci siamo riusciti.

I tempi strettissimi insieme alle scelte sbagliate sulle liste e sui contenuti della campagna elettorale, sono stati i fattori determinanti di questa ennesima debacle che la sinistra registra in questo paese.

Il coraggio straordinario di Antonio Ingroia che va riconosciuto, apprezzato e ringraziato non può annullare il gravissimo fallimento.

Chi ha pensato di cancellare i partiti della sinistra con i loro simboli e i loro uomini e donne pensando di sostituirli con improbabili e talora improvvisati personaggi della cosiddetta società civile ha commesso un errore grossolano.

Chi ha deciso di costruire liste e candidature calate dall’alto senza alcun tipo di radicamento nei territori, ritenendo che bastasse il nome di Ingroia e Rivoluzione Civile per coprire, come una sorta di foglia di fico, un’operazione centralistica e verticistica, ha fatto male i suoi conti.
Chi, pur criticando il porcellum e poi lo ha utilizzato nel modo peggiore possibile, oggi deve prendere atto di aver preso un abbaglio.

Chi ha posto giustamente al centro i temi dell’etica, della moralità e della legalità e poi ha ritenuto di candidare Antonio Di Pietro, dopo tutto quello che è emerso con la trasmissione Report, ha peccato di presunzione, indebolendo la credibilità dell’operazione di Rivoluzione Civile e cadendo in un’evidente contraddizione che l’elettorato ha chiaramente rilevato facendoci pagare un prezzo enorme in termini di consenso.

Alla tenaglia rappresentata dal voto utile di Bersani e dal voto di protesta di Grillo si poteva sfuggire solo con una campagna elettorale capace di mobilitare tutte le forze e tutte le energie e di coinvolgere in maniera piena e totale le diverse espressioni reali della sinistra che nel territorio, in tante regioni, continuano, nonostante tutto, ad avere una presenza riconosciuta e visibile.

Purtroppo il messaggio di Rivoluzione Civile si è rivelato assai debole, confinato com’era nella sfera pur importante della legalità e non è riuscito a parlare ai giovani e ai ceti popolari massacrati dalla crisi. Non si è affermato un profilo chiaro e netto di sinistra della Rivoluzione Civile (essere per la legalità non vuol dire essere per forza di sinistra) e non sono emersi affatto i contenuti sociali “rivoluzionari” del cambiamento di cui dicevamo di voler essere i portatori e, comunque, questi contenuti non hanno raggiunto per nulla i soggetti sociali a cui si volevano indirizzare.

Troppo poco per rompere l’assedio al nostro potenziale elettorato e per incoraggiare e promuovere il dispiegamento del massimo impegno e della massima disponibilità nella campagna elettorale.

Se poi a questo si aggiunge la presentazione di liste incolori e inodori che brillavano solo per le candidature autoreferenziali confezionate ad un tavolo nazionale, avulso dalla realtà e nel quale molti pensavano di essere già seduti in Parlamento per il solo fatto di aver ottenuto una posizione utile nella lista anche se candidati in realtà nelle quali erano illustri sconosciuti e di cui non conoscevano neanche l’esistenza.

Si dice che perseverare nell’errore è diabolico, eppure siamo riusciti a fare anche questo capolavoro visto che non ci bastava aver sperimentato tutti i limiti e gli errori di un’impostazione di questa natura, già nel 2008 con l’esperienza della Sinistra Arcobaleno.

Purtroppo come PdCI, in questi cinque anni abbiamo accumulato solo errori, ritardi, insufficienze e inadeguatezzze, consegnandoci alla tattica, al tatticismo esasperato e talvolta alla subalternità.

Si badi bene, Grillo cominciando dal 2007 è arrivato a diventare oggi il primo partito alla Camera. Noi dal 2008 abbiamo solo collezionato sconfitte e insuccessi. La colpa non può essere sempre degli altri. Evidentemente in questi anni non siamo più stati in sintonia con il sentire comune della gente, con le ansie, le angosce e le speranze del nostro popolo, a cui invece Grillo con il suo populismo è riuscito a parlare ottenendo un successo strepitoso.

Nell’attesa messianica di elezioni che ogni anno dovevano essere anticipate, abbiamo praticamente rinunciato a fare politica e a svolgere un ruolo attivo come comunisti nel paese con proposte e iniziative, salvo che in alcune determinate realtà per l’impulso dato dai compagni del territorio.

Abbiamo compiuto scelte che alla prova dei fatti e in diverse circostanze si sono rivelate disastrose. All’inizio del governo Monti incredibilmente abbiamo fatto addirittura un’apertura di credito nei suoi confronti.

Ci siamo impegnati nella costruzione della Federazione della Sinistra, salvo poi boicottarne centralmente le iniziative come avvenne per la manifestazione del 12 maggio u.s. a Roma, per poi romperla inseguendo un accordo con il PD che ci veniva presentato come se fosse già fatto e con questa certezza abbiamo partecipato alle primarie del centrosinistra, votando prima Vendola e poi Bersani.

Siamo stati successivamente informati che tale accordo è stato rinnegato dal PD, che ha manifestato la sua totale chiusura e la sua pregiudiziale anticomunista: tutt’al più ci poteva essere un’annessione. Ma non abbiamo denunciato pubblicamente il tradimento di quell’accordo.

