Il "laboratorio degli orrori" italiano sta
partorendo un nuovo mostro. Ancora non ha un nome, ma molti padri a
madri. La paralisi prima del collasso della "seconda repubblica", nata
storta e cresciuta gobba.
L'editoriale di Michele Ainis, ieri, sul Corriere della Sera, è un fermo immagine perfetto del cul de sac in cui è infilata da decenni "la politica" in Italia. Manca l'analisi dei processi - storici, economici, culturali e dunque anche politici - che hanno portato a questo punto. Ma il punto è colto.
A noi conviene invece ripensare al prima e cercare di individuare "il dopo", perché solo degli stupidi cresciuti beatamente dentro l'eterno presente possono pensare di "governare il cambiamento" senza alcuna cognizione dei processi, ovvero quella semplice considerazione per cui quello che farai domani dipende da cosa hai fatto ieri e da come lo stai preparando oggi.
La fine della Seconda Repubblica è decisamente simile alla sua nascita: paralisi della vecchia classe politica, travolta dagli scandali e dalla "fine delle ideologie", discesa in campo della "società civile" (con nuove migliaia di affamati di potere e prebende al posto di quelli vecchi, ma almeno "professionali"), retorica del "merito" e della "tecnica" come sostituti dei progetti e delle concezioni del mondo, retorica del "paese" senza differenze sociali in luogo del conflitto sociale riconosciuto e regolato anche sul piano istituzionale.
Da questo punto di vista siamo fermi a venti anni fa. Stessi discorsi e stesse parole d'ordine, con un pizzico di novità solo per quanto riguarda le "tecniche" - appunto, visto che si sono evolute - per cui un imbecille qualsiasi può dire che si può mandare avanti un paese senza governo, tanto basta fare sondaggi su internet per approvare questo o quel provvedimento. Se pensate che la definizione di "un imbecille qualsiasi" sia troppo forte, chiedetevi semplicemente "chi" presenta i provvedimenti da mettere ai voti? "Chi" li elabora? Entro quale disegno generale, dentro quale strategia di sviluppo, ogni provvedimento è stato scritto?
Dire "i parlamentari" ovviamente non basta, perché in questo modo scompaiono del tutto i processi reali in base a cui determinate "esigenze" si trasformano in progetti di legge. E non serve neppure pensare alle potenti lobby che stazionano dentro e fuori le aule parlamentari per capire nessun provvedimento di governo è mai neutrale, semplicemente "tecnico".
Tanto più in una situazione in cui gli unici vincoli ferrei posti all'azione del governo italiano - o greco, spagnolo, cipriota, ecc - sono quelli esterni. I trattati che sottraggono di fatto il controllo del bilancio pubblico al parlamento nazionale hanno anche svuotato "la politica" della sua funzione principale. Non a caso il trattato di Maastricht, che pone i primi vincoli che porteranno poi all'euro, coincide anche temporalmente con la dissoluzione dei partiti politici della Prima repubblica.
E ora? La dissoluzione interna è evidente. Così tanto che persino chi, come il Corriere della sera, l'aveva in vario modo caldeggiata e accompagnata (da qui vengono i primi e più famosi libellisti contro "la casta", poi sorpassati dai grillismi) ora ne è spaventato.
Solo i "vincoli esterni" tengono, solo le indicazioni della Troika sono "programma di governo". E, in effetti, per eseguire piattamente un compito assegnato altrove, non c'è un gran bisogno di avere un classe politica autorevole, esperta, progettante e lungimirante. Bastano degli schiacciabottoni.
O almeno questa è la tentazione. E qualcuno infatti propone di abolire anche i sindacati, in nome di un'idea di "cittadino" senza connotazioni sociali. Ovviamente è tutto molto più complicato, perché il conflitto sociale – fin qui tenuto a freno soltanto da una triade sindacale che aveva costruito se stessa come “cinghia di trasmissione” dei partiti di riferimento (Pci, Dc, Psi-Psdi, nella Prima repubblica) – va gestito, sedato con misure attive, deviato anche sul piano ideologico, altrimenti sfugge di mano. E non bastano telecamere e droni... Né consultazioni in rete.
