Lo stato d’animo non è dei migliori. Eppure bisogna cercare di essere
lucidi. E di ragionare.
Non partecipo all’orgia dei social network, sui quali si può leggere di
tutto, tranne analisi serie e l’individuazione dei veri problemi del paese e
della sinistra.
So bene di andare completamente e sempre più controcorrente.
Ma se alle analisi si sostituiscono spiegazioni superficiali e alle
proposte gli slogan invece che capirci qualcosa si finisce per non capire più
nulla. E invece di cercare la strada giusta si finisce in un labirinto. In
questo modo non si sviluppa nessuna discussione utile. Con il battibecco, con
gli scontri verbali, con gli insulti e le iperboli di tutti i tipi si distrugge
tutto e si partecipa attivamente a fomentare i peggiori istinti che covano
nella società.
Detto questo, parliamo delle elezioni. Esaminando i dati della Camera
senza voto estero e i 617 seggi attribuiti con il “porcellum”.
I votanti sono calati di 2 milioni 600 mila unità.
Il centrosinistra ha perso 3 milioni e mezzo di voti.
Il centrodestra 7 milioni e duecentomila.
Sono quasi undici milioni di voti in meno ai due schieramenti maggiori.
Il Movimento 5 Stelle ha avuto 8 milioni e 700 mila voti.
Lo schieramento di centro (nel 2008 solo UDC con poco più di 2 milioni di
voti) ha avuto 3 milioni e 600 mila voti.
Ho appositamente omesso le percentuali perché, oltre ad essere
conosciute, secondo me oscurano l’enormità degli spostamenti di voto che ci
sono stati e falsano la percezione del significato politico del voto.
Ora proviamo a guardare i risultati utilizzando un altro punto di vista.
Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno avuto circa 22
milioni e mezzo di voti. Circa il 63 % sui votanti. Nel parlamento avevano più
del 90 % dei seggi.
Ora vediamo i seggi.
Il centrosinistra con il 29,54 % dei voti prende 340 seggi pari al 54 %
dei seggi totali. Il premio di maggioranza è del 24,5 %. Quasi un raddoppio dei
seggi.
Il centrodestra con il 29,18 % dei voti prende 124 seggi pari al 20 % dei
seggi totali. Lo 0,35 % in meno determina una differenza in seggi di 216 unità.
Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno avuto 454 seggi
(senza SEL e Lega Nord) pari al 73 % dei seggi totali, contro il 63 % dei voti.
SEL con il 3,2 % conquista 37 seggi. La Lega Nord con il 4,08 % conquista
18 seggi. Prende più voti di SEL ma metà deputati rispetto a SEL.
L’UDC con l’1,78 % dei voti prende 8 seggi. Il Centro Democratico con il
0,49 % dei voti prende 6 seggi. Fratelli d’Italia con l’1,95 % dei voti prende
9 seggi. Rivoluzione Civile con il 2,25 % dei voti prende zero seggi.
Un deputato del PD vale 29603 voti. Uno di SEL 29444 voti. Uno del
PDL 75594 voti. Uno del Movimento 5 Stelle 80455 voti.
Prima di passare alle considerazioni politiche non si può non valutare il
tasso di democraticità della legge elettorale.
Si tratta di una legge altamente deformante la volontà popolare, che
quindi partorisce un parlamento non rappresentativo.
Credo basti leggere i dati che ho più sopra citato e che non sia
necessario argomentare oltre per dimostrare la giustezza del mio giudizio.
Intanto, però, questa legge è in vigore da molto tempo ed è la terza
volta che viene applicata.
Il sistema politico è stato trasformato da questa legge, i partiti si
sono modellati su questa legge, gli elettori quando pensano a votare e a
scegliere lo fanno sulla base dei meccanismi imposti dalla legge, i mass media
ne amplificano tutti gli effetti più deleteri. Quella precedente era anche
peggio. Non posso ora, per brevità, argomentare e dimostrare il perché. Come è
di gran lunga peggiore quella degli enti locali, che è presidenzialista,
ultramaggioritaria e inquinata dalle preferenze.