Un errore dietro l’altro e, come nel gioco dell’oca, siamo tornati alla casella di partenza con Ingroia e con Rivoluzione Civile, nella quale c’era anche Rifondazione Comunista ma non c’era più la Federazione della Sinistra.

In tutto questo giova ricordare che quelli che spingevano per entrare nelle liste del PD sono stati gli stessi che non hanno esitato a rappresentarci nelle liste di Rivoluzione Civile in competizione con il PD: pronti sempre a candidarsi quando c’è un posto ritenuto utile, ma mai quando si è trattato di mettersi davvero al servizio e a disposizione del partito.

L’unica vera linea politica che alla fine abbiamo avuto è stata quella di affermare la necessità che i comunisti dovevano tornare in Parlamento e che senza questo sarebbe stata la fine: per assecondare questo obiettivo abbiamo cercato di non disturbare il manovratore non comprendendo che le alleanze sono il frutto dei rapporti di forza e, quindi il PdCI, poteva essere appetibile solo se considerato politicamente rilevante .

Un obiettivo certamente condivisibile ma non esclusivo: tornare in Parlamento era giusto ma non a tutti i costi, senza rinunciare, quindi, alla nostra autonomia e senza accettare alcuna subalternità.

Ebbene, purtroppo, neanche nel 2013 i Comunisti sono tornati in Parlamento, nonostante siano stati sperimentati tutti i tatticismi possibili, a conferma ancora una volta del fatto che la tattica non può in alcun modo supplire alla mancanza di una politica e al deficit di un progetto.

I risultati elettorali ci parlano di un fallimento clamoroso da cui bisogna trarre tutte le conseguenze.

Porre oggi come centrale il tema delle alleanze è assolutamente fuorviante. Oggi si tratta di tornare ad essere e a fare i comunisti nella società e nel territorio con tutti i contenuti rivoluzionari che questo presuppone. Se non riprendiamo ad occuparci dei problemi delle persone, della loro vita, del loro lavoro, del loro futuro per noi non c’è alcuna prospettiva di ripresa e di rilancio.

Occorre tornare a vivere e conoscere il dolore sociale e la sofferenza di milioni e milioni di uomini e di donne, giovani e anziani, che in questo paese non hanno lavoro, non hanno reddito, non hanno un presente e non hanno un futuro e sono costretti a vivere in condizioni di estremo disagio, povertà e disgregazione sociale.

Da qui dobbiamo ripartire se siamo convinti di continuare a tenere vivo l’impegno per la ricostruzione di un partito comunista in Italia.

Si deve ripartire dal basso, dal radicamento territoriale e sociale. Le scorciatoie non esistono e quando si percorrono si rivelano, come è avvenuto, illusorie e fallimentari.

Bisogna quindi rovesciare la scala delle priorità. Al centro il lavoro, la lotta alla precarietà e alla disoccupazione, lo stato sociale, il mezzogiorno, la scuola e la sanità pubblica, un nuovo modello sociale.

Solo così costruiremo un partito utile e capace di promuovere anche una seria politica delle alleanze.

Le dimissioni del Segretario e della Segreteria Nazionale e la decisione di convocare un Congresso straordinario sono il primo atto necessario e doveroso per aprire un confronto libero da condizionamenti e per decidere cosa si vuole fare di questa piccola comunità chiamata PdCI, alla quale ci siamo dedicati e per la quale in questi anni ci siamo spesi con passione e generosità conseguendo in talune realtà anche risultati significativi. Prendiamo atto finalmente che non siamo più autosufficienti e che questo richiede l’assunzione di scelte innovative, di svolta e di rinnovamento che finora non abbiamo avuto il coraggio di compiere.

Nulla può essere più come prima.

Il Comitato Regionale del PdCI calabrese ritiene che sia ormai assolutamente necessario ed inderogabile realizzare una nuova fase della storia dei comunisti nel nostro paese.

Bisogna prendere atto, finalmente e concretamente, che in Italia nessun partito comunista è autosufficiente.

In questo senso si propone di avviare fin da subito un percorso comune dei comunisti attraverso forme e modalità innovative sul piano politico-organizzativo che vanno costruite partendo dal basso e dai territori.

In tal senso vogliamo cominciare dalla Calabria e avanziamo questa proposta in primo luogo ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista e della sinistra diffusa che non si riconoscono più in nessuna organizzazione politica.

Lanciamo un appello a tutti/e coloro i quali pensano che è possibile promuovere e sviluppare un progetto di unità dei comunisti e della sinistra e sono interessati/e e disponibili ad offrire il proprio contributo per il successo di un tale progetto politico che possa fare tornare utili e credibili i comunisti nella società.

E’ un impresa davvero ardua e difficile, ma i comunisti hanno saputo affrontare momenti e situazioni ancora più complesse e proibitive. Con l’umiltà e la modestia che ci ha sempre caratterizzato e con la passione e l’intelligenza di cui sappiamo dare prova quando sono in causa scelte fondamentali, ci accingiamo a riprendere il nostro cammino nella certezza che la presenza una forza politica organizzata dei comunisti è sicuramente necessaria per rimettere al centro i temi del lavoro, della giustizia sociale, dell’eguaglianza e della solidarietà sociale. L’Italia ha bisogno dei comunisti.

VIBO VALENTIA, 15.03.2013
IL COMITATO REGIONALE PdCI CALABRIA

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