L'editoriale di Michele Ainis, ieri, sul Corriere della Sera, è un fermo immagine perfetto del cul de sac in cui è infilata da decenni "la politica" in Italia. Manca l'analisi dei processi - storici, economici, culturali e dunque anche politici - che hanno portato a questo punto. Ma il punto è colto.
A noi conviene invece ripensare al prima e cercare di individuare "il dopo", perché solo degli stupidi cresciuti beatamente dentro l'eterno presente possono pensare di "governare il cambiamento" senza alcuna cognizione dei processi, ovvero quella semplice considerazione per cui quello che farai domani dipende da cosa hai fatto ieri e da come lo stai preparando oggi.
La fine della Seconda Repubblica è decisamente simile alla sua nascita: paralisi della vecchia classe politica, travolta dagli scandali e dalla "fine delle ideologie", discesa in campo della "società civile" (con nuove migliaia di affamati di potere e prebende al posto di quelli vecchi, ma almeno "professionali"), retorica del "merito" e della "tecnica" come sostituti dei progetti e delle concezioni del mondo, retorica del "paese" senza differenze sociali in luogo del conflitto sociale riconosciuto e regolato anche sul piano istituzionale.
Da questo punto di vista siamo fermi a venti anni fa. Stessi discorsi e stesse parole d'ordine, con un pizzico di novità solo per quanto riguarda le "tecniche" - appunto, visto che si sono evolute - per cui un imbecille qualsiasi può dire che si può mandare avanti un paese senza governo, tanto basta fare sondaggi su internet per approvare questo o quel provvedimento. Se pensate che la definizione di "un imbecille qualsiasi" sia troppo forte, chiedetevi semplicemente "chi" presenta i provvedimenti da mettere ai voti? "Chi" li elabora? Entro quale disegno generale, dentro quale strategia di sviluppo, ogni provvedimento è stato scritto?
Dire "i parlamentari" ovviamente non basta, perché in questo modo scompaiono del tutto i processi reali in base a cui determinate "esigenze" si trasformano in progetti di legge. E non serve neppure pensare alle potenti lobby che stazionano dentro e fuori le aule parlamentari per capire nessun provvedimento di governo è mai neutrale, semplicemente "tecnico".
Tanto più in una situazione in cui gli unici vincoli ferrei posti all'azione del governo italiano - o greco, spagnolo, cipriota, ecc - sono quelli esterni. I trattati che sottraggono di fatto il controllo del bilancio pubblico al parlamento nazionale hanno anche svuotato "la politica" della sua funzione principale. Non a caso il trattato di Maastricht, che pone i primi vincoli che porteranno poi all'euro, coincide anche temporalmente con la dissoluzione dei partiti politici della Prima repubblica.
E ora? La dissoluzione interna è evidente. Così tanto che persino chi, come il Corriere della sera, l'aveva in vario modo caldeggiata e accompagnata (da qui vengono i primi e più famosi libellisti contro "la casta", poi sorpassati dai grillismi) ora ne è spaventato.
Solo i "vincoli esterni" tengono, solo le indicazioni della Troika sono "programma di governo". E, in effetti, per eseguire piattamente un compito assegnato altrove, non c'è un gran bisogno di avere un classe politica autorevole, esperta, progettante e lungimirante. Bastano degli schiacciabottoni.
O almeno questa è la tentazione. E qualcuno infatti propone di abolire anche i sindacati, in nome di un'idea di "cittadino" senza connotazioni sociali. Ovviamente è tutto molto più complicato, perché il conflitto sociale – fin qui tenuto a freno soltanto da una triade sindacale che aveva costruito se stessa come “cinghia di trasmissione” dei partiti di riferimento (Pci, Dc, Psi-Psdi, nella Prima repubblica) – va gestito, sedato con misure attive, deviato anche sul piano ideologico, altrimenti sfugge di mano. E non bastano telecamere e droni... Né consultazioni in rete.