Vorrei ricordare a tanti che in Italia il maggioritario è stato proposto
da Segni, appoggiato dal PDS e dalla Lega (allora forza emergente), come
soluzione del problema della corruzione e come “riavvicinamento” del sistema
politico ai cittadini. Il risultato e sotto gli occhi di tutti. Più corruzione,
partiti ultrapersonali (PD e SEL compresi), distanza abissale fra sistema
politico e cittadinanza, talk show dieci volte più importanti del parlamento, e
potrei continuare.
Ovviamente non tutto quello che le ultime elezioni ci hanno messo sotto
gli occhi è dovuto al sistema elettorale. Nei vent’anni di maggioritario tutti
i diritti conquistati in decenni di lotte sono stati messi sotto attacco. Il
lavoro è stato svalorizzato, il mercato finanziario è diventato il vero sovrano
al quale i governi hanno obbedito, una generazione vive ormai ben peggio dei
propri genitori, la guerra è diventata uno strumento ordinario della politica
internazionale del paese e dell’occidente, l’istruzione e la sanità, oltre che
l’acqua e gli altri servizi pubblici, sono stati potentemente privatizzati.
Anche qui potrei continuare a lungo.
Ma tutte queste modificazioni della realtà sociale sono state possibili
attraverso le relative leggi, che anche quando hanno suscitato proteste, lotte
e resistenze, sono state approvate dal parlamento maggioritario senza battere
ciglio. Quando qualcuno si è opposto, tentando di dare voce alle lotte, è stato
accusato di voler fare il gioco dell’avversario, ricattato, diviso e ridotto
all’impotenza. I contenuti sono diventati un accessorio strumentale nella vera
contesa che era l’alternanza fra centrodestra e centrosinistra, uniti dal
feticcio della governabilità interna alle compatibilità imposte dal mercato.
L’intreccio fra maggioritario e ristrutturazione sociale sulla base dei
puri interessi capitalistici e finanziari è potentissimo.
Oggi il sistema sociale e quello politico non reggono più, di fronte alle
conseguenze della crisi. Ma la sinistra reale, al contrario di tutti gli altri
paesi europei, si è presentata all’appuntamento logorata da venti anni di
divisioni e ormai ridotta nei fatti, persino indipendentemente dalla sua stessa
volontà, esattamente alle due varianti previste per essa dalla logica del
maggioritario: quella interna al bipolarismo condannata a non influire
minimamente sulla sostanza del governo, e quella testimoniale espulsa dalle
istituzioni.
Senza tenere conto di questo contesto, cui ho accennato finora, non si
può capire la portata della sconfitta, e si finisce con lo scambiare gli
effetti per le cause o, peggio ancora, per coltivare illusioni circa soluzioni
miracolistiche dell’enorme problema con il quale ci si deve confrontare.
Tenendo conto di questo contesto, invece, si può affrontare meglio anche
la discussione circa le responsabilità soggettive delle forze politiche ed
anche di quelle sociali, a cominciare da quelle dei sindacati e delle
organizzazioni della società civile.
Cosa ci dice il risultato elettorale?
Ci dice tre cose:
1) il bipolarismo è morto. Ci sono 4 poli in parlamento. E nonostante il
meccanismo maggioritario nessun governo è possibile senza un accordo post
elettorale. Sono centrodestra e centrosinistra gli sconfitti e al loro interno
le forze minori, come SEL, risultano irrilevanti. Il centro è cresciuto ma non
a sufficienza per colmare l’esodo dei voti contrari alle politiche europee e di
massacro sociale.
2) un movimento indefinito sul piano ideologico ed ideale, con un
programma vago e in molti punti contraddittorio, identificato con un leader
predicatore, ha raccolto tutti i voti di protesta.
3) la sinistra reale è irrilevante nel senso pieno del termine. Non è
“apparsa” irrilevante. Lo è. Nel senso che per quanto portatrice di contenuti
giusti (in molti casi sovrapponibili e in altri parecchio più avanzati e
progressisti rispetto al Movimento 5 Stelle), per quanto propositrice di misure
serie contro la crisi e i responsabili della crisi, per quanto espressione e
vicina a tutte le esperienze di lotta e sociali, nulla ha potuto né contro il
“voto utile” né contro il voto di protesta.
