Leggo polemiche sul nome sul simbolo della lista Tsipras, che indubbiamente meritano più di una riflessione. Mi riferisco naturalmente solo a quelle che forniscono argomenti veri di discussione. Tralascio altre che ne sono prive e che purtroppo non sono poche.
Chi ha avanzato le proposte sul simbolo, su cui si è condotta la consultazione, aveva presente due priorità: la comparsa del termine Europa con un’aggettivazione o un verbo che desse il senso del cambiamento, la presenza del nome di Tsipras, la scelta di un colore, quello rosso, che rendesse visivamente e immediatamente conto di una collocazione di campo opposta rispetto a quella evidenziata dalla simbologia cromatica delle destre e dei moderati. Di tutte queste questioni abbiamo discusso fin dall’inizio con i compagni di Syriza e con coloro che ora sostengono la lista.
Fin dagli incontri di ottobre con la delegazione di Syriza – che fece un giro dell’Europa incontrando nei vari paesi forze e singole personalità, per studiare la fattibilità di liste che si richiamassero esplicitamente al leader greco – era chiaro che purtroppo il caso italiano rappresentava una particolarità segnata dalla debolezza della sinistra (uso questo termine intendendo con esso le forze alla sinistra del Pd ed escludendo quest’ultimo in quanto tale). A differenza di altri paesi europei non esistono forze politiche della sinistra, né sono già in corso processi aggregativi sperimentati con qualche successo, come nel caso francese, che permettano di trasferire nella dimensione italiana una indicazione di candidatura che nel frattempo stava – ma al tempo non lo era ancora, perché erano in campo anche altre opzioni – maturando nel Partito della Sinistra europea, del quale peraltro anche il sottoscritto fa parte.
Il problema per l’Italia perciò era ed è duplice: raccogliere nell’organizzazione della lista e nel voto la sinistra organizzata nei piccoli partiti esistenti e la sinistra diffusa (quella dei movimenti, delle associazioni, delle esperienze locali di lotta ecc.), ma nello stesso tempo non fermarsi ad essa, almeno nelle intenzioni e quindi nel modo di presentarsi, sapendo che esiste un arco molto vasto di persone che sono radicalmente critiche nei confronti delle politiche europee, ma pensano che la fuoriuscita dall’Europa e dall’euro peggiorerebbe – almeno nell’immediato – la situazione anziché migliorarla. Il sondaggio andato in onda durante la trasmissione dalla Gruber cui hanno partecipato Alexis Tsipras e Barbara Spinelli, ha poi confermato ampiamente la validità di quell’ipotesi.
Dove si collocano quelle persone nel panorama politico italiano e come è possibile intercettarle, malgrado i tempi brevi su cui si basa la nostra operazione elettorale? Certamente in buona parte nel campo della sinistra – ove però, per completezza è utile ricordarlo, sta anche chi o vuole l’uscita immediata dall’euro o chi si è dichiarato fin dall’inizio disinteressato alla scadenza elettorale – , ma non solo. Stanno nell’inesplorato campo della crescente astensione; stanno in quell’ampio strato di cittadini con o senza tessera in tasca che in questi anni hanno dato vita a un movimento democratico in difesa della Costituzione; stanno nelle forze associative e nei movimenti sociali, del e per il lavoro, nazionali o locali, tematici o generalisti che hanno alimentato la conflittualità nella società civile italiana in questi anni; stanno in più piccoli movimenti e associazioni, se si vuole di carattere prevalentemente intellettuale, che si battono da decenni per un’Europa unita, federale e democratica; stanno in un campo crescente di intellettualità dotate di capacità di influenza che si batte contro l’austerity che per fortuna non si limita alla sinistra d’alternativa.
Tanto ai compagni di Syriza quanto a chi ha sostenuto questa impresa fin dall’inizio è risultato chiaro che il maledetto quorum poteva essere ottenuto solo tenendo insieme tutti i lati dello schieramento possibile, dando quindi vita a una lista che abbiamo chiamato – con tutta l’approssimazione inevitabile – di “cittadinanza” (non civica) e di poterlo fare senza annacquare minimamente la piattaforma e il profilo programmatico, come dimostrato poi dalla dichiarazione con cui Alexis Tsipras si è candidato alla Presidenza della commissione europea.
La seconda convinzione che ci ha animato – almeno parlo per me – è che il processo di ricostruzione di una sinistra nel nostro paese non può avvenire attraverso passaggi elettorali. L’importante è che questi non contraddicano il processo ma lo aiutino. Ma non si può chiedere di più, non si può delegarlo ad essi. La ricostruzione della sinistra non è infatti la rimessa assieme, magari con qualche semplice rimescolamento, del già esistente. Questo non è sufficiente neppure dal punto di vista elettorale, come il flop della Sinistra Arcobaleno aveva già a suo tempo dimostrato impietosamente, e stendo un velo pietoso sulla lista Ingroia. Richiede un lavoro di ricostruzione in primo luogo di una cultura e di una egemonia culturale di sinistra, di un pensiero lungo, capace di interpretare la fase di transizione dal capitalismo a qualcosa che ancora non è definito neppure teoricamente, se non per deboli tentativi, sapendo che i modelli del passato in ogni caso non sono riproponibili. Questo lavoro non avviene in può avvenire cenacoli intellettuali, ma in una relazione dialettica con i movimenti reali. Ma guai a considerare chi produce pensiero teorico per ciò stesso necessariamente slegato dalla realtà e per converso chi sta dentro i movimenti anima e corpo per solo questo fatto portatore di verità intangibili. Ci vuole più senso del limite in entrambi i campi, per costruire assieme.
Quindi caratterizzare la lista che stiamo costruendo con il termine sinistra avrebbe tranquillizzato le coscienze di molti militanti – tra cui metto anche la mia – ma avrebbe significato restringere inutilmente in partenza il campo di riferimento e il possibile bacino di raccolta di consensi e nello stesso tempo fingere che un lavoro tutto da fare fosse già in buona parte compiuto. Due errori in uno.
Del resto se guardiamo al quadro europeo, allo stato delle cose reali, dei rapporti di forza come si ama dire nella tradizione delle forze politiche del movimento operaio, il nostro primo obiettivo è quello di invertire la rotta, ovvero bloccare lo strapotere del neoliberismo nelle sue varie formulazioni, aprire un nuovo processo di partecipazione e di legittimazione democratica del progetto dell’unità europea, una campagna costituente. Di tutto questo la sinistra che dobbiamo ricostruire, in primis nel nostro paese che ne è priva, è un elemento portante, ma da sola non ce la farebbe. Nello stesso tempo è solo all’interno di un processo come questo, in uno spazio politico europeo, che la sinistra può essere ricostruita.
Se la lista Tsipras in Italia, e le tante altre liste Tsipras, con i loro diversi nomi, a seconda delle condizioni negli altri paesi, otterranno successo, eleggeranno deputati combattivi nel parlamento europeo e se in Grecia, anche grazie a questo successo continentale, Syriza in possibili elezioni anticipate diventasse il primo partito e assumesse la responsabilità di governare il proprio paese, il discorso di invertire la rotta, di ricostruire la sinistra in Europa, di spostare a sinistra l’Europa stessa diventerebbero finalmente obiettivi praticabili e non più coraggiosi sogni infranti, restituendo al termine sinistra un nuovo e pieno significato.
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