mercoledì 27 marzo 2013

La necessità della rottura di Francesco Piobbichi, Controlacrisi.org




Bersani o non Bersani? Elezioni o non elezioni? Una cosa è certa, a giugno per effetto delle leggi ratificate dal Governo Monti e da chi lo ha sostenuto ci sarà in Italia una nuova mazzata! Imu, Iva, Tarsu cresceranno ancora assieme alla recessione e alla disoccupazione, alla precarietà sociale ed al lavoro nero. La guerra dei ricchi contro i poveri, dei parassiti del capitale contro chi vive del proprio sudore, prevede quindi un altro capitolo di lacrime e sangue per un popolo che ha iniziato ora a capire che la crisi morde e dove è stato confinato dai suoi politicanti. Il nuovo cappio al collo si chiama "Two Pack", recentemente approvato dal parlamento di Bruxelles, prevede ulteriori cessioni di sovranità da parte del nostro parlamento a favore della Commissione Europea che potrà visionare preventivamente le nostre finanziarie e intervenire per fare in modo che il rigore dei conti possa essere rispettato. Messa così possiamo anche dire che il ministro dell'economia nel nostro paese potrebbe anche non esserci dato che le finanziarie di fatto le decideranno in Europa gli stati che contanto come la Germania. Colpisce che a fronte di questioni così importanti che riguardano il futuro di tutti noi, gli interventi in parlamento vadano in altra direzione. Almeno per ora, questa questione in Italia è completamente rimossa dal dibattito politico in parlamento. E' come se per qualche strano motivo tutti abbiano paura di agitare troppo le acque su temi così importanti. Se questo non avviene in parlamento però è altrettanto vero che questo non avviene nemmeno nelle piazze. Il livello della mobilitazione sociale in questo paese è stato azzerato, da un lato dalla delega in bianco che in molti hanno dato al movimento di Grillo, dall'altro dall'inedia della troika sindacale ( Cgil Cisl Uil) che spera nel miracolo della concertazione con il Governo amico. Male quindi, molto male, non solo perchè aumenta la crisi, ma perchè diminuiscono le lotte a fronte di una dinamica sociale che invece potrebbe determinare una loro estensione. La sinistra di classe, i sindacati conflittuali, non devono commettere l'errore di tergiversare ancora sul piano delle mobilitazioni sociali perchè l'esito della crisi in atto è del tutto imprevedibile. Ma la mobilitazione da mettere in campo non può essere basata sul riprendere il cammino fatto fino ad ora, è necessario introdurre elementi di discontiuità. Oggi non è più sufficiente essere nelle lotte e nei quartieri, se non si è identificati come gli interpreti utili della rottura sistemica il nostro lavoro sociale rischia di diventare parziale sul piano politico. Anche le forme delle mobilitazioni devono cambiare, in un paese in crisi meglio un blocco stradale che uno sciopero tanto per intenderci, meglio occupare una casa in un corteo che fare gli scontri per le telecamere. Occorre allora dire cose chiare e nette, e dirsele tutte in maniera franca. Penso che sia necessario, a partire dal piano delle mobilitazioni che metteremo in piedi nei prossimi mesi, produrre anche sul piano simbolico un orizzonte nel quale il blocco sociale stretto nella tenaglia della crisi possa riconoscersi nelle pratiche e nei contenuti. Per questo è necessario che le nostre proposte divengano bandiere nelle lotte e le nostre pratiche esempi riproducibili. Rifiuto unilaterale dei trattati europei e del ricatto del debito, recupero della sovranità nazionale, nazionalizzazione delle banche, riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, diritto alla casa, al reddito, lotta al carovita e alla disoccupazione devono divenire i terreni su cui aprire una mobilitazione in grado di produrre organizzazione e un progetto di società. Se da un lato non ci può essere pace tra il ricco ed il povero, tra il grande evasore e chi paga le tasse, tra chi licenzia e chi è licenziato, è altrettanto vero che occorre unire la partita iva e il precario, l'operaio con il disoccupato, chi vive del proprio sudore con chi difende il territorio in cui vive. Questa è la vera sfida avvincente che abbiamo davanti, riaccendere la scintilla del movimento che abolisce lo stato di cose presenti mentre il capitale continuamente opera per metterci uno contro l'altro. Se volete chiamarla rivoluzione fatelo pure, avevo in mente proprio quella cosa lì

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