Il bipolarismo è morto. Ma invece che prenderne atto sia il PD, sia il
PDL, sia il centro, parlano dell’emergenza dell’ingovernabilità. Non so
attraverso quali acrobazie, ma prevedo che il governo temporaneo che nascerà,
oltre a tenere fede a tutti i diktat della tecnocrazia europea e della finanza,
tenterà di “riformare” legge elettorale e istituzioni per garantire la
“governabilità”, e cioè il governo dell’esistente con una possibile alternanza.
Il Movimento 5 Stelle conterà esattamente su questo per gonfiarsi e
trasformare la protesta in rappresentazione della volontà di cambiamento. Ma
cambiamento in quale direzione? Se i tre poli, al netto di finte divisioni e
competizioni, sono d’accordo sulla sostanza della politica economica e sono
d’accordo sul principio di “governabilità” (non a caso di nuovo mantra dei mass
media come nei primi anni 90), hanno una strada obbligata davanti a se. Del
resto soprattutto PD e PDL, essendo partiti modellati sul maggioritario e
sull’obiettivo di governo dell’esistente, possono cedere sui “privilegi” e i
costi della politica, mentre non possono proporre una svolta democratica. Per
esempio una legge elettorale proporzionale. Perfino se il PDL e il centro lo
facessero troverebbero la fiera opposizione del PD. Mentre sui contenuti
avanzati ogni strada gli sarebbe preclusa, sotto la voce privilegi e costi
della politica il Movimento 5 Stelle potrebbe anche votare diversi
provvedimenti, prendendosi il merito di aver obbligato la “casta” ad ingoiarli.
Ma sarebbero in gran parte la realizzazione del sogno estremista liberale. Per
fare un solo esempio, eliminazione del finanziamento pubblico e delle strutture
di partito (e così, come negli USA, l’elaborazione dei progetti politici e di
legge sarebbero appannaggio delle lobbies dei poteri forti). Mentre sulla legge
elettorale il Movimento 5 Stelle non ha alcuna posizione. Tranne quella
dell’apologia delle preferenze. Non è dato sapere se sia maggioritario o
proporzionalista. Se voglia un sistema presidenzialista o meno. Se pensi che la
funzione del parlamento debba essere di mero controllo del governo o di
effettivo potere legislativo.
Cosa direbbe e soprattutto cosa farebbe se PD e PDL trovassero un accordo
su un sistema elettorale maggioritario a doppio turno e su un sistema
istituzionale presidenzialista? Stando al programma ufficiale del Movimento 5
Stelle potrebbero votare tranquillamente a favore, ottenendo che i parlamentari
non facciano più di due mandati, che non possano svolgere nessuna altra
attività e che non abbiano gli attuali residui privilegi.
È una “previsione” puramente astratta. Ma è plausibile stando al
programma ed anche alle numerose esternazioni di Grillo, che mentre ha urlato
contro la casta e i partiti ha sempre evitato accuratamente di definirsi su una
quisquiglia come la legge elettorale e la forma dello stato.
Comunque non è il momento di esercitarsi a fare previsioni e ad
indovinare i contorsionismi della politica spettacolo.
Ripeto che solo in Italia la sinistra che condivide il 95 % dei contenuti
si presenta divisa alle elezioni. Li condivide sulla crisi e sulle cause e
responsabilità della stessa, sulle proposte per uscirne, sul fiscal compact,
sul pareggio di bilancio in costituzione, sul lavoro e sulla piattaforma della
FIOM, sulla precarietà, sul reddito di cittadinanza, sui beni comuni da sottrarre
ai privati, sulla scuola e sanità pubblica, sui diritti civili, sui diritti
degli immigrati e così via. Non credo di esagerare. È così.
