L’Europa si divide in due. Da un lato i Paesi del Sud. Le cicale.
Fannulloni e pigri, non lavorano e hanno una bassa produttività,
spendono troppo per welfare e stato sociale. Sono loro i responsabili
della crisi e ora devono stringere la cinghia e accettare giusti e
inevitabili sacrifici. Dall’altra i Paesi dell’Europa del Nord, riuniti
attorno alla Germania. Le formiche. Seri, lavoratori, rispettano i
parametri europei e sono un esempio di virtù.
Una conferma arriva lo scorso 14 marzo, quando il presidente della
Bce Mario Draghi presenta alcuni dati ai capi di Stato e di governo
della zona euro [1].
Tra il 2000 e il 2012, nei Paesi dell’Europa del Nord, grosso modo
produttività e salari crescono di pari passo. Uno sviluppo armonioso
dell’insieme della società. Ben diversa è la situazione dell’Europa del
Sud: i salari crescono molto più rapidamente della produttività,
frenando la crescita e mettendo in crisi le nazioni periferiche e
l’intera Europa.
Il problema di questo ragionamento è in una piccolissima svista, segnalata sul Guardian nei giorni scorsi.[2]
Nei grafici presentati dalla Bce, la produttività viene espressa in
termini reali, mentre i salari sono indicati in termini nominali. In
altre parole, la prima serie di dati tiene conto dell’inflazione, la
seconda no. Sarebbe come dire che 50 anni fa il pane costava 1 lira al
kg e gli stipendi erano di 500 lire. Oggi gli stipendi sono di 1.000
euro, quindi si può comprare molto più pane. “Dimenticandosi” di
segnalare che il pane nel 2013 non costa 1 lira al kg.
Se si prendono dati omogenei, le cose cambiano. Parecchio. Anche
considerando un’inflazione al’1,9% annuo (obiettivo fissato dalle stesse
istituzioni europee), tra il 2000 e il 2012 occorre tenere conto di un
fattore correttivo intorno al 28%. Tenuto conto che l’inflazione, in
particolare nei Paesi del Sud Europa, è stata in media molto superiore,
la correzione da apportare è ancora maggiore. Se consideriamo
produttività e salari o entrambi al netto dell’inflazione o entrambi con
l’effetto dell’inflazione, scopriamo che in molti Paesi del Sud salari e
produttività vanno di pari passo, mentre è in quelli del Nord, Germania
in testa, che la forbice si allarga sempre di più, ma a discapito delle
retribuzioni dei lavoratori.
In altre parole, non c’è nessun eccesso di Stato sociale, nessun
diritto dei lavoratori da rimettere in discussione, nessun sacrificio da
chiedere a chi ha già pagato un caro prezzo per una crisi nella quale
non ha alcuna responsabilità. E’ dall’altra parte, nel Nord Europa, che
alcune nazioni hanno sistematicamente violato gli impegni europei, hanno
intrapreso una aggressiva politica di svalutazione salariale, e hanno
improntato i rapporti nell’UE a una competizione sfrenata sulla pelle
dei lavoratori, in barba ai proclami di collaborazione e alla stessa
idea di “unione” europea.
Con questi dati, corretti della piccola “svista” sull’inflazione, la
Bce di fatto conferma quali siano le responsabilità della crisi. Come,
prima di tutto, i mostruosi debiti creati dalla finanza speculativa
siano stati trasferiti agli Stati, poi da questi ai cittadini. Oggi non
c’è nessun altro su cui scaricarli. Siamo rimasti con il cerino in mano e
dobbiamo pagare il conto. Ed è un conto estremamente salato proprio in
termini di tagli al welfare e allo Stato sociale, disoccupazione,
precarietà e rimessa in discussione di diritti dati per acquisiti. Ma
per non farci protestare troppo ci sentiamo ripetere quotidianamente che
è pure colpa nostra. E che dobbiamo stringere la cinghia per
“restituire fiducia ai mercati”.
Ricordiamo che l’Fmi, nei suoi ultimi studi, riconosce che le
politiche di austerità in una fase di recessione non fanno altro che
aggravare i problemi. Diminuisce la spesa pubblica, quindi il Pil, e
molto spesso questo calo non è compensato da una analoga diminuzione del
debito pubblico. Il risultato, oltre a una devastazione sociale, è un
peggioramento proprio di quel rapporto debito/Pil che si pretende di
diminuire.[3]
Da un lato, quindi, la Troika continua a imporre piani di austerità e
sacrifici a mezza Europa. Dall’altro, la stessa Troika ci mostra, dati
alla mano, che le cause sono altre e che comunque le soluzioni sono
inutili e nocive. L’unica speranza è che i burocrati europei, se non
alle molteplici analisi che provengono da un numero sempre crescente di
economisti, comincino a dare retta almeno a loro stessi.
[1]
Mario Draghi – “Euro Area Economic Situation and the Foundation For
Growth” – Studio presentato all’euro summit il 14 marzo 2013
[2] Andrew Watt – “Is Europe’s central bank misleading us over who’s to blame for eurozone crisis?” – The Guardian, 27 marzo 2013.
[3] Sbilanciamoci.info – “Austerità, Blanchard fa autocritica” www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Austerita-Blanchard-fa-l-autocritica-16308
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