Sono rimasti
fuori dalla porta i disoccupati, i cassintegrati, gli esodati, l’intero mondo
del lavoro; la parte di società maggiormente impoverita dalla gestione
capitalistica
della crisi
L’illusione
del “doppio registro” e della “convenzione per le riforme istituzionali” è
caduta miseramente e il tentativo di Pierluigi Bersani si è arenato di fronte
all’assenza di una possibilità di mettere assieme, anche nella maniera più
raccogliticcia possibile una maggioranza nell’aula del senato: si era pensato,
addirittura a un’uscita dall’aula della Lega Nord per far abbassare il
“quorum”. Un bell’esempio di possibile governabilità!
Un disastro
totale per il PD, partito lancia in resta con le primarie, rimasto al di sotto
di tutte le aspettative nel risultato elettorale e rivelatosi incapace di
aggregare una maggioranza: note non liete anche per le altre forze politiche,
dimostratesi in grado di svolgere semplicemente un elevato grado di
interdizione senza sviluppare un’adeguata capacità di proposta politica.
Assisteremo
agli ulteriori sviluppi ma il dato più rilevante che emerge, comunque, da
questa vicenda riguarda la prospettiva immediata: quella del formarsi di un
“governo del Presidente”, ben diverso da quello che è stato il “governo
tecnico” e da quello che potrebbe essere un “governo istituzionale”: un
passaggio stretto e delicato, passato attraverso il rifiuto di concedere a Bersani
l’onere della prova parlamentare, che porta direttamente a una forma, anche
meno che surrettizia ma reale, di presidenzialismo (come si evince anche dalla
lettura del comunicato del Quirinale).
Un
passaggio, quindi, di ulteriore restringimento dei margini di agibilità
democratica per il Parlamento: che non può essere che sottolineato da parte
nostra con grande preoccupazione.
L’altro
elemento da portare all’attenzione è quello dell’aver riscontrato, nel
complesso del dibattito sviluppatosi tra le forze politiche nel quadro delle
consultazioni, l’assoluta assenza dei temi sociali più urgenti, sviluppandosi
tutta la trattativa attorno a nodi di carattere istituzionali concepiti
anch’essi in maniera di ulteriore riduzione dei margini di rappresentatività politica,
a partire dal dimezzamento del numero dei parlamentari o dell’abolizione delle
province: temi sui quali sarebbe necessaria una riflessione ben più
approfondita rispetto a quello che abbiamo visto esercitata in quest’occasione.
Sono rimasti
fuori dalla porta i disoccupati, i cassintegrati, gli esodati, l’intero mondo
del lavoro; la parte di società maggiormente impoverita dalla gestione
capitalistica della crisi.
Per le forze
della sinistra d’alternativa rimaste fuori dal Parlamento, in un frangente di
questo genere, che fare?
Più volte
abbiamo richiamato l’esigenza di costruzione di una nuova soggettività politica
dei comunisti e della sinistra d’alternativa: questa fase ha dimostrato come
questa esigenza appaia ineludibile e che lo spazio politico e sociale esista in
una dimensione inequivocabile, proprio partendo dalla proposizione di un’azione
politica fondata sul concetto di rappresentatività, di centralità del
Parlamento, di allargamento dei margini di iniziativa politica e proseguendo
nel riconoscere la nuova realtà della “dimensione di classe” che emerge dalla
crisi e che deve rappresentare la base di riferimento perché la protesta che
sale dal mondo del lavoro non venga raccolta in forma meramente corporativa
(come indicano i “nuovisti” della democrazia diretta, posti al di fuori dal
ruolo fondamentale dei corpi intermedi) ma sviluppata come proposta politica,
rivolta ad affrontare l’immediato ma anche a proporre l’orizzonte di una
trasformazione di sistema.
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