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Il bersaglio immobile
Michele Ainis – Corriere.it
Ho fatto un sogno. Bersani torna al Colle (meglio tardi che mai) e ci torna a mani vuote. Senza un «sostegno parlamentare certo» al proprio tentativo, come gli aveva invece chiesto il presidente. Sicché quest’ultimo lo accompagna alla porta, sia pure con rammarico; e si prepara a sparare un secondo colpo di fucile. Subito, perché di gran consulti ne abbiamo visti troppi, e perché di tempo non ce n’è. Dunque Napolitano individua un nuovo vate, ma nel mio sogno pure lui incespica sui veti, pure lui torna al Quirinale senza voti.
Perciò arriviamo più o meno al 5 aprile, quando mancano quaranta giorni all’insediamento del prossimo capo dello Stato. Ma intanto il vecchio presidente non ha più cartucce da sparare, né tantomeno può usare l’arma atomica, lo scioglimento anticipato delle Camere. Non può perché è in semestre bianco; il colpo di grazia, semmai, spetterà al suo successore. E nel frattempo? Stallo totale, blocco senza vie di sblocco. I partiti si danno addosso l’uno all’altro, mentre i mercati infuriano, le cancellerie s’allertano, le imprese fuggono, i disoccupati crescono, le piazze rumoreggiano. L’Italia si trasforma in un bersaglio mobile (anzi no, immobile). Il mio sogno si trasforma in incubo.
No, quaranta giorni così non li possiamo proprio vivere. Sarebbe da pazzi, un suicidio nazionale. Ma sta di fatto che il seme della follia ha ormai attecchito nella nostra vita pubblica. Il Pdl accetta patti col Pd se quest’ultimo patteggia il Quirinale: lo scambio dei presidenti. A sua volta, Bersani inaugura una singolare forma di consultazioni: le consultazioni al singolare. Ossia con singoli individui (Saviano, Ciotti, De Rita), oltre che con il Club alpino e il Wwf. Nel frattempo il suo partito discetta sull’ineleggibilità di un uomo politico (Silvio Berlusconi) già eletto per sei volte. La minuscola pattuglia di Monti viene dilaniata da lotte intestine: la scissione dell’atomo. Il Movimento 5 Stelle disdegna tutti i partiti rappresentati in Parlamento: l’onanismo democratico. E per sovrapprezzo il ministro dimissionario d’un governo dimissionario (Terzi) si dimette in diretta tv: le dimissioni al cubo.
Come ci siamo ridotti in questa condizione? Quale dottor Stranamore ha brevettato il virus che ci sta contagiando? Perché il guaio non è più tanto d’essere un Paese acefalo, senza un governo sulla testa. No, la nostra disgrazia è d’aver perso la testa, letteralmente. Stiamo in guardia: come diceva Euripide, «quelli che Dio vuole distruggere, prima li fa impazzire». Eppure in Italia non mancano intelligenze né eccellenze. C’è un sentimento d’appartenenza nazionale che non vibra unicamente quando gioca la Nazionale. C’è una domanda di governo che sale da tutti i cittadini. E a leggere i programmi dei partiti, i punti di consenso superano di gran lunga quelli di dissenso, come la legge sul conflitto d’interessi: sicché basterebbe lasciarla in quarantena per un altro po’ di tempo, in fondo la aspettiamo da vent’anni.
Una cosa, però, dovrebbe essere chiara. Se fallisce il governo dei partiti (quello incarnato da Bersani), c’è spazio solo per un governo del presidente, votato in Parlamento ma sostenuto dall’autorità di Giorgio Napolitano. Anche se quest’ultimo a breve lascerà il suo incarico, anche a costo di sperimentare l’ennesima anomalia istituzionale: il governo dell’ex presidente.
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