Gli elettori di sinistra oggi sono divisi fra SEL, Rivoluzione Civile, e
Movimento 5 Stelle. In quest’ultimo sono una parte, purtroppo credo non
maggioritaria, perché si può essere contro la casta anche da destra, contro
l’euro e contemporaneamente contro gli immigrati, e così via. Ma non c’è alcun
dubbio che tantissimi elettori di sinistra abbiano votato il Movimento 5
Stelle, con le più svariate motivazioni, spesso contraddittorie fra loro.
In altri paesi europei a sinistra ci sono partiti comunisti, coalizioni
comprendenti partiti comunisti e non, partiti di sinistra, movimenti
comprendenti più partiti. Insomma, si possono trovare tutte le formule
organizzative unitarie e i modelli di partito. Nella crisi crescono
considerevolmente fino ad esprimere, proprio dove la crisi è più acuta, la
possibile alternativa di governo. Come in Grecia.
Davvero si può considerare seria una discussione, che già vedo profilarsi
come al solito, che mette al centro le formule organizzative unitarie? Come se
SEL e Rivoluzione Civile fossero divise dalla concezione organizzativa
dell’unità e non, invece, dalla logica bipolarista? Davvero è una questione di
efficacia del leader in TV? Davvero se cambiassimo tutti i dirigenti e li
sostituissimo con giovani risolveremmo i problemi? Davvero se ogni forza
pensasse di distinguersi maggiormente dalle altre, con conseguente proliferare
di ancor più liste, una di queste potrebbe aspirare a vincere la battaglia
egemonica e ad unificare tutto ingrandendo se stessa?
Cosa ci impedisce di fare come Izquierda Unida? O come il Front de
Gauche? O come la Linke? O come Syriza? Trovando anche in Italia la formula
organizzativa democratica adatta ad unire e non a dividere? Cosa ce lo
impedisce?
Purtroppo la risposta è duplice: ci sono due cose che ci hanno fino ad
ora diviso irrimediabilmente.
La prima è il maggioritario e le due tendenze figlie del bipolarismo:
dentro il centrosinistra a non contare nulla e apparendo agli occhi di buona
parte della nostra gente come opportunisti, oppure fuori senza speranza di
incidere su nulla e per giunta con il sospetto della nostra gente che l’unico
obiettivo vero siano i posti.
La seconda è l’internità di tutta la sinistra, comunque collocata
rispetto al centrosinistra, nel sistema politico separato dalla società.
Con la prima risposta si spiegano gli insuccessi di SEL e Rivoluzione
Civile. Con la seconda il voto di gran parte della nostra gente al Movimento 5
Stelle.
Se tutto ciò è anche solo parzialmente vero, e se vogliamo lavorare
affinché in Italia ci sia una sinistra che torni a contare nella società e
quindi anche elettoralmente, si deve tener conto di entrambe le risposte
insieme. Perché altrimenti la soluzione è totalmente sbagliata ed inefficace.
Si può, in presenza della crisi del bipolarismo, unire sui contenuti e
sulla democrazia, ed essere alternativi al sistema politico separato, nel tempo
nel quale anche l’alternatività del Movimento 5 Stelle sarà messa alla
prova dei fatti.
Il Partito della Rifondazione Comunista, con i suoi difetti e con le
ferite subite dalle innumerevoli scissioni, non è morto. Ed ha sempre dato
prova di non pensare soprattutto a se stesso ed ai posti nelle istituzioni. È
stato indubbiamente il più generoso in tutte le iniziative di lotta ed
unitarie. Ha un gruppo dirigente che certamente non è il migliore del mondo, ma
che ha saputo e voluto resistere a tutte le lusinghe e tentazioni a separare il
proprio destino da quello dei militanti e delle classi subalterne, per trovarsi
un posto sicuro nel centrosinistra. Ha militanti, donne ed uomini, il cui
valore ed attaccamento ai principi ed ideali comunisti, si vede proprio oggi,
nel massimo della difficoltà.
Questo nostro partito ha imparato a resistere. Saprà imparare a ripensare
se stesso come una parte indivisibile e incancellabile dentro una più vasta
aggregazione di sinistra anticapitalista.
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